Da La Repubblica del 16/07/2003
Originale su http://www.repubblica.it/online/esteri/iraqattacotrentacinque/dossier/...

Fu un diplomatico africano a consegnare ai servizi italiani e inglesi le carte citate da George W. Bush

Ecco il falso dossier sull'uranio di Saddam

Tutto iniziò da un misterioso furto nell'ambasciata del Niger a Roma

di Carlo Bonini, Giuseppe D'Avanzo

LA STORIA, come una spy-story senza soverchia fantasia, inizia con un'effrazione. L'appartamento è al quinto piano di via Antonio Baiamonti 10. Nel quartiere Mazzini, a Roma. La porta è solida e blindata e protegge gli uffici dell'ambasciata del Niger nella Capitale. Un corridoio triste divide gli uffici del consigliere politico dalla stanza dell'ambasciatore. In una notte tra il 29 dicembre del 2000 e l'1 gennaio del 2001, i "soliti ignoti" cercano confusamente qualcosa, mettendo a soqquadro l'ambasciata. Fogli dappertutto, cassetti rovesciati, armadi aperti. Quando il 2 gennaio, di buon mattino, il secondo segretario per gli affari amministrativi Arfou Mounkaila denuncia il furto ai carabinieri della stazione Trionfale, deve però ammettere che quei ladri sono stati alquanto bizzarri. Tanto rumore, e fatica, per nulla. Se si esclude un orologio di acciaio Breil e tre piccole boccette di profumo, i "ladri" non hanno portato via altro. Apparentemente. Oggi, se si bussa alla porta dell'ambasciata e si fa qualche domanda su quel curioso furto si ottiene da una gentile signora un sorriso e queste parole: "Tutto comincia da lì, tutto comincia con quel furto".

Dall'effrazione in via Baiamonti nasce l'affare che porterà ventiquattro mesi dopo, il 28 gennaio 2003, George W. Bush a pronunciare le 16 parole del discorso sullo stato dell'Unione ("...Il governo inglese ha appreso che Saddam ha recentemente cercato di acquisire significative quantità di uranio dall'Africa...") che oggi lo tengono pericolosamente in bilico sul baratro dell'Iraqgate. O Nigergate, se preferite. Comunque, un affaire che prende forma in Italia perché a Roma accadono quattro fatti che indirizzeranno Bush nella direzione di quelle avventate parole:
1) È il Sismi, tra l'ottobre e il novembre del 2001, a entrare in contatto con un diplomatico africano che vende i falsi documenti (i 6 fogli riprodotti in queste pagine) su un traffico di "500 tonnellate di uranio puro l'anno, da consegnare in due tranches" tra il Niger e l'Iraq.
2) È a Roma che l'MI6, il controspionaggio inglese, entra in possesso di quei documenti.
3) È il Sismi a informare della vicenda, come da prassi, la presidenza del Consiglio (attraverso il Cesis) e la Farnesina (attraverso il gabinetto del ministro).
4) È il direttore del Sismi, Niccolò Pollari, nel novembre del 2002, a confermare al Comitato parlamentare di controllo sui servizi di sicurezza che "il Servizio è in possesso di documentazione che prova il commercio di uranio puro tra un paese centroafricano e l'Iraq".

* * *

L'appartamento di via Baiamonti è da anni una delle postazioni di ascolto dell'intelligence militare italiana. Lo è dal 1983, da quando il Sismi riuscì a mettere le mani su una richiesta di uranio al Niger avanzata da Saddam. Il lavoro di ascolto mette a fuoco il filo diretto che l'ambasciatore nigerino Adamou Chekou (oggi consigliere del presidente del Niger Tandja Mamadou) ha con la diplomazia irachena a Roma. E, soprattutto, con Wissam Al Zahawie, ambasciatore di Bagdad accreditato presso la Santa Sede. È un'attività spionistica "interna" che incrocia i report della divisione "R" (Ricerche), incaricata delle operazioni all'estero. A Niamey, capitale del Niger, l'intelligence italiana, con la collaborazione degli agenti inglesi, lavora al dossier Adm (Armi di distruzione di massa) dell'Iraq.

