Da Corriere della Sera del 18/04/2003

Sponde atlantiche

Ora Bush è tentato di riaprire il dialogo

di Ennio Caretto

WASHINGTON - I segnali dell' America all' Onu e all' Europa, suoi interlocutori obbligati nel dopo Saddam, sono contrastanti. Da un lato, la Superpotenza dice di riconoscere un ruolo «vitale» per l' Onu a Bagdad, sebbene nessuno sappia con esattezza che cosa ciò significhi; si dichiara disposta a riprendere il dialogo con la Russia, uno dei suoi critici più accesi; e rilancia il negoziato con un membro dell' Asse del male, la Corea del Nord, avviata in apparenza al riarmo atomico. Ma dall' altro lato, toglie la parola al Canada e al Messico, i vicini che hanno osato opporsi alla guerra. Inoltre minaccia di ricorrere alla forza contro la Siria per gli stessi motivi dell' Iraq, il possesso delle armi di sterminio e l' appoggio al terrorismo, minaccia temperata dall' annuncio di una imminente visita del segretario di Stato Colin Powell a Damasco. Insiste infine sulla revoca delle sanzioni contro Bagdad che le conferirebbe il controllo del petrolio iracheno. E' un ritorno selettivo alla diplomazia, ma l' impronta continua a essere più quella dell' ideologia che del pragmatismo praticato da Nato e Ue. Rafforzati dalla vittoria in Iraq, i falchi dominano al momento l' Amministrazione. Secondo indiscrezioni della Casa Bianca, il consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleezza Rice, avrebbe proposto questa formula: punire chi intralciò attivamente gli Usa all' Onu e alla Nato (la Francia); ignorare chi si oppose più passivamente (la Germania); perdonare quelli con cui si hanno interessi troppo grandi (la Russia). Il sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz, detto «Wolfie d' Arabia», nota che «la magnanimità nella vittoria non significa invitare chi ci voltò le spalle alla ricostruzione dell' Iraq». La guerra ha tuttavia creato una Casa Bianca ombra che preme perchè ora Bush abbandoni la strada dell' unilateralismo. La formano i suoi precedenti inquilini repubblicani e democratici, Clinton e perfino Bush padre; i loro ex consiglieri, da Scowcroft a Brzezinsky; e i loro ex segretari di Stato, da Baker alla Albright. Tutti leader che hanno espresso ed esprimono il loro dissenso a rischio di apparire «antipatriottici». La Casa Bianca ombra, di cui Powell è l' esponente nell' Amministrazione, non diffida solo il presidente dal muovere guerra alla Siria; lo esorta a riparare i ponti con la «vecchia Europa» e ad avvalersi dell' Onu e della Nato per la stabilizzazione dell' Iraq. E gli chiede di affrontare una volta per tutte il problema della Palestina e di Israele, la chiave della pace in Medio Oriente e nel Golfo Persico. Non a caso, hanno notato i democratici, la schiarita con la Corea del Nord è avvenuta dopo una visita di Bush padre nella Corea del Sud. Non si sa chi vincerà la battaglia per il cuore e la mente del presidente, ma sarebbe un errore considerare perdenti le colombe. Nei sondaggi, gli americani si dicono contrari a un conflitto siriano e invitano Bush a concentrarsi sull' economia, cosa che, nell' era della globalizzazione, esige buoni rapporti innanzitutto con l' Europa. I falchi usano slogan suggestivi come l' ineluttabilità di una «quarta guerra mondiale» contro il terrorismo. Ma le colombe ribattono che altri conflitti preventivi aggraverebbero l' isolamento politico e il deficit americano. In campagna elettorale, che è già prossima, queste sono argomentazioni vincenti. Bush sa che da sola la vittoria in Iraq non garantisce la sua rielezione: capitò a suo padre. Alle presidenziali del 2000 dimostrò di possedere una buona dose di pragmatismo spostandosi al centro dopo le «primarie». Forse la ritroverà adesso.

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