Da Peace Reporter del 15/05/2006
Originale su http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=2&am...
Le rotte della mafia kosovara
La magistratura italiana svela le ramificazioni della criminalità nella ex - Jugoslavia
di Christian Elia
La Procura della repubblica di Bari ha emesso questa mattina, al termine di un’indagine che è cominciata nel 2003, 12 provvedimenti di custodia cautelare nei confronti di un italiano (ispettore di polizia in forza all’ufficio stranieri della Questura di Treviso) e di 11 kosovari di origine albanese. A loro si aggiungono altre 13 persone indagate a piede libero. L’accusa è quella di aver creato e gestito, attraverso il lavoro di tre agenzie di viaggio in Kosovo, una rete criminale che si arricchiva con l’immigrazione clandestina.
IPOTESI DI VIAGGIO. L’idea era piuttosto semplice: le tre agenzie di viaggio, la Jaha Tours, la Saba Tours e la PolluzhaTours, con sedi a Treviso e a Pristina, s’incaricavano, con la complicità del funzionario di polizia corrotto della Questura di Treviso, di organizzare gruppi di migranti e di farli arrivare in Italia, dove ricevevano un falso visto turistico tedesco, valido per tre mesi nell’area dell’accordo di Schengen. Le rotte erano tre, gestite dalle agenzie, e i prezzi variavano a seconda dell’itinerario. La prima possibilità, al costo di 3300 euro a persona, prevedeva l’ingresso in Italia dopo un viaggio attraverso Pristina, Durazzo, Bari e Treviso. La seconda rotta, per 3500 euro, era identica alla prima, ma permetteva di fermarsi al porto di Bari o di Brindisi, dove i documenti erano già pronti, senza passare dalla centrale dell’organizzazione, che era a Treviso. La terza rotta era quella più economica, costando ‘solo’ 2500 euro, e più lunga. Passava dal Kosovo alla Grecia, quindi in Macedonia (a piedi per evitare i controlli della forza multinazionale presente nella zona) e infine in Italia attraverso il porto di Ancona. Gli inquirenti hanno anche verificato l’esistenza di un quarto itinerario: dal Kosovo all’Ungheria, poi la Slovenia, l’Austria e infine la Germania, ma su questo indagheranno i magistrati tedeschi. I viaggi, a bordo di pullman, avevano cadenza settimanale e, secondo gli inquirenti , dal 2003 a oggi sarebbero centinaia gli immigrati che l’organizzazione ha portato in Italia.
PROFESSIONISTI DELL’IMMIGRAZIONE ILLEGALE. Secondo i magistrati baresi, il capo dell’organizzazione era Jahir Bytyci, kosovaro 35enne di Semetisthe, residente a Treviso, dove gestiva il traffico illegale di migranti con la complicità di un funzionario della Questura della città veneta, che si occupava di procurare i documenti. L’agenzia turistica criminale, per una somma totale di 8mila euro, offriva un servizio supplementare: un matrimonio fittizio, organizzato nei particolari dal tour operator, che permetteva al nuovo arrivato d’iniziare la procedura per ottenere il visto in Italia.
Un altro filone dell’inchiesta, emerso dalle intercettazioni telefoniche compiute dalle forze dell’ordine durante i 3 anni d’indagini, legherebbe alcuni degli indagati come membri della banda criminale alle violenze interetniche avvenute in Kosovo, nella città di Mitrovica, in marzo 2004, che costarono la vita a 19 persone e la distruzione di case e luoghi di culto. Il motivo dell’aggressione della popolazione kosovara ai danni della minoranza serba della regione, poi rivelatosi infondato, era l’annegamento di un bambino albanese per colpa di tre bambini serbi. Fin dal primo momento l’episodio era parso un pretesto, sembra però che le intercettazioni confermino come dietro le violenze ci fosse un piano preordinato per mettere in difficoltà il personale civile delle Nazioni Unite, che dal 1999 è il responsabile dell’ordine pubblico in quell’area.
UNO SCENARIO INQUIETANTE. La vicenda giudiziaria invita a due riflessioni: una sul fronte dei flussi dell’immigrazione clandestina, l’altra su quello della situazione in Kosovo. Il primo dato che emerge è che, tutti presi a militarizzare il Mediterraneo per impedire l’arrivo dei migranti dal Nord Africa, le forze dell’ordine hanno completamente perso di vista il mar Adriatico come porta d’ingresso all’Italia e all’Europa. Dopo anni in cui l’allarme clandestini sugli sbarchi dall’Albania, con una grande cassa di risonanza sui media nazionali, era al centro dell’attenzione, la rotta adriatica è passata nell’oblio rispetto a quella mediterranea. In questo senso un contributo decisivo l’ha dato il conflitto del Kosovo nel 1999, quando l’Adriatico venne blindato per esigenze strategiche e l’immigrazione con i cosiddetti barconi diventava difficile. La criminalità che gestisce il traffico degli esseri umani dall’Est europeo ha solo cambiato strategia, aiutata dal fatto che tutti i media si sono concentrati sui flussi nordafricani, con il corollario di allarmismo sociale e mediatico legato alla fede islamica dei migranti che provengono dall’Africa. La mafia balcanica ha così potuto agire più o meno indisturbata, cambiando solo tecnica per l’immigrazione clandestina. In questo settore primeggia la mafia kosovara. La guerra ha creato nella provincia serba a maggioranza albanese una sorta di terra di nessuno che, in breve tempo, è stata presa in mano dalla malavita organizzata. Il traffico di clandestini, quello delle armi e della droga, oltre al business della gestione degli aiuti internazionali, fanno del Kosovo una terra senza legge, dove le Nazioni Unite, che hanno la responsabilità della regione fino alla definizione di uno status definitivo per il quale sono in corso negoziati internazionali a Vienna, non sono in grado di fare nulla. Come hanno dimostrato le 19 vittime del 2004.
