Da La Repubblica del 28/03/2003
Originale su http://www.repubblica.it/online/esteri/iraqattaccoundici/zucconi/zucco...
Bush e Blair alleati per forza
di Vittorio Zucconi
WASHINGTON - La lama che taglia le bugie della propaganda arriva in un numero gelido nella sua grandezza: 120 mila soldati, i rinforzi che il Pentagono si prepara a mandare in Iraq, rivela Cnn, per combattere questa guerra ormai radicalmente cambiata. Non più blitzkrieg, la corsa a Bagdad tra insurrezioni festanti, ma war of attrition, guerra di logoramento. Avevano dunque ragione i "disfattisti", come li avevano subito bollati i "prussiani" di Bush, e i generali anonimi che ieri confidavano al Washington Post che in questa guerra non si vede ancora la fine. Servono più uomini per controllare il territorio, le linee di comunicazione, la guerriglia e per l'assalto finale a Bagdad.
La si chiami in un altro modo, se la forza evocativa della parola fa paura, ma questa è piena escalation, lanciata per accendere la luce alla fine del tunnel iracheno. Che le cose non stessero affatto andando secondo i piani era diventato evidente guardando parlare insieme i soli due "belligeranti". La voce di Tony Blair, nella conferenza pubblica dopo l'incontro con Bush a Camp David, si era spezzata quando aveva salutato i suoi prigionieri "giustiziati" a freddo dalle squadre della morte di Hussein. E nella commozione di Blair, sotto lo sguardo sorpreso di Bush che voleva soltanto proclamare lui l'immancabile vittoria, la guerra aveva mostrato quello che la propaganda politica non riesce più a nascondere: non soltanto che la campagna è ferma davanti a Bagdad e che ogni scenario, compreso l'impronunciabile rappresaglia nucleare contro l'arma chimica, sta diventando concepibile. Ma anche che questa guerra ha, e ha sempre avuto, due anime, due sensibilità. Che c'è una guerra americana e una guerra europea.
Come alle Azzorre, Bush aveva la solita aria irritata che assume quando deve rispondere improvvisando. "Fateci due domande e poi basta", intimava ai giornalisti. Presidente, è vero che questa guerra potrebbe durare mesi? "La guerra durerà quanto durerà. Tutto quello che vi deve importare, è sapere che finirà con la nostra vittoria". Next, avanti un altro. Userà l'arma nucleare se Saddam usasse le armi chimiche? "Raggiungeremo i nostri obiettivi". Dunque non esclude...? Next, next. Perché ci sono così poche nazioni combattenti al suo fianco? "Ce ne sono più che nel 1991 e molte sono europee occidentali, ieri ho anche dato l'elenco" (eccolo, l'elenco: Romania, Bulgaria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia). Next. Quale ruolo per l'Onu nel dopoguerra? "Un ruolo umanitario".
La faccia americana è questa. È il volto di una iperpotenza che non riesce a capire come un miserabile despota arabo, armato di sicari e residuati sovietici, possa avere insabbiato l'armada della new war. E la faccia europea era quella di un Blair, intrappolato nella propria cobelligeranza, ma preoccupato di quel "dopo" che Bush ignora o immagina soltanto come un protettorato militare americano, con l'Onu castigato e ridotto a Croce Blu, per la distribuzione di pacchi dono e coperte.
Blair si sbracciava e si agitava, per dire che, a vittoria acquisita, si "dovrà tornare al Consiglio di Sicurezza per chiedere una risoluzione", e soprattutto che "ci si dovrà interrogare, e incontrarsi fra noi, per discutere delle ragioni che ci hanno diviso, che vedono tante nazioni e tante folle europee opposte a questa guerra"; e Bush lo guardava come un marziano.
Le preoccupazioni affiorano anche nei media americani, che sfidano i soliti anatemi da "disfattisti" lanciati dai prussiani di Bush. Affiorano sul Washington Post, dove l'esperto di affari militari, Tom Ricks, aveva registrato le ansie dei generali che dal Pentagono si chiedono "dove sta la fine?". Le "armi sono intelligenti, ma questa guerra è stupida" interviene Harold Myerson, dalle pagine dell'American Prospect; e il New York Times, sempre molto scettico, riconosce che la campagna militare deve "imparare a subire sconfitte".
Il più prussiano di tutti, William Safire, invocava la nuova speranza, la "irachizzazione", introducendo uomini della diaspora irachena e armandoli, anche qui qualcosa che somiglia angosciosamente ai sogni falliti di "vietnamizzazione" della guerra in Indocina. Mark Bowden, l'autore del saggio sulla tragedia del Black Hawk in Somalia, si alza per ricordare che "anche il meglio intenzionato dei liberatori corre sempre il rischio di diventare un invasore, quando combatte in una nazione e in una cultura diverse".
