Da La Repubblica del 01/04/2003
Originale su http://www.repubblica.it/online/esteri/iraqattaccosedici/powell/powell...

La Casa Bianca invia d'urgenza Powell in Europa per tentare di ricucire i rapporti con gli alleati

Bush respinge le critiche "Bagdad stiamo arrivando"

di Vittorio Zucconi

WASHINGTON - "Stiamo arrivando, Bagdad, siamo ogni giorno più vicini". E' Bush che lancia il contrattacco politico, militare e propagandistico dell'America insabbiata, nella mattina del primo lunedì dopo il week end dei dubbi e delle incertezze. Si muove per primo il presidente che questa volta sceglie la città incubatrice della storia americana, Filadelfia, per dire che "abbiamo il controllo ormai di quasi tutto l'Iraq", le truppe "si battono brillantemente" e il terrorismo globale "non deve pensare che l'America sia distratta dalla guerra".

Ssi danno da fare i generali, rimessi in riga dopo i brontolii disfattisti e ci avvertono che è cominciata la battaglia finale di Bagdad, le avanguardie sono penetrate nel "cerchio rosso", l'ultima cintura difensiva e forse la notizia è persino vera, dopo due settimane di tronfia disinformazione. Ma si risveglia soprattutto la politica, riesumando quel Colin Powell spedito d'urgenza in Europa, oggi in Turchia e poi a Bruxelles, per fare ciò che l'amministrazione americana avrebbe dovuto fare molto prima. Cominciare la indispensabile ricucitura con gli alleati europei che dovranno combattere per la lunga e difficile occupazione, dopo aver rifiutato di belligere per la guerra.

Sarebbe troppo dire che questo viaggio improvviso di Powell sia il segno che l'Imperatore americano va a Canossa. La riscoperta della politica e la riesumazione del volto umano di questa presidenza, del "generale buono" dopo lo spettacolo dei "falchi cattivi" rimasti impigliati nei loro eccessi ideologici, è, più realisticamente, il segno che la lunga agonia del regime iracheno potrebbe avere reso senza volerlo un servizio all'Occidente disperso in guerra.

Avere restituito voce e autorità a quelle correnti interne al governo americano, da Powell alle destra repubblicana moderata che fa capo a Bush il Vecchio, che hanno subito, ma non sposato, la prepotenza della destra unilateralista e neo conservatrice incarnata da Rumsfeld.

Washington gioca quindi la carta del "poliziotto buono", dopo lo show non brillante del "poliziotto cattivo". Vuole suggerire ai turchi ribelli e poi a tedeschi e francesi, che sarà meglio per tutti se cederanno qualcosa. Che è nell'interesse politico ed economico di tutti se l'Europa uscirà dalla sua opposizione e collaborerà con Bush, per il bene di chi vuole tenere a freno i predicatori fondamentalisti americani della "guerra preventiva" e impedire una ripetizione all'infinito, in Iran, in Corea del Nord, in Siria, di quello che stiamo vedendo in Iraq.

In cambio, Powell si offrirà di essere la voce della moderazione e della ragione, a Washington, il leader di quella diplomazia pensante e non ideologica che sul New York Times si è descritta come "sconvolta", ieri, da un'avventura militare lanciata con tanta frettolosa superficialità.

Al Dipartimento di Stato, quel nido di liberal e di "pacifisti" come li chiamano i nipotini del maccartismo che oggi vede "pacifisti" ovunque come ieri vedeva "comunisti" in ogni ambasciata, guardano al dopoguerra, al momento nel quale la bandiera dei conquistatori sventolerà sui palazzi di Saddam e comincerà quella occupazione che esporrà le truppe, il buon nome degli Usa e con loro l'Occidente intero, all'incubo della Cecenia, della Palestina, dell'Afghanistan, del Libano e del Vietnam. Più che tra "falchi" e "colombe", il dissenso che scuote il vertice americano al dodicesimo giorno di guerra, è dunque tra i "miopi" e i "presbiti", tra coloro che vedono soltanto le operazioni militari e coloro che guardano al futuro.

Nei giorni che avevano preceduto la discesa verso l'invasione, qualche voce prudente si era chiesta perché Powell fosse rimasto bloccato nel suo ufficio all'ultimo piano del Dipartimento di Stato. I vecchi del team di Bush Primo, da Scowcroft, il capo di gabinetto di allora, a Jim Baker, il segretario di Stato nel 1990, avevano incoraggiato Powell a partire per affrontare faccia a faccia i turchi, gli europei esitanti, i russi, la Nato, come proprio Baker aveva fatto, prima di lanciare l'offensiva militare del '91, con una grande e vera coalizione in campo. Il vecchio Bush in persona, in alcuni discorsi pubblici, aveva fatto capire di non essere completamente convinto di questo rush to war, corsa alla guerra trascinando "chi ci sta".

La risposta di Powell era stata umiliante per lui: "Non ho bisogno di viaggiare, posso parlare con tutti al telefono" e la risposta della Casa Bianca era stata ancora più brutale. Aveva bloccato ogni comunicazione tra i vecchi assistenti del padre e suo figlio, considerati troppo "ragionevoli" dai pretoriani della guardia di ferro.

Le telefonate di Scowcroft e di Baker, che pure fu l'avvocato che vinse contro Gore il duello delle schede ballerine in Florida per contro di George W, venivano rifiutate. Si era molto irritato proprio il vecchio ex presidente, quando aveva visto l'isolamento e lo scherno del quale era circondato l'ultimo dei "suoi" alla corte del figlio. "Non sopporto quando criticano Colin Powell", aveva detto.

E quando la trionfale parata tra ali di folla festante filmata dalle telecamere compiacenti dei reporter assegnati ai reparti non si è materializzata ed è diventata la guerra di logoramento nelle vie di Bassora, e nei sobborghi di Bagdad, il "poliziotto buono" è stato ripescato e messo sull'aereo per Ankara e per Buxelles.

La speranza dei moderati a Washington e quella degli europei amici dell'America, ma turbati dall'andamento della guerra e dai suoi sviluppi, è che questa missione Powell non sia soltanto una mossa tattica, una cortina fumogena per nascondere il temporaneo stallo dell'invasione, in attesa della "giornata di sole".

Il prezzo della vittoria finale e i costi colossali del dopoguerra sarebbero più tollerabili per un'America meno presuntuosa e dunque meno sola, davanti agli episodi tanto inevitabili quanto orrendi che ci attendono, come quello riportato ieri dal New York Times, al quale un marine ha confessato: "Stavo sparando su un iracheno quando una chick - ha detto proprio così, una pollastrella, una ragazza - si è messa in mezzo e l'ho abbattuta. Sorry".

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