Da La Stampa del 17/04/2003

Diario arabo

Dopo l'apertura di Sharon nessuno crede che gli Usa vogliano attaccare la Siria

di Igor Man

PRIMA il silenzio, adesso lo sgomento (intrecciato d’ira): gli arabi non amavano Saddam Hussein ma lo rispettavano. In primo luogo perché ricco raíss d’un paese beneficato da una incalcolabile riserva di greggio; in secondo luogo perché era riuscito a sfangarla nonostante due disastrose sconfitte (la guerra degli otto anni con l’Iran - la Desert Storm). Nessuno, nel mondo arabo, s’aspettava la vittoria di Saddam ma un po’ tutti scommettevano che avrebbe combattuto «sino all’ultimo bambino», come aveva pubblicamente giurato. In Occidente, i pacifisti stradali e i pacificatori erano apertamente contrari alla «guerra preventiva», postulata da Bush, non soltanto in odio alla guerra in se stessa ma per cristiana avversione alla cosiddetta «dottrina Bush» incentrata sulla progressiva eliminazione dei «regimi canaglia», uno appresso all’altro. E poiché i «regimi canaglia» pochi non sono, il timore era che ci si infognasse in una guerra prolungata, in una sorta di ergastolo bellico senza fine mai.

Come vediamo, anche il fortissimo esercito di Saddam ha avuto il suo 8 di Settembre («tutti a casa»). A simiglianza dei moschettieri del Duce che il 25 di luglio non fecero una piega mettendosi agli ordini di Badoglio (ch’ebbe il pudore di rifiutare), i terribili fedelissimi della Guardia Nazionale sono svaniti nel nulla. Soltanto la divisione Medina combatté, nei primissimi giorni di guerra, con onore e con valore ancorché dissennatamente dal punto di vista tecnico. Gli americani, i marines non si nascondevano che i futuri combattimenti col resto della truppa sceltissima di Saddam si profilassero aspri, non privi di incognite. (Lo Stato maggiore Usa aveva addirittura commissionato ben 5000 bare, poi stipate a Sigonella). Invece niente, la Guardia s’è data seguendo l’esempio del Tiranno e della sua malefica cupola.

L’opinione pubblica occidentale, forse perché vaccinata dall’ultima guerra, infausta, costellata di tripli giuochi, di tradimenti e linciaggi; noi occidentali, meglio: noi italiani, in questo caso, non è che ci stupisca poi tanto il fugone di Saddam e dei suoi complici. Siamo antichi e persino i più ciucci qualcosa del Bignami, relativamente al Machiavelli, al Guicciardini, ricordiamo; se non bastasse, una occhiatina ai Diari di Ciano possiamo sempre darla a mo’ di «richiamo» della vaccinazione di cui si diceva. Gli arabi, invece, specie gli intellettuali (dalla Giordania alla Siria, fino al Sudan e ancora più giù, senza escludere il «moderato» Egitto) sono letteralmente traumatizzati. E si vergognano.

Persino i vecchi signori cinici di Zamalek, il quartiere-bene del Cairo che ospita preziosi «osservatori del Medio Oriente», sinanco loro che han sempre snobbato Saddam si dicono «indignati, offesi, feriti nella propria dignità islamica» (testuale).

Va qui detto come nessuno di codesti «esperti» (che esperti son davvero), creda (o tema) in un secondo round bellico. Vale a dire a una guerra angloamericana contro la Siria. Ancorché altissimi personaggi americani abbiano accusato Damasco di aver agevolato la fuga dei gerarchi iracheni, di aver - più grave - custodito le armi proibite di Saddam (dimenticando, gli accusatori, l’odio profondo che divide i baasisti legati a Saddam e quelli che in fatto comandano la Siria) pochi o nessuno al Cairo, nella stessa Damasco, in Amman o a Khartum sembrano temere una guerra nuova a ridosso di quella che starebbe concludendosi in Iraq. E questo perché, sia pur stentatamente, nel cielo buio della Regione levantina sta riapparendo la Stella della Speranza. Il discorso di Shimon Peres sulla «necessità» di una pace con i palestinesi e la clamorosa intervista di Sharon ad Haaretz in cui il premier si dice «pronto a dolorosi sacrifici»: lo sbaraccamento degli insediamenti, ripropongono il «dopo» in chiave non più tanto pessimistica. Recita il Corano: «Dio vi fa conoscere i suoi segni affinché troviate la giusta via» (III, 103).

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