Da La Repubblica del 22/01/2005
Palermo, in pochissimi alla riunione al "Biondo" indetta da industriali e magistrati sul racket
Deserta l´assemblea antimafia
di Attilio Bolzoni
PALERMO - QUANDO si parla di "pizzo" Palermo si volta sempre dall´altra parte. Si nasconde, fa finta di non sentire. Scappa. Dovevate esserci ieri mattina in quel bellissimo teatro dei primi Novecento che è il "Biondo", proprio davanti al mercato della Vucciria. Dovevate esserci per scoprire da vicino che cosa è ancora oggi la mafia, in questa Sicilia che sembra tornata ventre molle. C´era un convegno sul racket, voluto per la prima volta dagli industriali e dai magistrati insieme. Il teatro era deserto.
Nelle prime due file le "autorità", prefetto, questore, comandante dei carabinieri, procuratore generale, qualche sindacalista. Ma tutte le altre poltrone erano vuote. Neanche i rappresentanti dei commercianti palermitani sono passati al "Biondo", nemmeno per un saluto o solo per salvare la faccia.
Ecco com´è rimasta o (secondo alcuni) com´è riapparsa la città dove di "pizzo" si vive e si sopravvive, una Palermo che è stata avvolta da una mafia silenziosa, stretta in una morsa di omertà, prigioniera della sua paura. Disertato in massa il raduno contro le estorsioni, organizzato con tanta buona volontà dai vertici di Sicindustria e dall´Associazione nazionale magistrati. Ignorato da quegli uomini politici che nei giorni scorsi si erano esibiti in acrobatiche mosse per proteggere "l´onore" dell´isola, snobbato dallo stesso governatore Totò Cuffaro che aveva accusato di «sciaccallaggio mediatico ai danni dell´intero sistema produttivo siciliano» un reportage di Rai3 sul crimine. Non c´era praticamente nessuno al convegno dove imprenditori e magistrati ragionavano sul "pizzo", su quella tassa che non dà scampo a bottegai e costruttori in ogni marciapiedi e in ogni borgata di Palermo. Una trentina o al massimo una quarantina gli industriali venuti dalle nove province della Sicilia, e quasi tutti loro ricoprivano cariche in Sicindustria. Una trentina o una quarantina su 25mila sparsi in ogni angolo dell´isola. E sui 300mila commercianti siciliani, ce n´era uno solo al teatro "Biondo". Non c´era un artigiano, neppure un loro delegato di categoria, un portavoce qualunque che facesse anche solo "presenza" nell´assemblea pubblica sul racket presentata dall´inedita accoppiata magistratura-Sicindustria.
Prima fila a sinistra, in ordine: il prefetto Giosuè Marino, il questore Giuseppe Caruso, il colonnello dei carabinieri Vittorio Tomasone, il comandante della Finanza Nunzio Ferla, il presidente degli industriali siciliani Giuseppe Costanzo e pochi altri ancora. Prima a fila a destra: il sostituto procuratore Massimo Russo, altri sei magistrati, il vicepresidente della Confindustria con delega al Mezzogiorno Ettore Artioli, il commerciante siracusano vittima del racket Bruno Piazzese e qualche poliziotto delle scorte. Seconde file occupate a metà, vuote anche lì molte poltrone "riservate". Sul palco: il procuratore nazionale Pierluigi Vigna, il coordinatore delle associazioni antiracket italiane Tano Grasso, il sottosegretario alla Giustizia Michele Vietti, il direttore generale della Confcommercio Luigi Taranto. Dopo un saluto del sindaco Cammarata, ha preso il via il dibattito tra pochi intimi. Vacante il teatro da mille posti, dall´inizio alla fine dei lavori.
Quando si parla di "pizzo" Palermo è sempre sorda. E intanto paga. Chissà quanti commercianti - proprio ieri mattina e proprio in quelle stradine intorno al «Biondo» presidiato dai poliziotti che sorvegliavano i partecipanti al convegno - stavano versando il loro obolo in via Bandiera, in via Napoli, in via Bari, tutte le strade al di qua della Vucciria. Là dentro si discuteva in solitudine come combattere il racket, fuori il popolo dei bottegai depositava la "mesata" ai picciotti del rione. Sono i due volti di Palermo dopo la stagione delle stragi, dopo i suoi cadaveri eccellenti e le sue guerre di mafia, le rivolte dei lenzuoli e i Falcone e i Borsellino. Diceva bene però Costantino Garaffa, ex presidente della Confesercenti cittadina e adesso senatore dei Ds, uno dei pochi che al teatro c´erano: «Cerco di vedere il lato positivo, la Sicindustria che organizzato l´incontro. Se 13 anni fa la Sicindustria fosse stata dalla parte di Libero Grassi, probabilmente Libero non l´avrebbero ucciso». Palermo che cambia, Palermo che resta sempre la stessa. Tredici anni fa Libero Grassi era isolato, il presidente degli industriali di allora lo schernì e ai suoi colleghi consigliò di accettare il ricatto, «perché se paghiamo tutti, paghiamo meno». È passato tanto tempo e per fortuna altri sono i rappresentanti degli industriali anche qui. «È già importante avere questa iniziativa», sospira il prefetto di Palermo Giosuè Marino. E Tano Grasso, ex commerciante di scarpe, il leader della ribellione dei negozianti di Capo d´Orlando che sconfisse il racket: «Il pizzo è qualcosa che scopre il nervo, è qualcosa che ad ognuno fa fare i conti con la propria coscienza, non è come subire un reato qualunque». E anche Palermo non è una città qualunque. E Cosa Nostra non è una mafia qualunque. In fondo, c´era da aspettarselo che quel bellissimo teatro ieri mattina restasse vuoto.
