Da Il Resto del Carlino del 19/03/2003

«Sarà la guerra dei sette giorni»

di Cesare De Carlo

WASHINGTON — Edward Luttwak, consulente del Pentagono in questa vigilia di guerra, sta per partire per il Kuwait, da dove seguirà le prime fasi dell'attacco anglo-americano.

Scaduto l'ultimatum, cominceranno le operazioni militari?
«Sì. Non ho dubbi al riguardo».

Per cui, finito il balletto all'Onu, scaduto l'ultimatum, il presidente Bush darà il 'go ahead'?
«Sì. Ha cercato la soluzione diplomatica. Non l'ha ottenuta. Rimane la soluzione di forza. Non una sorpresa. L'aveva preannunciato già un anno fa, quando denunciò l'asse del male. La guerra americana contro il terrorismo non si sarebbe limitata a colpire Al Qaeda, ma tutti i Paesi che in una qualche maniera l'hanno sponsorizzata o possiedono armi di distruzione di massa suscettibili di cadere nelle sue mani».

Quando scatterà l'ora X?
«Da venerdì. O anche prima».

E come si svilupperà l'offensiva?
«Partirà dal Kuwait, dove sono ammassate l'armata americana e la più piccola armata britannica».

Quanto dista Bagdad?
«Circa 600 chilometri».

E quanto ci vorrà per conquistarla?
«Meno di quattro giorni. So bene che fare previsioni quando si parla di guerra è da folli. Ma questa volta rischio. Bassora sarà presa in 24 ore. Tikrit, la roccaforte di Saddam, in tre giorni».

Rischi ancora con le previsioni. La guerra quanto durerà?
«Una settimana al massimo».

Quali altri reparti saranno impiegati?
«I reparti leggeri. Fra questi, da parte americana, la 101 esima Divisione aerotrasportata e la 173 esima brigata paracadutisti. Da parte britannica la 16 esima brigata aerea. Sbarcheranno dal cielo, via aereo o via elicottero, nel deserto alle porte di Bagdad, prima dell'arrivo delle colonne corazzate. Avranno il compito di prevenire che Saddam Hussein incendi i pozzi petroliferi».

Il Pentagono ha fatto sapere che l'intensità dei bombardamenti sarà senza precedenti. Eppure nella regione ci sono meno della metà degli aerei impiegati nel 1991. Come si spiega la previsione?
«Col fatto che i circa mille aerei stazionati nel Golfo Persico sono tutti dotati di bombe intelligenti. Nel 1991 non era così. Più precisi di allora sono anche i missili da crociera, circa 900, imbarcati sulle navi americane. Il che consentirà di limitare al minimo le perdite civili. Colpiranno obiettivi selezionati di rilevanza militare e non infrastrutture».

L'efficacia dei bombardamenti sarà dunque superiore?
«Sì, e i bombardamenti dureranno molto di meno. Qualche giorno e non tre settimane, come avvenne dodici anni fa. Il numero degli obiettivi che possono essere colpiti nelle prime 48 ore è quattro volte maggiore di dodici anni fa».

Per esempio?
«Installazioni missilistiche, comandi, caserme della Guardia Repubblicana e delle altre cinque forze di sicurezza, sedi del partito Bath, i palazzi presidenziali e i possibili nascondigli di Saddam fuori Bagdad e a Tikrit».

Una volta conquistata Bagdad, la guerra potrà essere considerata finita.
«A mio parere sì. Nelle speranze di Saddam Hussein no».

Cosa vuol dire?
«Voglio dire che la popolazione odia Saddam Hussein. E' presumibile pensare che accolga gli invasori come liberatori. Saddam Hussein ha invece ordinato combattimenti casa per casa. Qualche reparto gli obbedirà, ma non credo per molto».

Insomma non ci sarà un'altra Stalingrado?
«Direi proprio di no. Caduta la capitale irachena il destino di Saddam Hussein sarà sanzionato. Saddam sa di essere più debole rispetto alla prima guerra del Golfo. Sa bene di non poter affrontare gli anglo-americani in campo aperto. Non credo che farà ricorso alle armi chimiche, anche se i proiettili sono stati già forniti all'artiglieria. Non credo che potrà lanciare più di 19 missili Scud».

Il Pentagono afferma che il successo si misurerà sulla rapidità della conquista di Bagdad. E così?
«Sì».

Anche in termini politici?
«Soprattutto in termini politici. Le immagini da Bagdad, la folla giubilante, la caccia ai collaboratori di Saddam farebbero presto dimenticare le polemiche sulla guerra preventiva. E si potrebbe cominciare a pensare alla ricostruzione di un Iraq democratico».

Lei ci crede?
«Credo che gli scopi annunciati dal presidente Bush al riguardo siano contraddittori: democratizzazione e conservazione dell'integrità territoriale dell'Irak non si conciliano. Ma questo è un altro discorso».

Sullo stesso argomento

Articoli in archivio

Come accadde in Vietnam, il governo Usa non riesce a pilotare giornali e tv verso il sostegno patriottico
Il nuovo nemico: il terrorismo mediatico
Bush in difficoltà: si parla troppo di violenza in Iraq e poco della ricostruzione
di Anna Guaita su Il Messaggero del 25/09/2004
 
Cos'� ArchivioStampa?
Una finestra sul mondo della cultura, della politica, dell'economia e della scienza. Ogni giorno, una selezione di articoli comparsi sulla stampa italiana e internazionale. [Leggi]
Rassegna personale
Attualmente non hai selezionato directory degli articoli da incrociare.
Sponsor
Contenuti
Notizie dal mondo
Notizie dal mondo
Community
• Forum
Elenco degli utenti

Sono nuovo... registratemi!
Ho dimenticato la password
• Sono già registrato:
User ID

Password
Network
Newsletter

iscriviti cancella
Suggerisci questo sito

Attenzione
I documenti raccolti in questo sito non rappresentano il parere degli autori che si sono limitatati a raccoglierli come strumento di studio e analisi.
Comune di Roma

Questo progetto imprenditoriale ha ottenuto il sostegno del Comune di Roma nell'ambito delle azioni di sviluppo e recupero delle periferie

by Mondo a Colori Media Network s.r.l. 2006-2024
Valid XHTML 1.0, CSS 2.0