Queste indagini fanno un salto tra gli ultimi giorni di ottobre 2001 e i primi giorni di novembre. Riferisce a Repubblica una fonte del Sismi: "In quei giorni, un diplomatico di un Paese africano, rappresentato con un'ambasciata a Roma, entra in contatto con il Sismi. E offre un carteggio che lui ritiene preziosissimo per il nostro lavoro". Nel carteggio ci sono cifrari; una corrispondenza relativa a un contratto di spedizione di uranio da trasferire in Iraq con nave via Lomè (Togo) da Cotonou in Benin (dove vengono stoccate tutte le 2.900 tonnellate di uranio puro estratte nel 2000 dalle miniere nigerine di Arlit e Akouta) e, soprattutto, documenti diplomatici:
- un telex datato 1 febbraio 1999 dell'ambasciatore nigerino di Roma Chekou al ministro degli esteri di Niamey;
- una lettera datata 30 luglio 1999 dal ministero degli affari esteri all'ambasciata di Roma;
- una lettera indirizzata al presidente della Repubblica del Niger, datata 27 luglio 2000;
- un "protocollo d'intesa" tra i governi nigerino e iracheno "relativo alla fornitura d'uranio siglata il 5 e 6 luglio 2000 a Niamey". Il protocollo ha un allegato di due pagine dal titolo "Accord".

* * *

L'intelligence italiana acquista i documenti "a scatola chiusa". O forse, se ha ragione il ministro degli Esteri Franco Frattini ("I servizi italiani non hanno mai fornito alcuna documentazione"), ne media l'acquisto a favore degli inglesi dell'MI6. A guardare con occhio sgombro i documenti, la loro infondatezza balza agli occhi. Come ha scritto Seymour Hersh il 31 marzo 2003 sul settimanale New Yorker: "La lettera datata 10 ottobre 2000 (si tratta del protocollo d'intesa tra Niger e Iraq n.d.r.) è firmata da Allele Habibou, ministro degli esteri e della cooperazione, cessato dall'incarico nel 1989. Un'ulteriore lettera (del 27 luglio 2000 n.d.r.) ha un testo così grossolano che se ne sarebbe accorto chiunque usando Google su Internet". E si potrebbe aggiungere che 500 tonnellate di uranio puro sono una quantità così importante che avrebbe dovuto insospettire chiunque abbia una qualche confidenza con quel Paese e con quel prodotto. O ancora che la lettera del 30 luglio 1999 fa riferimento ad accordi raggiunti a Niamey il 29 giugno 2000. Che la lettera del 27 luglio 2000 al presidente del Niger ha il suo timbro e la sua firma.

A bocce ferme, si può capire però dove si nasconde il trucco che inganna. Il diplomatico che vende i documenti è perfettamente a conoscenza delle intercettazioni (telefonate, fax, telex) sull'ambasciata nigerina dell'intelligence italiana. Infila quindi, come primo documento del fascicolo che offre, il telex 003/99/ABNI/Rome, indirizzato al ministero degli Affari esteri del Niger. Si legge: "Ho l'onore di portare a vostra conoscenza che l'ambasciata irachena presso la Santa Sede, mi informa che sua Eccellenza Wissam Al Zahawie, ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, effettuerà una missione ufficiale nel nostro Paese in qualità di rappresentante di Saddam, presidente della Repubblica irachena. Sua Eccellenza Zahawie arriverà a Niamey...".

Questo telex (intercettato) è già nel "dossier Niger" di Forte Braschi. La circostanza conferma agli agenti italiani che "quella roba è buona" o quanto meno attendibile. E, "buono" viene dunque ritenuto anche il resto della documentazione. Quindi il messaggio del 30 luglio con cui si chiede "la risposta per la fornitura d'uranio"; la nota confidenziale del 27 luglio che certifica l'avvenuto accordo (n[b0] 381-NI 2000) per la "fornitura di 500 tonnellate di uranio" e, naturalmente, il protocollo di intesa tra i due governi che sembra chiudere il cerchio su una certezza: Bagdad è riuscita a procurarsi in Niger l'uranio per la costruzione di armi di sterminio.

Conviene ora tornare in via Baiamonti, negli uffici dell'ambasciata del Niger, e chiedersi: chi ha fabbricato il falso dossier? Alcune circostanze potrebbero suggerire una prima risposta. Nell'inverno del 2002, l'ambasciatore nigerino a Roma, Chekou, è richiamato a Niamey "per consultazioni". Dovrebbe fare ritorno in Italia ma, al contrario, non vi metterà più piede. Chekou viene sollevato dall'incarico e il 2 dicembre di quell'anno, al suo posto, si insedia la signora Hadjio Abdoulmoumine, in qualità di consigliere incaricato d'affari e capo della sezione consolare. È un avvicendamento di routine? O - come lascia intendere uno 007 che ha accettato di rispondere alle domande di Repubblica - è la conseguenza della scoperta da parte del governo nigerino che qualcosa nell'ambasciata di Roma è andato storto? Niamey è convinta che lo strano furto del gennaio 2001 sia stato, in realtà, soltanto una copertura necessaria ad accreditare la sottrazione dagli uffici di via Baiamonti del materiale cartaceo necessario a confezionare il falso dossier.