IPOTESI DI VIAGGIO. L’idea era piuttosto semplice: le tre agenzie di viaggio, la Jaha Tours, la Saba Tours e la PolluzhaTours, con sedi a Treviso e a Pristina, s’incaricavano, con la complicità del funzionario di polizia corrotto della Questura di Treviso, di organizzare gruppi di migranti e di farli arrivare in Italia, dove ricevevano un falso visto turistico tedesco, valido per tre mesi nell’area dell’accordo di Schengen. Le rotte erano tre, gestite dalle agenzie, e i prezzi variavano a seconda dell’itinerario. La prima possibilità, al costo di 3300 euro a persona, prevedeva l’ingresso in Italia dopo un viaggio attraverso Pristina, Durazzo, Bari e Treviso. La seconda rotta, per 3500 euro, era identica alla prima, ma permetteva di fermarsi al porto di Bari o di Brindisi, dove i documenti erano già pronti, senza passare dalla centrale dell’organizzazione, che era a Treviso. La terza rotta era quella più economica, costando ‘solo’ 2500 euro, e più lunga. Passava dal Kosovo alla Grecia, quindi in Macedonia (a piedi per evitare i controlli della forza multinazionale presente nella zona) e infine in Italia attraverso il porto di Ancona. Gli inquirenti hanno anche verificato l’esistenza di un quarto itinerario: dal Kosovo all’Ungheria, poi la Slovenia, l’Austria e infine la Germania, ma su questo indagheranno i magistrati tedeschi. I viaggi, a bordo di pullman, avevano cadenza settimanale e, secondo gli inquirenti , dal 2003 a oggi sarebbero centinaia gli immigrati che l’organizzazione ha portato in Italia.
PROFESSIONISTI DELL’IMMIGRAZIONE ILLEGALE. Secondo i magistrati baresi, il capo dell’organizzazione era Jahir Bytyci, kosovaro 35enne di Semetisthe, residente a Treviso, dove gestiva il traffico illegale di migranti con la complicità di un funzionario della Questura della città veneta, che si occupava di procurare i documenti. L’agenzia turistica criminale, per una somma totale di 8mila euro, offriva un servizio supplementare: un matrimonio fittizio, organizzato nei particolari dal tour operator, che permetteva al nuovo arrivato d’iniziare la procedura per ottenere il visto in Italia.
Un altro filone dell’inchiesta, emerso dalle intercettazioni telefoniche compiute dalle forze dell’ordine durante i 3 anni d’indagini, legherebbe alcuni degli indagati come membri della banda criminale alle violenze interetniche avvenute in Kosovo, nella città di Mitrovica, in marzo 2004, che costarono la vita a 19 persone e la distruzione di case e luoghi di culto. Il motivo dell’aggressione della popolazione kosovara ai danni della minoranza serba della regione, poi rivelatosi infondato, era l’annegamento di un bambino albanese per colpa di tre bambini serbi. Fin dal primo momento l’episodio era parso un pretesto, sembra però che le intercettazioni confermino come dietro le violenze ci fosse un piano preordinato per mettere in difficoltà il personale civile delle Nazioni Unite, che dal 1999 è il responsabile dell’ordine pubblico in quell’area.
UNO SCENARIO INQUIETANTE. La vicenda giudiziaria invita a due riflessioni: una sul fronte dei flussi dell’immigrazione clandestina, l’altra su quello della situazione in Kosovo. Il primo dato che emerge è che, tutti presi a militarizzare il Mediterraneo per impedire l’arrivo dei migranti dal Nord Africa, le forze dell’ordine hanno completamente perso di vista il mar Adriatico come porta d’ingresso all’Italia e all’Europa. Dopo anni in cui l’allarme clandestini sugli sbarchi dall’Albania, con una grande cassa di risonanza sui media nazionali, era al centro dell’attenzione, la rotta adriatica è passata nell’oblio rispetto a quella mediterranea. In questo senso un contributo decisivo l’ha dato il conflitto del Kosovo nel 1999, quando l’Adriatico venne blindato per esigenze strategiche e l’immigrazione con i cosiddetti barconi diventava difficile. La criminalità che gestisce il traffico degli esseri umani dall’Est europeo ha solo cambiato strategia, aiutata dal fatto che tutti i media si sono concentrati sui flussi nordafricani, con il corollario di allarmismo sociale e mediatico legato alla fede islamica dei migranti che provengono dall’Africa. La mafia balcanica ha così potuto agire più o meno indisturbata, cambiando solo tecnica per l’immigrazione clandestina. In questo settore primeggia la mafia kosovara. La guerra ha creato nella provincia serba a maggioranza albanese una sorta di terra di nessuno che, in breve tempo, è stata presa in mano dalla malavita organizzata. Il traffico di clandestini, quello delle armi e della droga, oltre al business della gestione degli aiuti internazionali, fanno del Kosovo una terra senza legge, dove le Nazioni Unite, che hanno la responsabilità della regione fino alla definizione di uno status definitivo per il quale sono in corso negoziati internazionali a Vienna, non sono in grado di fare nulla. Come hanno dimostrato le 19 vittime del 2004.
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