"Non accetteremo un cessate il fuoco, ma solo una resa senza condizioni" ricorda Bush. Dall'Onu, si riascolta la voce di Hans Blix - l'ispettore capo, quello che i media americani dileggiavano chiamandolo l'Ispettore Clouseau, l'inetto detective della Pantera Rosa: "Dove sono i missili Scud proibiti che gli Usa erano sicuri di trovare?". Dove sono?
La si chiami in un altro modo, se la forza evocativa della parola fa paura, ma questa è piena escalation, lanciata per accendere la luce alla fine del tunnel iracheno. Che le cose non stessero affatto andando secondo i piani era diventato evidente guardando parlare insieme i soli due "belligeranti". La voce di Tony Blair, nella conferenza pubblica dopo l'incontro con Bush a Camp David, si era spezzata quando aveva salutato i suoi prigionieri "giustiziati" a freddo dalle squadre della morte di Hussein. E nella commozione di Blair, sotto lo sguardo sorpreso di Bush che voleva soltanto proclamare lui l'immancabile vittoria, la guerra aveva mostrato quello che la propaganda politica non riesce più a nascondere: non soltanto che la campagna è ferma davanti a Bagdad e che ogni scenario, compreso l'impronunciabile rappresaglia nucleare contro l'arma chimica, sta diventando concepibile. Ma anche che questa guerra ha, e ha sempre avuto, due anime, due sensibilità. Che c'è una guerra americana e una guerra europea.
Come alle Azzorre, Bush aveva la solita aria irritata che assume quando deve rispondere improvvisando. "Fateci due domande e poi basta", intimava ai giornalisti. Presidente, è vero che questa guerra potrebbe durare mesi? "La guerra durerà quanto durerà. Tutto quello che vi deve importare, è sapere che finirà con la nostra vittoria". Next, avanti un altro. Userà l'arma nucleare se Saddam usasse le armi chimiche? "Raggiungeremo i nostri obiettivi". Dunque non esclude...? Next, next. Perché ci sono così poche nazioni combattenti al suo fianco? "Ce ne sono più che nel 1991 e molte sono europee occidentali, ieri ho anche dato l'elenco" (eccolo, l'elenco: Romania, Bulgaria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia). Next. Quale ruolo per l'Onu nel dopoguerra? "Un ruolo umanitario".
La faccia americana è questa. È il volto di una iperpotenza che non riesce a capire come un miserabile despota arabo, armato di sicari e residuati sovietici, possa avere insabbiato l'armada della new war. E la faccia europea era quella di un Blair, intrappolato nella propria cobelligeranza, ma preoccupato di quel "dopo" che Bush ignora o immagina soltanto come un protettorato militare americano, con l'Onu castigato e ridotto a Croce Blu, per la distribuzione di pacchi dono e coperte.
Blair si sbracciava e si agitava, per dire che, a vittoria acquisita, si "dovrà tornare al Consiglio di Sicurezza per chiedere una risoluzione", e soprattutto che "ci si dovrà interrogare, e incontrarsi fra noi, per discutere delle ragioni che ci hanno diviso, che vedono tante nazioni e tante folle europee opposte a questa guerra"; e Bush lo guardava come un marziano.
Le preoccupazioni affiorano anche nei media americani, che sfidano i soliti anatemi da "disfattisti" lanciati dai prussiani di Bush. Affiorano sul Washington Post, dove l'esperto di affari militari, Tom Ricks, aveva registrato le ansie dei generali che dal Pentagono si chiedono "dove sta la fine?". Le "armi sono intelligenti, ma questa guerra è stupida" interviene Harold Myerson, dalle pagine dell'American Prospect; e il New York Times, sempre molto scettico, riconosce che la campagna militare deve "imparare a subire sconfitte".
Il più prussiano di tutti, William Safire, invocava la nuova speranza, la "irachizzazione", introducendo uomini della diaspora irachena e armandoli, anche qui qualcosa che somiglia angosciosamente ai sogni falliti di "vietnamizzazione" della guerra in Indocina. Mark Bowden, l'autore del saggio sulla tragedia del Black Hawk in Somalia, si alza per ricordare che "anche il meglio intenzionato dei liberatori corre sempre il rischio di diventare un invasore, quando combatte in una nazione e in una cultura diverse".
"Non accetteremo un cessate il fuoco, ma solo una resa senza condizioni" ricorda Bush. Dall'Onu, si riascolta la voce di Hans Blix - l'ispettore capo, quello che i media americani dileggiavano chiamandolo l'Ispettore Clouseau, l'inetto detective della Pantera Rosa: "Dove sono i missili Scud proibiti che gli Usa erano sicuri di trovare?". Dove sono?
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