L'intelligence americana - citata anche ieri dalla rete tv Abc - è convinta al contrario che l'ambasciata del Niger a Roma sia dietro il falso. "Un diplomatico di basso livello - riferisce la fonte interpellata dalla tv statunitense - ha fabbricato il dossier fasullo in ambasciata e lo ha poi venduto al Sismi per poche migliaia di dollari". Una convinzione, questa, già espressa il 22 marzo scorso da un funzionario delle Nazioni Unite interpellato dal Washington Post: "Le lettere sul traffico di uranio sono state consegnate agli italiani da un diplomatico nigerino". La signora Hadjio Abdoulmoumine, oggi responsabile della sede diplomatica del Niger a Roma, dice che si tratta di fantasie: "Nessun membro del corpo diplomatico è dietro i falsi: è stato lo stesso presidente del Niger Tandja Mamadou, la scorsa settimana, a riferire di persona al George W. Bush questa netta smentita".

Due fatti, tuttavia, sono certi. Che "tutto è cominciato dal furto" in via Baiamonti. Che, il 21 dicembre 2002, dopo neppure due settimane dall'avvicendamento nell'ambasciata di Roma, il governo di Niamey dirama una durissima nota sui sospetti di essere al centro di un traffico di uranio con l'Iraq. "Le accuse americane sono diffamazione. Non abbiamo mai pensato di vendere uranio all'Iraq. Non c'è mai stato alcun contratto".

* * *

Siamo ora tra la fine del 2001 e i primi giorni del 2002. Sono due mesi decisivi. Il Sismi conosce il dossier e l'MI6 ne è in possesso: "Gli inglesi lo hanno acquisito senza alcuna valutazione - spiega l'uomo di Forte Braschi - ma la fonte è stata indicata come "attendibile". Nessuno si deve meravigliare di quel che accade con quel dossier. Rientra nella rituale collaborazione d'intelligence tra Paesi alleati. È naturale che quel materiale rende più intensi sia la collaborazione che lo scambio informativo con gli inglesi. Ci sono diversi incontri, al livello più qualificato, quasi esclusivamente a Londra. Nonostante questo clima positivo, noi non sappiamo se siano stati gli inglesi a passare quella roba alla Cia. È assai probabile. Secondo la consuetudine, gli inglesi non sono tenuti a dirci a chi danno le informazioni condivise con noi".

La conferma che gli inglesi informano Langley è in una data. A febbraio del 2002, l'ex ambasciatore americano in Gabon, Joseph Wilson, viene spedito dalla Cia in Niger per verificare la fondatezza delle informazioni sul traffico di uranio ricevute dagli inglesi. Ne torna con una risposta netta. La storia è falsa. Sono dubbi che non giungono in Italia dove la storia si muove ancora e le notizie del traffico Niamey-Bagdad lasciano le palazzine di Forte Braschi per raggiungere i Palazzi nel cuore di Roma. Gli analisti della divisione "Situazione" (tengono i contatti con l'intelligence straniera e preparano le note quotidiane per il direttore) inviano il loro rapporto sulla vicenda dell'uranio nigerino. È una nota assai sintetica. "Non più di una pagina", dice la fonte di Repubblica. La notarella, che non racconta il per chi e il per come ma l'essenziale del dossier (500 tonnellate di uranio puro sono state acquistate da Bagdad), finisce sul tavolo del Cesis a Palazzo Chigi e alla Farnesina nell'ufficio di gabinetto del ministro. È la Farnesina - spiegano oggi a Forte Braschi - a sollevare "forti obiezioni" e "contestazioni" a quella informazione del nostro servizio segreto. Le maggiori perplessità giungono dalla direzione generale dei Paesi africani, diretta da un dirigente di eccellente reputazione, Bruno Cabras.

