Da La Stampa del 18/04/2003

Vi sarebbero sepolte le vittime della repressione delle rivolte contro il Raíss

Iraq, spuntano le fosse comuni

Nel Nord curdo e nel Sud sciita: migliaia di corpi

di Mimmo Candito

Nel puzzo lercio dei cadaveri disfatti, tra povere ossa senza più un nome né una identità, cominciano ora ad aprirsi le pagine della storia che la violenza della dittatura aveva oscurato. E l'Iraq s'avvicina lentamente a conoscere gli orrori che hanno dominato il lungo tempo del potere di Saddam. Fosse comuni con migliaia di corpi - «tutti in panni civili» - sono segnalate alla periferia di Kirkuk, tra le montagne aspre del Kurdistan iracheno, e poi ancora a Sud, «cinque fosse tra Bassora e Al Zubayri». Le notizie sono ancora confuse, e le fonti delle segnalazioni non sono sempre le più attendibili, perché - accanto al portavoce delle forze britanniche a Doha, e alla Bbc, che genericamente riferiscono «notizie irachene di fosse comuni con circa 3 mila corpi» - l'unico racconto dettagliato di questa scoperta viene da Charles Forrest, presidente dell'associazione «Indict!», ch'era stata creata nel '97 a Londra con i finanziamenti del governo americano attraverso l'Iraqi Liberation Act (erano 98 milioni di dollari, e su questi s'era lanciato in una zuffa poco dignitosa l'arraffo dei gruppi esuli foraggiati da Pentagono e Cia). «Dobbiamo indagare, accertare ogni segnalazione - ha detto Forrest - ma siamo letteralmente assaliti dalla massa di denunce che arrivano dai cittadini iracheni. Si sapeva di tutto questo orrore, adesso dobbiamo valutare in concreto, caso per caso». «Indict!» ha come obiettivo il ricupero delle prove che possano portare a mettere in stato d'accusa i 12 più importanti nomi della leadership saddamita, il Raíss naturalmente, e i suoi figli, e Taha Yassin Ramadan, Tarek Aziz, Izzat Ibrahim, gli altri loro sodali della cupula del potere. La scoperta delle «fosse della morte» riapre ferite laceranti nella coscienza del mondo. E' una coscienza un po' addormentata - bisogna dire - perché che per 25 anni in Iraq la repressione di Stato abbia usato metodicamente la violenza più brutale, costante, feroce, era un'informazione che mai era stata limitata alle sole centrali internazionali dello spionaggio, nemmeno quando Saddam ammazzava e gasava e però fermava l'avanzata khomeinista. Ma, certo, ora la notizia della scoperta di queste fosse finisce per rafforzare - ideologicamente e politicamente - le ragioni che Bush ha addotto per giustificare la «guerra americana» all'Iraq, e forse anche bypassa nell'orrore della denuncia quel vuoto di legittimazione che l'attacco dei marines contro Saddam aveva colmato soltanto con il fragore delle bombe e lo sferragliare dei carri armati. Le fosse segnalate - a Nord e a Sud - riproducono anche simbolicamente il morbo genetico dell'Iraq, oltre che della dittatura di Saddam. Un morbo che lo stesso re Feysal ebbe a denunciare negli Anni Trenta quando, appena collocato sul trono dai fucilieri di Sua Maestà britannica, annotò nel suo diario: «Questo Paese non esiste». La sua corona copriva a stento, e malamente, la mancata costruzione d'una nazione, un Paese che l'Inghilterra imperiale s'era inventato «per la follia dell'allora Segretario alla colonie, Winston Churchill, che aveva voluto riunire due pozzi di petrolio che tutto separava, e unire a forza tre popoli che, anch'essi, tutto separava: i curdi, i sunniti, e gli sciiti». Nella spartizione del potere - consegnato esclusivamente alle mani dei sunniti (che però sono soltanto il 19 per cento degli iracheni) - restavano esclusi, già con Feysal, ma poi ancor più con il regime Baath e con la dittatura personale di Saddam, i curdi rinserrati nelle montagne del Nord (il 21 per cento