Da Corriere della Sera del 11/07/2003
Una democrazia solida, una posizione migliore dell’Italia nelle statistiche Onu sui ruoli femminili. Il virus colpisce soprattutto i giovani
Botswana, la nuova Africa che aiuta le donne
Ma l’Aids è una mina per il futuro: contagiata una ragazza su quattro. Viaggio lampo di Bush: «Non vi lasceremo soli»
di Ennio Caretto
GABORONE (Botswana) - «Piangiamo per i vostri orfani. Preghiamo per le madri rimaste sole - dice Bush rivolto a Festus Mogae, il presidente del Botswana -. Il vostro popolo ha il coraggio e la volontà necessari per sconfiggere l’Aids. Vi aiuteremo, l’America aiuterà tutta l’Africa a sconfiggere il suo più mortale nemico». Il leader del mondo libero, il mondo più protetto dal terribile male, è venuto a visitare il Paese che vi è più esposto. E’ scosso: ha appreso che il 38,8 per cento della popolazione dai 15 ai 49 anni è sieropositivo; che su 1 milione 700 mila abitanti ogni giorno ne muoiono 71 di Aids; e che gli orfani sono già 69 mila, un numero traumatico che potrebbe triplicarsi entro il 2010. Sono tragici primati e Bush ricorda l’impegno americano a erogare 15 miliardi di dollari in 5 anni per curare il Botswana e con esso tutto il continente. Addita a modello il programma dell’Achap, l’Agenzia medica creata da Mogae, dalla Fondazione di Bill Gates, dall’Università di Harvard e da una grande ditta farmaceutica Usa. Un programma che Mogae ha poeticamente battezzato «Maza», Nuova alba.
Il Botswana, «uno Stato delle dimensioni del mio Texas», osserva Bush, è la vetrina d’Africa, una democrazia solida e relativamente prospera, meta di safari miliardari, una società riformista che premia le donne più di ogni altra, quelle europea e americana incluse. Bush, alla sua terza tappa nel continente disastrato, lo constata alla colazione al Grand Palm, l’albergo più costoso della capitale, una colazione dominata da gruppi di donne imprenditrici, di libere professioniste, di funzionarie e di intellettuali. Ma dietro la facciata felice del Botswana si nasconde il dramma di un popolo che rischia l’estinzione. Il Botswana è caduto nella trappola dell’Aids «la più micidiale arma di sterminio del nostro tempo», come la chiama il segretario di Stato Colin Powell. E sebbene, assieme all’Uganda, sia di esempio all’Africa nel combatterlo, ne risente in ogni settore, dall’istruzione all’economia, perché dal 1996 il tasso di mortalità tra il personale qualificato è aumentato del 60 per cento.
Nelle sei ore trascorse a Gaborone, di cui una e mezza dedicata al Parco nazionale di Mokolodi, il paradiso della fauna africana, Bush non riscontra quasi segni dell’Aids: l’accoglienza all’aeroporto è pittoresca - danze in costumi tribali e canti di scolari - la città è ordinata e in forte espansione, la gente in apparenza serena. Ma, riferisce Mogae, «sconfiggere l’Aids è diventato più importante che estrarre diamanti», la fonte della ricchezza del Paese. Le statistiche riassumono il flagello.
Ogni giorno, 25 bambini nascono con l’Aids. Tra i giovani dai 25 ai 29 anni, i malati sono oltre la metà, il 52 per cento. La durata media della vita è scesa da 65 a 40 anni e tra un quinquennio scenderà a 30.
Donald De Korte, il medico che coordina l’assistenza americana, ammonisce che «per qualsiasi società sarebbe molto difficile sopravvivere in queste condizioni». Spiega che la stragrande maggioranza dei cittadini rifiuta l’esame dell’Aids, che meno di 10 mila persone, «una goccia nel mare», sono attualmente in cura.