Nelle prime due file le "autorità", prefetto, questore, comandante dei carabinieri, procuratore generale, qualche sindacalista. Ma tutte le altre poltrone erano vuote. Neanche i rappresentanti dei commercianti palermitani sono passati al "Biondo", nemmeno per un saluto o solo per salvare la faccia.
Ecco com´è rimasta o (secondo alcuni) com´è riapparsa la città dove di "pizzo" si vive e si sopravvive, una Palermo che è stata avvolta da una mafia silenziosa, stretta in una morsa di omertà, prigioniera della sua paura. Disertato in massa il raduno contro le estorsioni, organizzato con tanta buona volontà dai vertici di Sicindustria e dall´Associazione nazionale magistrati. Ignorato da quegli uomini politici che nei giorni scorsi si erano esibiti in acrobatiche mosse per proteggere "l´onore" dell´isola, snobbato dallo stesso governatore Totò Cuffaro che aveva accusato di «sciaccallaggio mediatico ai danni dell´intero sistema produttivo siciliano» un reportage di Rai3 sul crimine. Non c´era praticamente nessuno al convegno dove imprenditori e magistrati ragionavano sul "pizzo", su quella tassa che non dà scampo a bottegai e costruttori in ogni marciapiedi e in ogni borgata di Palermo. Una trentina o al massimo una quarantina gli industriali venuti dalle nove province della Sicilia, e quasi tutti loro ricoprivano cariche in Sicindustria. Una trentina o una quarantina su 25mila sparsi in ogni angolo dell´isola. E sui 300mila commercianti siciliani, ce n´era uno solo al teatro "Biondo". Non c´era un artigiano, neppure un loro delegato di categoria, un portavoce qualunque che facesse anche solo "presenza" nell´assemblea pubblica sul racket presentata dall´inedita accoppiata magistratura-Sicindustria.
Prima fila a sinistra, in ordine: il prefetto Giosuè Marino, il questore Giuseppe Caruso, il colonnello dei carabinieri Vittorio Tomasone, il comandante della Finanza Nunzio Ferla, il presidente degli industriali siciliani Giuseppe Costanzo e pochi altri ancora. Prima a fila a destra: il sostituto procuratore Massimo Russo, altri sei magistrati, il vicepresidente della Confindustria con delega al Mezzogiorno Ettore Artioli, il commerciante siracusano vittima del racket Bruno Piazzese e qualche poliziotto delle scorte. Seconde file occupate a metà, vuote anche lì molte poltrone "riservate". Sul palco: il procuratore nazionale Pierluigi Vigna, il coordinatore delle associazioni antiracket italiane Tano Grasso, il sottosegretario alla Giustizia Michele Vietti, il direttore generale della Confcommercio Luigi Taranto. Dopo un saluto del sindaco Cammarata, ha preso il via il dibattito tra pochi intimi. Vacante il teatro da mille posti, dall´inizio alla fine dei lavori.
Quando si parla di "pizzo" Palermo è sempre sorda. E intanto paga. Chissà quanti commercianti - proprio ieri mattina e proprio in quelle stradine intorno al «Biondo» presidiato dai poliziotti che sorvegliavano i partecipanti al convegno - stavano versando il loro obolo in via Bandiera, in via Napoli, in via Bari, tutte le strade al di qua della Vucciria. Là dentro si discuteva in solitudine come combattere il racket, fuori il popolo dei bottegai depositava la "mesata" ai picciotti del rione. Sono i due volti di Palermo dopo la stagione delle stragi, dopo i suoi cadaveri eccellenti e le sue guerre di mafia, le rivolte dei lenzuoli e i Falcone e i Borsellino. Diceva bene però Costantino Garaffa, ex presidente della Confesercenti cittadina e adesso senatore dei Ds, uno dei pochi che al teatro c´erano: «Cerco di vedere il lato positivo, la Sicindustria che organizzato l´incontro. Se 13 anni fa la Sicindustria fosse stata dalla parte di Libero Grassi, probabilmente Libero non l´avrebbero ucciso». Palermo che cambia, Palermo che resta sempre la stessa. Tredici anni fa Libero Grassi era isolato, il presidente degli industriali di allora lo schernì e ai suoi colleghi consigliò di accettare il ricatto, «perché se paghiamo tutti, paghiamo meno». È passato tanto tempo e per fortuna altri sono i rappresentanti degli industriali anche qui. «È già importante avere questa iniziativa», sospira il prefetto di Palermo Giosuè Marino. E Tano Grasso, ex commerciante di scarpe, il leader della ribellione dei negozianti di Capo d´Orlando che sconfisse il racket: «Il pizzo è qualcosa che scopre il nervo, è qualcosa che ad ognuno fa fare i conti con la propria coscienza, non è come subire un reato qualunque». E anche Palermo non è una città qualunque. E Cosa Nostra non è una mafia qualunque. In fondo, c´era da aspettarselo che quel bellissimo teatro ieri mattina restasse vuoto.
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