Da Corriere della Sera del 21/03/2003

Quella «sporca dozzina» «Mi sento bene. Iniziamo» Così Bush ha deciso il blitz

Convinto dalla Cia: sappiamo dov’è Saddam adesso Giallo sul figlio Qusay. Al Jazira: ucciso dalle bombe

Saddam e 11 generali sono i primi obiettivi delle forze Usa: al Pentagono sono chiamati «la sporca dozzina». Sono: Uday Hussein, Qusay Hussein, Abed Hameed Hmoud, Izzat Ibrahim (suocero di Uday), Ali Hassan Al Majid, Saadoun Hammadi, Taha Yassin Ramadan, Iyad Futiyeh Al-Rawi, Taha Muhie-Eldin Marouf (l’unico curdo), Naji Sabri e Tarek Aziz (l’unico cristiano).

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Al secondo giorno di guerra, Al Jazira , la tv del Qatar, e l'opposizione irachena nella regione curda accendono le speranze dell'America: forse nell'attacco a Bagdad delle 3,33 del mattino di ieri ora italiana è morto Qusay, uno dei due figli di Saddam Hussein; la sorte dello stesso raìs è incerta.
La Casa Bianca non conferma e non smentisce. Il Pentagono è laconico: «Non abbiamo ancora valutato i danni arrecati al nemico» ribatte il ministro della Difesa Donald Rumsfeld. Ma nessuno dei due contesta che il «decapitation strike », l'attacco della decapitazione del vertice iracheno, possa avere dato frutti. Si chiama la «fog of war », la nebbia del conflitto: sono le voci che nascono mentre la battaglia infuria e si elidono a vicenda. L'Iraq smentisce: sì, missili e bombe hanno centrato la villa del raìs, ma senza fare vittime.
In una breve dichiarazione, George Bush ignora le voci. Si dichiara «fiducioso di raggiungere i nostri obbiettivi», ribadisce che la guerra «renderà l'America più sicura», elogia «il coraggio e la capacità» dei soldati, e insiste che la coalizione della volontà aumenta, supera i quaranta membri, li ringrazia tutti.
L'altroieri il presidente ha ammonito che il conflitto potrebbe essere «più difficile e più lungo del previsto», ma ieri appariva sereno e disteso. E' chiaro che non ha rinunciato al sogno di eliminare di un solo colpo Saddam Hussein, i figli, e i più alti gerarchi del regime prima che i combattimenti diventino carneficine, e di dimostrare al mondo quali vette raggiungano la potenza e le tecnologie americane. E' per realizzarlo che Bush ha compiuto un atto senza precedenti, ordinando l'immediata distruzione del bunker del raìs a Bagdad, e scavalcando i militari che volevano cominciare il conflitto ventiquattr’ore dopo con il più massiccio attacco della storia.
Per l'America assediata dal terrorismo, mercoledì doveva essere una ordinaria giornata di paura, trascorsa nella attesa che il presidente scatenasse l'attacco alle 20 e 15, le 2 e 15 italiane di ieri, alla scadenza dell'ultimatum al dittatore iracheno. Nel pomeriggio la Casa Bianca aveva segnalato che le ostilità non sarebbero iniziate subito, e l'ansia era scemata. «Tutto è cambiato tra le 18 e 30 e le 19 - ha riferito il Pentagono - al termine di una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza nazionale». «Bush ha stracciato i piani militari», ha scritto il Washington Post , dando il via libera all'uccisione di Saddam Husseim.
Nella massima segretezza, il presidente ha telefonato al generale Tommy Franks, il vincitore dell'Afghanistan, il comandante della «Operazione libertà per l'Iraq», dicendogli di tenere all'oscuro della missione gli alleati. I missili e le bombe intelligenti sono stati riprogrammati con i dati digitali della Cia, e alle 21 e 33, le 3 e 33 del mattino di ieri in Italia, hanno colpito Bagdad. Bush ha personalmente avvertito il premier britannico Tony Blair solo un'ora prima.
La serata più lunga del presidente è incominciata con una telefonata di Tenet alle 15 e 40. «Sappiamo che Saddam e i suoi vertici sono in un bunker di una villa di Bagdad e ci rimarranno per alcune ore - lo ha informato il direttore della Cia -. E' un'opportunità di eliminarli che forse non si ripresenterà mai più».
Per la terza volta, il presidente ha convocato i suoi fidi: il vicepresidente Richard Cheney, il capo di gabinetto Andrew Card, Rumsfeld, il consigliere Condoleezza Rice, il segretario di Stato Colin Powell, il capo di Stato maggiore delle forze armate Richard Meyers. Tenet ha mostrato le fotografie satellitari della villa, ha parlato di « humint » ( human intelligence ) o informatori di fiducia, ha ammonito che Saddam Hussein si sposterà ogni giorno in località diverse. La discussione è durata tre ore circa.
Fonti del Congresso dicono che la colomba Powell e Myers, restio a cambiare i piani, si siano pronunciati contro il blitz, gli altri a favore. Bush ha ascoltato i falchi. Alle 7 e 20, dopo la telefonata a Franks, si è recato a cena con la first lady Laura.
Da quell'instante, all'insaputa dell'America, gli eventi sono precipitati. Alle 20, Card ha chiamato il presidente: «L'ultimatum è scaduto, e Saddam Hussein non è in esilio». Alle 21, le 3 italiane, il portavoce della Casa Bianca Ari Fleischer ha suggerito ai principali media di essere «flessibili» nei loro orari di chiusura. E' stato il primo segnale che la guerra poteva venire anticipata di 24 ore. Mezz'ora più tardi, le telecamere automatiche installate a Bagdad da alcune tv via cavo hanno trasmesso le immagini del blitz, una scena angosciosa e surreale, sullo sfondo nero e verde delle tenebre. Alle 21 e 45 Fleischer si è presentato in sala stampa: «Alle 22 e 15 il presidente si rivolgerà alla nazione». Accompagnato da Card, Bush è tornato nello studio Ovale, e si è seduto alla scrivania «Risoluta», così detta perché costruita col legname dell'omonima nave della imperatrice Vittoria, la stessa usata dal presidente John Kennedy. Ha raccontato Card che Bush ha sorriso e allargato le braccia: «Mi sento bene, incominciamo».
Alle sue spalle, il vessillo presidenziale era stato dispiegato in modo che risaltasse la faretra con le frecce. Il discorso di Bush è suonato duro e freddo: non prenderemo mezze misure e non accetteremo nulla se non la vittoria, un monito che non ripeterà quello che considera l'errore del padre, che si fermò sulla via di Bagdad. Bush non ha fatto cenno al suo sogno, che lo consegnerebbe alla storia come il leader che distrusse il raìs senza distruggere l'Iraq. Saranno i prossimi giorni a dire se il sogno diverrà una realtà.

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