Da Corriere della Sera del 01/04/2003

Bush suona la carica

«Siamo ogni giorno più vicini Vi portiamo cibo e libertà»

Il presidente da Filadelfia manda un messaggio al popolo iracheno: «In dodici giorni le nostre truppe hanno assunto il controllo della maggior parte del Paese»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Dal porto di Filadelfia, città che fu culla della dichiarazione d’indipendenza americana, il presidente Bush rivolge un messaggio agli iracheni: «Qui dove è nata la nostra libertà, vi dico: stiamo arrivando con forza possente per distruggere il regime che vi opprime, stiamo arrivando per portarvi aiuti e una vita migliore, stiamo arrivando per rendervi liberi».
Questo è un « pledge », un giuramento, aggiunge il presidente. Poi un messaggio agli americani: «Da dodici giorni, le nostre truppe si battono in modo brillante. In dodici giorni abbiamo assunto il controllo della maggior parte dell'Iraq del Sud e dell'Ovest. Molti pericoli ci attendono, ma giorno per giorno ci avviciniamo a Bagdad, e giorno per giorno ci avviciniamo alla vittoria». Bush vuole rassicurare la nazione che la guerra dell'Iraq va bene. E agli iracheni manda a dire che questa volta non sarà come nel ’91: questa volta Saddam Hussein verrà abbattuto. Lo fa mentre i media svelano che il governo è diviso, e il Washington Post descrive una fronda di ex membri di amministrazioni repubblicane (compresa quella del padre). E mentre il segretario di Stato Colin Powell, la colomba sconfitta nel braccio di ferro con il falco, il ministro della Difesa Donald Rumsfeld, riprende quota e parte alla volta di Bruxelles e di Ankara con il compito di ricostruire i ponti politici. Lo sfondo della guerra è inquietante, una escalation che potrebbe coinvolgere persino la Siria e l'Iran - Powell stesso lo ha minacciato - ma Bush non vi fa cenno.
Il presidente si concentra su altri due punti, la giusta causa del conflitto e le atrocità del dittatore. Afferma che le campagne contro l'Iraq e Al Qaeda «preverranno gravi pericoli in tutto il mondo e salveranno innumerevoli vite umane». Si scaglia ancora sui «crimini» di Saddam Hussein: «Continua a usare il terrore. Se gli iracheni non combattono, gli squadroni della morte li assassinano. Chi scappa viene fucilato alla schiena. Scuole e ospedali fanno da basi militari». E' come se Bush rivendicasse la moralità del suo intervento in Iraq e rimproverasse gli alleati che lo hanno abbandonato. Ma non è chiaro se stia porgendo loro un ramo d'ulivo, se il recupero di Powell sia il segno del declino di Rumsfeld, sinora vincente.
Forse ciò che più preme al presidente è riprendere da un lato l’iniziativa nel confuso quadro bellico, e dall'altro risanare la spaccatura tra i falchi e le colombe. Domenica, nei suoi blitz alle tv, Rumsfeld non vi è riuscito, ma il compito è urgente. Secondo il Washington Post le colombe, che pare s'annidino soprattutto al Dipartimento di Stato, accusano apertamente i falchi, tra cui il vicepresidente Dick Cheney e il sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz, di avere dato «consigli idioti» ( bum advice ) a Bush. Nella loro analisi, le garanzie dei falchi che una guerra «cominciata in corsa» sarebbe stata facile e che l'accoglienza degli iracheni sarebbe stata calorosa hanno spinto Bush «su una strada pericolosa e sbagliata». Le colombe si chiedono con inquietudine se il presidente «abbia imparato la lezione» o se continuerà ad ascoltare i cattivi consiglieri, a discapito di Powell, provocando in avvenire un nuovo e più dannoso scontro all'Onu e alla Nato sul dopo Saddam.
Nell'amministrazione, le colombe sono oggi in minoranza. Ma stando al Washington Post le appoggia una potente fronda esterna formata da alti esponenti dei governi precedenti, in particolare quello di Bush padre. La guiderebbero l'ex consigliere della Sicurezza Brent Scowcroft, che dirige il Foreign intelligence board, un organo consultivo della Casa Bianca, e l'ex segretario di Stato James Baker. Scowcroft e Baker si sono schierati per le truppe al fronte, ma senza ritirare le critiche mosse alle scelte di Bush figlio. Per questo motivo, prosegue il Washington Post , il loro accesso al presidente «viene limitato». Il giornale cita un anonimo ex: in caso estremo, la fronda potrebbe ricorrere a Bush padre, che vorrebbe che il figlio ricucisse il rapporto con l'Europa e con il mondo arabo, e che premesse duramente su Israele per la pace in Palestina.
Per ora, Bush senior si è tenuto al di sopra della mischia. Ma in un'intervista a Neewsweek , senza essere sollecitato, ha difeso due volte Powell. Molti vi hanno visto un monito ai falchi a non tentare di sbarazzarsi del segretario di Stato. Anche Powell, l'architetto del trionfo del '91 nel Golfo Persico, temporeggia, sebbene abbia già riscosso un successo: il recupero della dottrina Powell da parte dei generali sul campo, «attaccare con forze schiaccianti», e l'abbandono della dottrina Rumsfeld. Forse, per la resa dei conti, falco e colomba attendono la fine del conflitto.

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