Da La Repubblica del 31/03/2003
Originale su http://www.repubblica.it/online/esteri/iraqattaccoquindici/camion/cami...

Quindici i soldati americani rimasti feriti. L'estremismo islamico al fianco di Saddam Hussein

Kuwait, un camion contro i marines

di Magdi Allam

KUWAIT CITY - Troppe le coincidenze perché non sorga il sospetto di un'unica regia dell'offensiva terroristica che ha ormai nell'Iraq di Saddam Hussein il suo epicentro e il suo mentore. L'attacco di un camion che ieri a velocità sostenuta si è scagliato con un gruppo di marines in una base americana nel nord del Kuwait, ferendone una decina, segue di poche ore l'attentato suicida di Najaf costato la vita a quattro soldati statunitensi. Contemporaneamente cresce e si precisano i contorni di una vera e propria mobilitazione dell'estremismo islamico, da Al Qaeda alla Jihad palestinese, al fianco di Saddam.

Si sta così materializzando, al di là delle posizioni e delle intenzioni originarie, una sorta di internazionale del terrore con una leadership a due teste, Saddam e Bin Laden, che ha eletto l'Iraq come territorio del Jihad, la Guerra santa islamica.

L'estremo sacrificio della propria vita è diventato la massima ambizione di migliaia di aspiranti "martiri" che stanno affluendo in Iraq. Certamente Saddam sa come "incoraggiare" queste potenziali bombe umane che intenzionalmente hanno in tasca il biglietto di sola andata per Bagdad. Alla famiglia dell'ufficiale iracheno che si è immolato a Najaf, ieri sono stati consegnati 30 mila dollari oltre alla promozione simbolica al rango di colonnello e due onorificenze dello Stato. La stessa somma è stata promessa alle famiglie dei futuri "martiri" giunti in Iraq da diversi paesi arabi e musulmani. Si tratta di un incentivo per tante famiglie che hanno tanti figli e nessun introito. Si pensi alla realtà dei palestinesi che nella maggioranza vive al di sotto della soglia di povertà, con meno di due dollari al giorno.

L'emergere della centralità dell'arma dei kamikaze nella guerra in atto, per Saddam è una sorta di ritorno al passato. Il 7 ottobre 1959, a 22 anni, venne scelto insieme ad altri quattro killer del Baas per assassinare il generale Abdel Karim Kassem. Si trattava di un'azione suicida. Difficilmente i membri del commando ne sarebbero usciti vivi. Saddam, allora semplice simpatizzante, "accettò l'incarico considerandolo un onore", dovendo operare insieme a compagni ben più avanti nella scala gerarchica del Partito. L'attentato fallì, Saddam fu costretto a fuggire prima in Siria e poi in Egitto. Ma quell'episodio ha rappresentato uno spartiacque nella sua vita. Nell'epopea ufficiale viene paragonato all'emigrazione del profeta Mohammad (Maometto) dalla Mecca a Medina nel 622, data che segna l'inizio del processo di fondazione della prima comunità musulmana.

L'atteggiamento di Saddam con gli aspiranti kamikaze ricorda quello assunto il 21 marzo 1985 con un anziano paralitico, a cui tributò la massima onorificenza irachena, in aggiunta a una grossa somma di denaro, per aver ucciso il figlio perché si rifiutava di andare a combattere nella guerra contro l'Iran: "Che Allah ti conservi e ti protegga, il Paese ha bisogno di eroi simili!", gli disse il rais. Oggi Saddam conferma il valore strumentale che riserva alla vita dell'uomo. Ha cinto d'assedio 6 milioni di abitanti di Bagdad, creando una trincea piena di petrolio che brucia e un reticolato di filo spinato elettrificato. La popolazione sarà lo scudo umano dietro il quale si proteggerà dall'attacco dell'esercito americano.

Le migliaia di kamikaze saranno invece la punta di lancia delle forze d'elite che combatteranno strada per strada per proteggerlo. L'insieme di questo scenario riflette bene la mentalità di Saddam, che si pone al centro del mondo ed è convinto che il mondo intero complotti contro di lui. Dietro all'arma dei kamikaze c'è la paura e l'esaltazione della morte di un uomo che non ha mai saputo apprezzare la vita.

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