Da Corriere della Sera del 13/05/2003

Casoria, voto nel segno dei rifiuti

di Gian Antonio Stella

CASORIA (Napoli) - Vallo a spiegare a Oana che quel posto fetido in cui papà l’ha portata dalla Romania, tra i binari del treno e le discariche, gli svincoli autostradali che svettano nel cielo e le pozzanghere, un tempo si chiamava "casa d’oro". Che qui era tutta campagna e c’erano campi e frutteti a perdita d’occhio e nelle giornate buone vedevi pure ’o Vesuvio in lontananza. Adesso è un pianto, girarci dentro. E l’unica campagna rimasta è quella elettorale.

Che puzza forse più del pattume rovesciato sul selciato e delle discariche inventate dalla sciatteria popolana e dei cassonetti bruciati dai quali sale ogni tanto, qua e là, un fumo giallo marcio dal fetore insopportabile.

La destra accusa la sinistra e punta il dito sul governatore Antonio Bassolino e la sinistra ribalta le accuse sulle lentezze del governo. Ed è tutto un gorgo di veleni e di liquame dove annaspano le persone perbene e di buona volontà e dove si mischiano insieme irresponsabilità, ritardi, velleitarismo, demagogie. Ed ecco il sindaco della Margherita che, a poche settimane dal voto nel quale punta a essere confermato, si mette per primo la mascherina e chiude le scuole e capeggia la rivolta dei sindaci e va fin sotto la prefettura dove la gente esasperata scarica la monnezza sul selciato per ottenere qui e subito una soluzione tampone.

E il suo avversario mortale, il candidato del Polo, che rovescia invece tutto addosso a lui, «che ha dimostrato di non sapere governare la normalità e figurarsi le emergenze».

Quale sia, questa normalità di Casoria, è presto detto. Nata come borgo contadino nel cuore di una terra fertilissima, la città è cresciuta a dismisura negli ultimi decenni fino a passare i centomila abitanti e diventare una mostruosità urbanistica più grande di Caserta, Avellino, di Benevento. Dove la gente, spiega l’istituto Tagliacarne, ha un reddito pro capite di 6.576 euro e cioè un terzo di quello dei milanesi, dei bolognesi o dei parmigiani. Dove la disoccupazione sfiora il 25% e sfonda tra i giovani il 65%. Dove puoi essere ammazzato per un motorino come Stefano Ciaramella che aveva solo 17 anni. Dove la grande camorra forse è meno vistosa ma la micro-criminalità ti prende alla gola.

Una normalità abnorme, anche sul fronte della nettezza urbana. Certo, Casoria non c’è nel rapporto Legambiente sull’ecomafia. Ma è tutta immersa in quello spaventoso degrado della «banlieu» campana.

Qui avviene il 17% di tutti i reati italiani legati ai rifiuti, qui pare vengano fatti sparire ogni anno tre milioni di tonnellate di rifiuti speciali, qui sarebbero sepolte almeno 210 mila tonnellate di rifiuti nocivi, qui la commissione parlamentare ha stimato la presenza di almeno 150 discariche abusive. Qui la gente, dimostrando fragorosamente la disfatta di ogni campagna di educazione condotta in questi anni dalla sinistra e prima dalla destra, produce ancora 550 chili di rifiuti l’anno e cioè 100 in più della media nazionale dei quali solo l’1% viene smaltito grazie alla raccolta differenziata contro una media nazionale del 14%.

Col risultato che in mezzo al pattume, al di là dei momenti d’emergenza, vivono non solo i trecento rumeni che si sono accampati sotto il cavalcavia della tangenziale in una spaventosa «favela» di una quindicina di baracche dove i bambini sguazzano nella merda e nell’odio verso noi ricchi, ma anche tutti gli abitanti di questa periferia più grande di Sondrio e più brutta di tante città del terzo mondo. «E lei non ha idea di com’era!», dice Giosué De Rosa, il sindaco uscente di centro-sinistra, «Almeno abbiamo messo un po’ di ordine, ripristinato un po’ di legalità. Quando mi sono insediato c’erano migliaia di abitanti che non pagavano l’acqua grazie a 9000 contatori mai installati, edifici pubblici come il palazzo dello sport o la caserma dei carabinieri costruiti su terreni presi in affitto da qui all’eternità, la tassa sulla spazzatura che era un’optional, una realtà urbanistica in cui il 90% delle case costruite nell’epoca del grande sacco era abusivo. Una illegalità diffusa e straripante. S’immagini come abbiamo accolto il nome del candidato del Polo: proprio il protagonista della devastazione amministrativa degli anni ’70 e ’80!».

«Don Ciccio è tornato!». E Casoria si è spaccata in due. Tutti lo conoscono, Don Ciccio «Cazzuola». E tutti sanno perché i nemici lo chiamano così. Del resto, se ne vanta lui pure, Francesco «Ciccio» Polizio, 63 anni, politico di lunghissimo corso: «Centomila opere sono state costruite con me. Centomila opere!».

Si vede eccome, rispondono gli avversari: casette minime accanto a condomini di sedici piani, strade larghe tre metri che solcano borgate popolosissime, svincoli che si torcono e si ritorcono, palazzi antichi dalle facciate lebbrose e immensi alveari condominiali... E chi se l’è dimenticato, il regno di Don Ciccio? Fece il sindaco, formalmente, solo dal 1977 al 1980. Ma di fatto continuò a farlo dopo essere diventato (tenendosi comunque un seggio in comune) consigliere e poi assessore regionale all’agricoltura e poi ancora deputato a Roma, lasciando la gestione del municipio e dell’ambulatorio elettorale agli uomini di fiducia. Potente e riverito al punto che per un certo periodo piazzò sulla poltrona di sindaco suo fratello Ludovico. Andreottiano di scuola partenopea, si picca d’essere stato «secondo solo a Cirino Pomicino».

Azzoppato come tanti da inchieste giudiziarie, spiega di esserne uscito «cristallino». Pronto a riprendere la navigazione sotto la vela del Ccd per poi accasarsi sotto il campanile mastelliano. Un po’ di qua, un po’ di là ma sempre al potere: prima la direzione di una grossa Asl, poi quella dell’Arpac, l’agenzia regionale per l’ambiente... Finché ha deciso, come dice lui, di «rimettermi al servizio» di Casoria. Facendosi candidare a sindaco, dopo anni di nomine uliviste, dalla Casa delle Libertà. «Una scelta scellerata! Ce l’hanno calato dall’alto, dopo un accordo tra Mastella e non so chi, direttamente da Roma!», ringhia Gennaro Nocera, un ex missino passato all’Udc che in città consideravano il candidato naturale del Polo: «Quelli di An sono fuori dalla grazia di Dio. Ma come: Polizio! Polizio! Quello contro cui si erano battuti per anni e anni!». Detto fatto, ha messo su una lista e si è candidato, con l’appoggio dei socialisti, pure lui. Spaccata la destra, non è che la sinistra marci unita e compatta. Vincenzo Russo, di Rifondazione, ha sbattuto la porta: «L’altra volta l’abbiamo appoggiato, De Rosa. C’era una grande speranza. Ma la delusione è stata grande. Troppi compromessi, troppi uomini legati ai vecchi centri di potere...».

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