Da Corriere della Sera del 30/10/2003
«Il suo ruolo nella squadra dei nuovi capi»
I compiti di Boccaccini dal documento sulla rinascita brigatista: «Struttura composta da quelli della rapina di Firenze»
di Giovanni Bianconi
ROMA - Se l’ultima azione messa a segno dalle Brigate rosse - non rivendicata - è la rapina del febbraio scorso all’ufficio postale di via Torcicoda a Firenze, e se davvero il neoarrestato Simone Boccaccini ha partecipato a quel colpo, allora il sedicente «militante rivoluzionario» poteva diventare uno dei capi della banda armata. Il sospetto emerge dal documento sul «riadeguamento politico-organizzativo» delle Br trovato a casa del romano Marco Mezzasalma, considerato un altro brigatista «emergente». Un documento che gli inquirenti definiscono di fondamentale importanza, nel quale sono citati stralci di un’altra risoluzione in cui si traccia il bilancio dell’«azione B.», cioè l’omicidio di Marco Biagi, datata maggio 2002. Già in quelle pagine, con Lioce e Galesi ancora in attività, era scritto che il contesto in cui operavano le Br era «una condizione che definisce limiti alla capacità d’azione e impone vincoli alle forze». Il documento trovato a Mezzasalma è successivo a quello sul delitto Biagi, e affronta alcuni «nodi impostativi» della riorganizzazione brigatista annunciando che quel percorso «effettuerà passi concreti nell’avvio della costruzione della sede chiamata ad affrontare la crisi di s.c. (la struttura centrale, ndr), composta dagli elementi della sq. op. (squadra operativa, ndr) dell’ultimo esproprio».
L’esproprio è la rapina di Firenze, e il nucleo che l’ha portato a termine sarebbe diventato il nuovo motore delle Brigate rosse. Ma si tratta di un motore che girava a ritmo molto ridotto. E’ ancora il documento brigatista a riconoscerlo. «Il numero di forze impiegabili - c’è scritto - nelle condizioni attuali è estremamente critico e limitante rispetto alle prospettive politiche, anche se non è di impedimento al piano operativo», considerazione «emersa anche nelle valutazioni della forza che è fuoriuscita a termine dello smobilizzo».
Tradotta dal «brigatese», questa frase significa che i militanti in attività sono (erano, prima degli arresti dell’ultima settimana), pochi ma ancora in grado di compiere un’azione, per la quale c’era anche sufficiente materiale - in primo luogo le armi - che i brigatisti sono riusciti a mettere al sicuro dopo la «caduta» di Lioce e Galesi. Lo «smobilizzo» significa infatti il trasloco del «settore logistico» fatto una prima volta a giugno, quando fu abbandonato il covo romano di via Maja, e una seconda volta due settimane fa, pochi giorni prima del blitz della polizia.
Il documento sul «riadeguamento» delle Br è una fotografia scattata all’interno del gruppo, una sorta di autoscatto che illustra la situazione fino agli ultimi arresti. E da quell’istantanea risulta che l’arresto della Lioce e la morte di Galesi avevano indebolito l’organizzazione, ma dato un po’ di respiro alle sue finanze. Con due latitanti in meno da mantenere diminuivano le uscite e aumentava il denaro a disposizione, che sarebbe bastato per un periodo più lungo del previsto. Tuttavia, gli stessi brigatisti annotavano «l’ipotesi dell’esproprio (dunque un’altra rapina, ndr), è emersa come eventuale priorità necessaria al sostenimento di un immediato rafforzamento politico-organizzativo, conseguito attraverso l’avvio (o il riavvio) di uno o più ruoli militanti semiregolari, allo scopo di garantirsi condizioni di forza maggiore per sostenere il carico di lavoro necessario alla costruzione di un’iniziativa rivoluzionaria». Significa che servivano altri soldi per permettere a dei militanti irregolari, cioè a mezzo servizio, di diventare almeno «semiregolari», che può voler dire a tempo pieno anche senza essere clandestini, cioè ricercati dalla polizia. Ma chi doveva fare questo salto, o rifarlo, visto che nel testo si parla di «riavvio»? Secondo le prime analisi dell’Antiterrorismo proprio chi, al momento dell’arresto, si è dichiarato «prigioniero politico»: Roberto Morandi l’ha fatto sabato scorso. E ieri Simone Boccaccini s’è sistemato appena un gradino sotto: «militante rivoluzionario».
L’esproprio è la rapina di Firenze, e il nucleo che l’ha portato a termine sarebbe diventato il nuovo motore delle Brigate rosse. Ma si tratta di un motore che girava a ritmo molto ridotto. E’ ancora il documento brigatista a riconoscerlo. «Il numero di forze impiegabili - c’è scritto - nelle condizioni attuali è estremamente critico e limitante rispetto alle prospettive politiche, anche se non è di impedimento al piano operativo», considerazione «emersa anche nelle valutazioni della forza che è fuoriuscita a termine dello smobilizzo».
Tradotta dal «brigatese», questa frase significa che i militanti in attività sono (erano, prima degli arresti dell’ultima settimana), pochi ma ancora in grado di compiere un’azione, per la quale c’era anche sufficiente materiale - in primo luogo le armi - che i brigatisti sono riusciti a mettere al sicuro dopo la «caduta» di Lioce e Galesi. Lo «smobilizzo» significa infatti il trasloco del «settore logistico» fatto una prima volta a giugno, quando fu abbandonato il covo romano di via Maja, e una seconda volta due settimane fa, pochi giorni prima del blitz della polizia.
Il documento sul «riadeguamento» delle Br è una fotografia scattata all’interno del gruppo, una sorta di autoscatto che illustra la situazione fino agli ultimi arresti. E da quell’istantanea risulta che l’arresto della Lioce e la morte di Galesi avevano indebolito l’organizzazione, ma dato un po’ di respiro alle sue finanze. Con due latitanti in meno da mantenere diminuivano le uscite e aumentava il denaro a disposizione, che sarebbe bastato per un periodo più lungo del previsto. Tuttavia, gli stessi brigatisti annotavano «l’ipotesi dell’esproprio (dunque un’altra rapina, ndr), è emersa come eventuale priorità necessaria al sostenimento di un immediato rafforzamento politico-organizzativo, conseguito attraverso l’avvio (o il riavvio) di uno o più ruoli militanti semiregolari, allo scopo di garantirsi condizioni di forza maggiore per sostenere il carico di lavoro necessario alla costruzione di un’iniziativa rivoluzionaria». Significa che servivano altri soldi per permettere a dei militanti irregolari, cioè a mezzo servizio, di diventare almeno «semiregolari», che può voler dire a tempo pieno anche senza essere clandestini, cioè ricercati dalla polizia. Ma chi doveva fare questo salto, o rifarlo, visto che nel testo si parla di «riavvio»? Secondo le prime analisi dell’Antiterrorismo proprio chi, al momento dell’arresto, si è dichiarato «prigioniero politico»: Roberto Morandi l’ha fatto sabato scorso. E ieri Simone Boccaccini s’è sistemato appena un gradino sotto: «militante rivoluzionario».
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