Da La Stampa del 07/04/2003

Saddamiana

La preghiera di Bush e l'invocazione ad Allah

di Mimmo Candito

LA fine di una tragedia imporrebbe, a tutti, obblighi di rispetto che nessuna circostanza dovrebbe poter violare. Dopo che ogni mullah, in qualsiasi parte del mondo musulmano, lancia a ogni buona occasione anatemi di guerre sante contro gli infedeli, ora il fatto che Saddam Hussein - negli ultimi appelli televisivi - abbia esortato il popolo dell'Iraq, e l'intero Islam, al jihad contro gli Stati Uniti, viene considerato con qualche sprezzante distacco. Come se fosse soltanto la rituale manifestazione d'una «barbarica» costumanza, di quella civiltà arabo-musulmana che va scivolando al margine della storia.

Ma se, dall'altra parte del fronte di battaglia, osserviamo quanto fa il Presidente che sta per vincere questa tragedia, il presidente Bush, che è un fervente «cristiano rinato», che legge in continuazione la Bibbia (probabilmente quando non si fa inquadrare dalle tv in gioco con i suoi cani, mentre i suoi soldati sono in guerra), che pare abbia avuto perfino apparizioni del Signore (che per noi è Dio, e per i musulmani è Allah - ma sempre quello è), e che si raccoglie in meditazione e recita una devota preghiera di fronte ai fotografi chiamati a immortalare le riunioni di gabinetto alla Casa Bianca, forse la «barbarica» costumanza d'un dittatore che chiama alla guerra nel nome del Signore apparirebbe, a tutti noi, meno barbarica.

Questa asimmetria è pericolosamente deformante della lettura della realtà. E sta in quella stessa asimmetria - di superbia culturale, quando non di banale ignoranza - la spiegazione dell'errore iniziale della campagna americana: che, al secondo giorno di guerra, il popolo dell'Iraq si sarebbe sollevato in rivolta al solo apparire della bandiera Usa.

La paura dei torturatori di Saddam è certamente una spiegazione della passività; ma ogni popolo, ogni società, hanno storia e tradizioni che non sempre si adattano al modello del più forte.

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