Da Corriere della Sera del 23/04/2003

Il segretario dei Ds: sbagliato rifugiarsi nell’antiamericanismo e limitarsi ad applaudire Chirac perché si è opposto agli Usa

«La sinistra si batta contro tutti i regimi»

Fassino: giusto condannare le gravi violazioni a Cuba. Riaffermare i diritti ovunque siano negati

di Massimo Nava

PARIGI - «La democrazia non può essere esportata con le baionette, ma la globalizzazione di democrazia e diritti non può ammettere eccezioni o differenze di giudizio. La sinistra che si è opposta alla guerra in Iraq non deve avere dubbi nel battersi contro ogni tipo di regime che soffochi i diritti umani. Per questo è giusto condannare anche il regime cubano per le gravi violazioni di un diritto e di un valore fondamentale come la libertà», dice Piero Fassino, a Parigi per un "forum" della sinistra europea su iniziativa dei socialisti francesi.
Per i leader della sinistra (presenti italiani, belgi, irlandesi, turchi, spagnoli, assenti i laburisti inglesi) è cominciata la riflessione sul dopoguerra iracheno. Sul campo di battaglia, oltre ai morti e ai feriti, ci sono i danni collaterali nelle relazioni europee e internazionali: la crisi dell’Onu e del rapporto fra europei e americani, la divisione dell’Europa, le lacerazioni della sinistra continentale.
La sinistra francese, ad un anno esatto dalla sua più cocente sconfitta, è l’emblema delle difficoltà e della debolezza. Contro il fenomeno Le Pen si è vista costretta a votare in massa per Chirac. E di fronte alla guerra, ha oscillato fra l’antiamericanismo ideologico (peraltro presente nei cromosomi nazionali) e l’appoggio incondizionato alla politica del suo presidente, assunto a star del pacifismo mondiale. Quella italiana continua a fare i conti con le proprie divisioni interne.
Secondo Fassino, «la crisi irachena chiude il decennio del dopo Muro di Berlino e pone tutti di fronte alla necessità di ridisegnare gli assetti del mondo».
Dice: «Nell’era della globalizzazione, la tentazione dell’unilateralismo americano sta avendo il sopravvento su un sistema di relazioni multipolari. Il dibattito sulla guerra ha diviso le opinioni pubbliche, in generale fortemente contrarie al conflitto, dai rispettivi governi e creato dissensi fra governi europei e persino fra partiti della sinistra».
Temi affrontati nella discussione di ieri sera, dove non sono mancate critiche ed autocritiche. Guardando al futuro, la sinistra e i partiti socialisti devono costruire, come ha detto il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoe, «nuovi rapporti di forza, perché la globalizzazione non sia soltanto economica, ma anche culturale, democratica e dei diritti». Per il segretario dei Ds, «la crisi irachena ha fatto saltare un insieme di regole, equilibri, ruoli, sedi deputate alla governabilità del mondo. E ci ha posto il problema delle Nazioni Unite, cui gli Stati nazionali devono riconoscere più poteri e più autorità se si vuole davvero che questa istituzione sia in grado di risolvere i conflitti e impedire nuove guerre. Oggi c’è invece il rischio che il mondo sia dominato dal pensiero unico dell’amministrazione Bush». «Questo scenario - dice Fassino - non piace alla sinistra, ai democratici, ai riformisti, ma il modo peggiore per affrontare la nuova fase dei rapporti internazionali sarebbe quello di rifugiarsi nell’antiamericanismo, di rimettere in discussione alleanze storiche e irreversibili fra America ed Europa, di non riuscire ad elaborare una strategia che rimetta al primo posto i valori della democrazia e della governabilità del mondo». L’accostamento fra L’Avana e Bagdad non è casuale: «Non basta dire no alla guerra e no alla politica di Bush. Occorre rilanciare una strategia che riaffermi i diritti ovunque essi siano negati».

L’atteggiamento finora tenuto dalla Casa Bianca sembra tracciare scenari diversi e politiche poco sensibili al ruolo delle Nazioni Unite o al peso dell’Europa. Come invertire il processo?
«Le lacerazioni e i danni causati dalla guerra sono sotto gli occhi di tutti. Il giudizio negativo non viene meno soltanto perché la guerra è finita e si è risolta in tempi brevi. Ma la più grande famiglia politica europea non può limitarsi a contemplare i guasti del conflitto o ad applaudire Chirac perché si è opposto all’America. La sinistra ha le risorse intellettuali e morali per costruire un’alternativa ad un mondo squilibrato e senza bussola».

Da dove cominciare?
«Direi dalla sinistra stessa. Questo è il senso della discussione avviata a Parigi. Occorre ricomporre un’unità europea, recuperando il rapporto con i laburisti inglesi. Mi pare che la posizione assunta da Tony Blair sul ruolo dell’Onu nella crisi irachena sia un importante punto di ritrovata intesa. Così come coinvolgere la sinistra dei nuovi Paesi che stanno per entrare nell’Unione europea, perché la Nuova Europa dovrà essere pensata e costruita a 25 e anche la sinistra europea deve rapportarsi a questa nuova dimensione. La nuova Europa ha di fronte una missione storica: ricostruire gli equilibri nella Comunità Internazionale e rilanciare su basi diverse il rapporto di alleanza con gli Stati Uniti, così come ricostruire un rapporto di fiducia con il mondo arabo e le società islamiche scosse da questa guerra».

Ma l’esito della guerra sembra aver spiazzato le posizioni critiche e, al contrario, rafforzato la strategia di Bush.
«La guerra non poteva avere esiti diversi. Il giudizio non cambia. Anche perché le incognite sul futuro dell’area mediorientale e dei rapporti con il mondo arabo casomai si sono aggravate. Credo che occorra anche sottrarsi al provincialismo delle polemiche interne, di quanti pensano di aver sconfitto sia Saddam sia la sinistra, anche perché la sinistra è ben contenta che Saddam sia stato cacciato. La guerra ci ha consegnato un mondo e un’Europa diversi, cambiati, più complicati. Da qui occorre ripartire».

Su quali punti è possibile un’intesa?
«Governare la globalizzazione attraverso un ruolo più forte dell’Onu e delle istituzioni sovrannazionali, continuare insieme la lotta al terrorismo, affermare ovunque democrazia e diritti, cominciando dal costruire una pace giusta per israeliani e palestinesi. Su questi punti non dovrebbero esistere disparità di giudizio e di valori fra Europa e Stati Uniti».

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