Da La Repubblica del 14/11/2004
Bush: "Ho bisogno degli alleati"
Solo Blair l´appoggia, anche l´Olanda conferma il ritiro
di Riccardo Staglianò
NEW YORK - Falluja è quasi presa, l´appoggio internazionale alla Coalizione cresce e le elezioni di gennaio saranno una «bruciante sconfitta» per insorti e terroristi. Nel discorso radiofonico del sabato, dal fronte iracheno George Bush consegna solo buone notizie agli americani. Circa l´80 per cento della roccaforte sunnita sarebbe sotto il controllo dei soldati statunitensi affiancati dalle forze di sicurezza irachene: «Le nostre truppe - ha assicurato il Presidente - hanno fatto progressi significativi negli ultimi giorni. Stanno riprendendo la città, ripulendo le moschee dalle armi e gli esplosivi ammassati dagli insorti e ripristinando l´ordine».
«In Iraq il sostegno internazionale è indispensabile e continua a crescere, le forze militari di circa trenta nazioni stanno lavorando al fianco delle forze irachene per favorire la stabilità e la sicurezza», aggiunge il presidente. «A mano a mano che si avvicina la data delle elezioni, aumenterà la disperazione degli assassini e quindi anche la violenza potrebbe accentuarsi».
Una ricostruzione, quella del Presidente, che i media americani non hanno esitato a definire «rosea» anche quando si concentra sullo stato di salute della Coalizione. Se è vero infatti che Tony Blair ha ribadito una volta di più, in un´intervista a Abc, che non intende ritirare le truppe britanniche dovesse costargli una sconfitta elettorale in patria («non recedo da una posizione che ritengo giusta»), la tenuta degli altri «volenterosi» è tutto meno che solida.
Oltre agli 8500 soldati britannici e ai 3000 italiani la cui permanenza non è in discussione, aumenta invece il numero degli annunci di ritiri o di riduzione degli organici. I primi a tornare a casa, per la fine di febbraio, saranno i militari cechi seguiti a stretto giro dagli olandesi e da 300 ungheresi non oltre la fine di marzo. La Bulgaria potrebbe diminuire gli effettivi dei suoi 480 uomini e in Giappone il tiro alla fune tra governo e opinione pubblica sul ritiro si fa sempre più forte (e Bush, nel discorso dalla Casa Bianca, ha riservato più di una parola di apprezzamento per il premier Koizumi). Ad aumentare il proprio impegno in vista del passaggio critico delle elezioni di gennaio sta pensando invece la Romania, che ha già 730 soldati, e la Georgia, che intende passare da 159 a 850. Se il conto totale potrà darà quindi segno più, il saldo «politico» dei partecipanti non lo è altrettanto.
«Alla fine l´Iraq deve essere in grado di difendersi da solo - ha esortato il Presidente - e le forze locali stanno assumendosi sempre maggiori responsabilità nella sicurezza del Paese». Adesso sono 115 mila e dovrebbero arrivare a 200 mila entro la fine dell´anno, numeri sul cui reale peso molti dubitano. A partire dal General Accountability Office, un comitato parlamentare che in un rapporto ha fatto notare che il loro addestramento spesso si limita «all´indossare l´uniforme». I contingenti che sicuramente stanno crescendo sono quelli americani: dai 138 mila di poche settimane fa ai 142 attuali per arrivare a quota 160 mila per l´appuntamento elettorale. A costo di allungare la ferma per chi è al fronte e anticipare la partenza di chi li avvicenderà.
«In Iraq il sostegno internazionale è indispensabile e continua a crescere, le forze militari di circa trenta nazioni stanno lavorando al fianco delle forze irachene per favorire la stabilità e la sicurezza», aggiunge il presidente. «A mano a mano che si avvicina la data delle elezioni, aumenterà la disperazione degli assassini e quindi anche la violenza potrebbe accentuarsi».
Una ricostruzione, quella del Presidente, che i media americani non hanno esitato a definire «rosea» anche quando si concentra sullo stato di salute della Coalizione. Se è vero infatti che Tony Blair ha ribadito una volta di più, in un´intervista a Abc, che non intende ritirare le truppe britanniche dovesse costargli una sconfitta elettorale in patria («non recedo da una posizione che ritengo giusta»), la tenuta degli altri «volenterosi» è tutto meno che solida.
Oltre agli 8500 soldati britannici e ai 3000 italiani la cui permanenza non è in discussione, aumenta invece il numero degli annunci di ritiri o di riduzione degli organici. I primi a tornare a casa, per la fine di febbraio, saranno i militari cechi seguiti a stretto giro dagli olandesi e da 300 ungheresi non oltre la fine di marzo. La Bulgaria potrebbe diminuire gli effettivi dei suoi 480 uomini e in Giappone il tiro alla fune tra governo e opinione pubblica sul ritiro si fa sempre più forte (e Bush, nel discorso dalla Casa Bianca, ha riservato più di una parola di apprezzamento per il premier Koizumi). Ad aumentare il proprio impegno in vista del passaggio critico delle elezioni di gennaio sta pensando invece la Romania, che ha già 730 soldati, e la Georgia, che intende passare da 159 a 850. Se il conto totale potrà darà quindi segno più, il saldo «politico» dei partecipanti non lo è altrettanto.
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