Da La Stampa del 14/04/2003

I coloni gridano al tradimento e i palestinesi non gli credono

di Aldo Baquis

Israele si è scoperto ieri più incline all'ottimismo. Di prima mattina c'è stata la pubblicazione su «Haaretz» dell’intervista in cui il premier Ariel Sharon affermava che gli sviluppi in Iraq dischiudono adesso nuove possibilità di intesa con i palestinesi, che non devono essere trascurate. E poche ore dopo il ministro della Difesa Shaul Mofaz ha annunciato che il pericolo di una nuova guerra sembra superato. Non sono in arrivo - ha detto - né aerei, né razzi Scud iracheni. Le stanze sigillate devono essere smontate, le maschere antigas vanno riposte negli armadi, i riservisti possono finalmente tornare a casa. La decisione del premier di dare aria alle proprie convinzioni e di riesaminare le rigide posizioni che lo contraddistinguono è subito piaciuta a due suoi collaboratori. Al ministro degli Esteri Silvan Shalom, che pur essendo noto come «falco» in seno al Likud, ha già avuto modo di percepire le attese di Washington da Sharon. E al leader del partito centrista Shinui, Yossef Lapid, secondo cui il premier ha di fatto spalancato una porta che potrebbe essere varcata dal partito laburista, se decidesse di fare ingresso nel governo. Shinui - il partito emerso vincente dalle elezioni di gennaio - dispone di cinque ministri. «Tutti concordano con il tenore della intervista di Sharon», ha assicurato Lapid. La improvvisa flessibilità di Sharon (che è il massimo teorico e uno dei principali realizzatori di 30 anni di insediamento ebraico di massa in Cisgiordania e a Gaza) giunge certamente opportuna ai suoi emissari personali - Dov Weisglass ed Efraim Halevy, ex capo del Mossad - inviati sabato a Washington per illustrare le numerose riserve israeliane alla «road map» che dovrebbe pilotare israeliani e palestinesi verso una soluzione a breve termine del conflitto. «Se davvero Sharon è intenzionato a rimettere in moto i negoziati, non ha nemmeno bisogno di consultarci perché siamo daccordo a priori», ha commentato l'ex leader laburista Benyamin Ben Eliezer. Ma oltre alle interviste, ha aggiunto, vanno anche esaminati i fatti. E dalla stampa di ieri si ricavavano segnali ambigui. Da un lato, una asserita disponibilità a liberare entro le fine del mese centinaia di prigionieri palestinesi: nel tentativo sia di spianare la strada al premier incaricato palestinese Abu Mazen, sia di superare l'intollerabile sovraffollamento delle carceri militari. Ma dall'altro canto vi erano ieri anche indiscrezioni di stampa su una imminente decisione del governo di legalizzare a posteriori decine di avamposti «selvaggi» eretti nei Territori da gruppi di coloni. Nell’intervista Sharon ha menzionato un eventuale ritiro anche da insediamenti come Shilo e Beit El, in Cisgiordania, dove risiede parte della leadership ideologica del movimento dei coloni. Fra questi attivisti le reazioni sono state di rabbia. «Sharon ha pronunciato parole gravi e malvage» si legge in un comunicato emesso dai coloni. A titolo personale, una colona di Shilo, Piki Apter, ha detto: «La Storia insegna che i cani latrano e la carovana prosegue il suo percorso». E la «carovana» - nel suo pensiero - erano i 230 mila coloni: che 20 anni fa, quando fu fondata Shilo, erano appena un decimo. Questi dati demografici sono ben noti anche ai palestinesi che ieri hanno reagito con grande cautela alla sortita del premier israeliano. Un portavoce di Arafat, Nabil Abu Rudeina, ha stimato che «sarebbe più utile che Sharon accettasse la “road map” così come è, e che ordinasse una volta per tutte il ritiro dei suoi soldati dalle zone autonome palestinesi», ormai occupate in Cisgiordania da un anno esatto. Ma anche fra i dirigenti palestinesi, così come nell'ufficio di Sharon, si avverte la necessità di dare aria alle certezze di un tempo. Proprio ieri il premier incaricato, Abu Mazen, si è recato a Ramallah da Arafat per sottoporgli la lista del nuovo governo palestinese, che dovrebbe essere ratificato a giorni in parlamento. Da questa lista erano scomparsi alcuni fedeli sostenitori di Arafat, fra cui Hani el Hassan. Non sorprendentemente figuravano invece due personaggi vicini ad Abu Mazen: il colonnello Mahmud Dahlan e il riformista Nabil Amr.

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