degl'iracheni sono curdi, musulmani ma non arabi) e soprattutto gli sciiti, che sebbene siano la maggioranza - il 61 per cento - vivono però perduti nei loro deserti e negli acquitrini fatiscenti del Sud. Se oggi, in questi stessi giorni di «fin de règne», vengono segnalate tensioni militari nel Kurdistan e minacciose campagne di mobilitazione sciita tra Najaf e Bassora, il drammatico rombo che sta montando dal fondo del corpo del Paese è soltanto la ripresa - inevitabile - d'una insofferenza e d'un desiderio di riscatto che mai erano stati totalmente acquietati, nemmeno durante gli anni feroci della dittatura. A Sud la repressione più sanguinosa fu condotta dalle Guardie repubblicane di Saddam nei giorni immediatamente successivi alla vittoria di Schwarzkopf, all'inizio di marzo del '91: quando apparve ormai evidente - anche al Raíss rintanato in qualcuno dei suoi bunker di Baghdad - che Bush non intendeva arrivare fino alla capitale, che risparmiava la vita (e il potere) di Saddam, e che perciò nessun aiuto sarebbe più arrivato agli sciiti che già s'erano ribellati e avevano preso il controllo di Bassora, di Najaf, e di Karbala, la violenza della risposta del Califfo di Baghdad fu senza pietà. I massacri andarono avanti per più d'una settimana, erodendo poco alla volta la capacità di resistenza d'una rivolta che doveva accettare d'essere stata abbandonata, priva ormai di appoggi esterni e di armi; Najaf e Bassora furono cannoneggiate, squadre d'assalto massacrono e violentarono in un genocidio che parve ignorare ogni possibile perdono, e alla fine - al momento dell'ultimo attacco decisivo - le formazioni di elicotteri che andavano a bombardare le resistenze residue delle città ancora in sommossa passarono sulla testa dei marines di Schwarzkopf senza che questi - ubbidendo agli ordini della Casa Bianca - neppure alzassero gli occhi verso il cielo. «Batterie in posizione di difesa, pronti al lancio di missili, ma non un colpo se non su mio esplicito ordine», fu quanto fece dire ai suoi uomini il generale comandante. E poi aggiunse: «Quelli lì non ce l'hanno con noi, hanno altro cui pensare». Probabilmente le cinque fosse segnalate ora tra Bassora e Al Zubayri portano, dentro le loro vecchie zolle, il risultato di quell'ordine. E di quella rivolta tradita. Non meno spietata fu la repressione a Nord. I «tremila corpi senza nome» di Kirkuk hanno storie che nessuna memoria può neanche risarcire, confusi e incerti perfino nella ricostruzione della loro morte. Forse furono ammazzati durante la guerra che nell'88 gli lanciò addosso «Ali il chimico», il cugino di Saddam cui il Raíss aveva consegnato l'ordine di «annientare quei pezzenti» che si stavano ribellando: l'ordine venne eseguito, i gas lasciati cadere dai bombardieri di Ali cancellarono la vita di 470 villaggi e d'una parte della città di Halabja. Barzani, ritirandosi in fuga con i suoi peshmerga, disse: «Abbiamo perso, contro i gas nemmeno i curdi possono combattere». Ma una nuova rivolta curda ci fu ancora nel '91, alla fine della guerra di Bush padre, e fu contemporanea alla ribellione del Sud sciita. Anche questa dei curdi fu infatti una rivolta che la Cia finanziò, e fomentò, per destabilizzare Saddam e indebolirlo di fronte all'attacco che Schwarzkopf aveva lanciato sul Kuwait. I curdi ci credettero, si ribellarono, e però poi - alla pari degli sciiti - vennero abbandonati, nel timore che il furore di queste due rivolte travolgesse lo stesso Stato iracheno. Meglio Saddam che il caos, fu la scelta della Casa Bianca. Ora i corpi di quella scelta stanno probabilmente, anch'essi, dentro le vecchie zolle maleodoranti di questa fossa comune, nella periferia ventosa di Kirkuk.

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