Secondo De Korte, al ritmo del Botswana l’Ue e gli Usa perderebbero ciascuno più di 15 mila persone al giorno, un’ecatombe. Le donne sono in prima fila, dice il medico a Powell, alla first lady Laura e alla figlia Barbara, che accompagnano il presidente. Nel Botswana, ormai il 27 per cento delle ragazze dai 15 ai 19 anni e ben il 38,5 per cento delle donne incinte hanno l’Aids. Ma nel resto del sub Sahara africano è ancora peggio, l’Aids è un male in prevalenza femminile, il 58 per cento dei 30 milioni sieropositivi sono donne. E’ la conseguenza di piaghe sociali in parte curate dal Botswana e dall’Uganda ma non da altri Paesi, dalle spose bambine alla promiscuità e violenza maschili all’assenza di istruzione sessuale. Non a caso, l’economista Jerry Sachs, direttore dell’Istituto della terra di New York, accusa l’Ue e gli Usa di essere in grave ritardo, addirittura di «avere lasciato morire l’Africa».
A parere della Casa bianca, il blitz di Bush a Gaborone e quello di oggi a Entebbe in Uganda, penultima tappa del suo viaggio africano, segneranno una svolta nella guerra all’Aids. Ma se ciò avverrà non sarà grazie ai 15 miliardi di dollari americani, che il Congresso minaccia peraltro di ridurre a causa del deficit del bilancio dello Stato. Sarà invece grazie alla mobilitazione dell’Occidente e dell’Onu. Bush, accolto con scetticismo se non ostilità dall’Africa per la sua politica estera e militare, ieri accantonata, potrebbe avervi dato un contributo.
Il Botswana, «uno Stato delle dimensioni del mio Texas», osserva Bush, è la vetrina d’Africa, una democrazia solida e relativamente prospera, meta di safari miliardari, una società riformista che premia le donne più di ogni altra, quelle europea e americana incluse. Bush, alla sua terza tappa nel continente disastrato, lo constata alla colazione al Grand Palm, l’albergo più costoso della capitale, una colazione dominata da gruppi di donne imprenditrici, di libere professioniste, di funzionarie e di intellettuali. Ma dietro la facciata felice del Botswana si nasconde il dramma di un popolo che rischia l’estinzione. Il Botswana è caduto nella trappola dell’Aids «la più micidiale arma di sterminio del nostro tempo», come la chiama il segretario di Stato Colin Powell. E sebbene, assieme all’Uganda, sia di esempio all’Africa nel combatterlo, ne risente in ogni settore, dall’istruzione all’economia, perché dal 1996 il tasso di mortalità tra il personale qualificato è aumentato del 60 per cento.
Nelle sei ore trascorse a Gaborone, di cui una e mezza dedicata al Parco nazionale di Mokolodi, il paradiso della fauna africana, Bush non riscontra quasi segni dell’Aids: l’accoglienza all’aeroporto è pittoresca - danze in costumi tribali e canti di scolari - la città è ordinata e in forte espansione, la gente in apparenza serena. Ma, riferisce Mogae, «sconfiggere l’Aids è diventato più importante che estrarre diamanti», la fonte della ricchezza del Paese. Le statistiche riassumono il flagello.
Ogni giorno, 25 bambini nascono con l’Aids. Tra i giovani dai 25 ai 29 anni, i malati sono oltre la metà, il 52 per cento. La durata media della vita è scesa da 65 a 40 anni e tra un quinquennio scenderà a 30.
Donald De Korte, il medico che coordina l’assistenza americana, ammonisce che «per qualsiasi società sarebbe molto difficile sopravvivere in queste condizioni». Spiega che la stragrande maggioranza dei cittadini rifiuta l’esame dell’Aids, che meno di 10 mila persone, «una goccia nel mare», sono attualmente in cura.
Secondo De Korte, al ritmo del Botswana l’Ue e gli Usa perderebbero ciascuno più di 15 mila persone al giorno, un’ecatombe. Le donne sono in prima fila, dice il medico a Powell, alla first lady Laura e alla figlia Barbara, che accompagnano il presidente. Nel Botswana, ormai il 27 per cento delle ragazze dai 15 ai 19 anni e ben il 38,5 per cento delle donne incinte hanno l’Aids. Ma nel resto del sub Sahara africano è ancora peggio, l’Aids è un male in prevalenza femminile, il 58 per cento dei 30 milioni sieropositivi sono donne. E’ la conseguenza di piaghe sociali in parte curate dal Botswana e dall’Uganda ma non da altri Paesi, dalle spose bambine alla promiscuità e violenza maschili all’assenza di istruzione sessuale. Non a caso, l’economista Jerry Sachs, direttore dell’Istituto della terra di New York, accusa l’Ue e gli Usa di essere in grave ritardo, addirittura di «avere lasciato morire l’Africa».
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