* * *

La storia dell'uranio nigerino sembra morta. Ma, il 24 settembre 2002, il governo di Tony Blair con un dossier di 50 pagine rende noto che l'Iraq ha cercato di comprare "significative quantità di uranio da un Paese africano nonostante non abbia alcun programma di nucleare civile che lo richieda". Due giorni dopo, ricorda Seymour Hersh, il segretario di Stato Colin Powell, di fronte alla commissione del Senato degli Affari esteri, cita "il tentativo iracheno di ottenere l'uranio come la prova delle sue persistenti ambizioni nucleari". Sono le dichiarazioni che indurranno il Congresso a dare via libera con una maggioranza schiacciante al presidente Bush per le operazioni militari in Iraq.

È ottobre ormai e il direttore del Sismi, Niccolò Pollari, è ascoltato una prima volta dal Comitato parlamentare di controllo. Se ne sta sul vago. Dice e non dice. Esplicitamente tace la circostanza del "dossier uranio" acquistato a Roma e in possesso degli inglesi. Però, spiega: "Non abbiamo prove documentali, ma informazioni che un paese centroafricano ha venduto uranio puro a Bagdad". Trenta giorni dopo, il generale ci ripensa. È più esplicito. Indica "prove documentali". Sempre dinanzi al Comitato parlamentare, aggiunge il dettaglio che mancava. Dice: "Abbiamo le prove documentali dell'acquisto di uranio naturale da parte dell'Iraq nella repubblica centroafricana. Ci risulta anche il tentativo iracheno di acquistare centrifughe per l'arricchimento dell'uranio da industrie tedesche e, forse, italiane". Pollari non drammatizza. È prudente. Non disegna un quadro a tinte forti dove Bagdad appare in grado di costruire una atomica. Il direttore del Sismi sostiene che, una volta ottenuto l'uranio, una volta ottenute le centrifughe, "gli iracheni impiegheranno nella migliore delle ipotesi tre anni, e mediamente cinque, per mettere a punto, con quell'uranio arricchito, un'arma di distruzione di massa".

* * *

Nel marzo di quest'anno, il Sismi è in allarme. L'Aiea di Vienna, agenzia internazionale per l'energia atomica, ha finalmente ricevuto dagli americani ed esaminato i documenti del "dossier Niger". Il 7 marzo, Mohamed El Baradei, direttore generale dell'Aiea, spiega al Consiglio di sicurezza dell'Onu: "La mia agenzia, anche con il concorso di esperti esterni, ha concluso che i documenti in questione non sono autentici".

A Forte Braschi il clima si fa cattivo. Chi ha guardato con diffidenza e sospetto i documenti venduti dal diplomatico africano tira su la testa, dopo averla tenuta per mesi ben chinata dinanzi al successo che quelle informazioni raccoglievano sulle due sponde dell'Atlantico. Chi, di quei documenti, ha sopravvalutato la fondatezza comincia a cercare una via d'uscita alla crisi imminente sull'esterno e al prevedibile scontro interno. Come sempre capita in questi casi, dentro il servizio nascono alcune ricostruzioni che non trovano alcuna conferma e hanno, al momento, tutta l'aria di essere state costruite ad arte per sollevare un polverone che, coinvolgendo le responsabilità politiche, allontani dagli 007 critiche e censure. La prima riguarda il ruolo del presidente Berlusconi. La seconda, l'attività del suo consigliere diplomatico, Giovanni Castellaneta. Vediamo. Secondo alcune fonti del Sismi, sarebbe stato il premier italiano, in una conversazione telefonica, a confermare a George W. Bush l'esistenza del "dossier uranio" e soprattutto la sua fondatezza. Effettivamente Berlusconi parlò al telefono con il presidente degli Stati Uniti alle 8,45 (ora di Washington) del 25 gennaio 2003, a tre giorni (dunque) del discorso di Bush sullo stato dell'Unione. A cinque giorni dall'incontro a Washington dove i due presidenti convennero "sull'importanza di disarmare Saddam", ma dove - fonti diplomatiche italiane assicurano a Repubblica - "non si fece alcun accenno né al dossier uranio né dunque alla possibile attendibilità di quelle informazioni". Più o meno della stessa (velenosa) trama, è la storiella che gira intorno al nome di Giovanni Castellaneta. Il consigliere diplomatico, con buoni legami con la comunità dell'intelligence e in corsa per diventare direttore del Cesis, avrebbe assicurato "copertura politica" al dossier del Sismi in alcuni incontri non ufficiali con i legworkers della Cia a Roma.

Su questa ricostruzione dell'affaire, interpellata da Repubblica, la direzione del Sismi ha scelto di non rispondere ad alcuna domanda. Di Palazzo Chigi si conosce il comunicato di domenica scorsa (13 luglio): "Le notizie di trasmissione da parte italiana ad altri organismi d'intelligence di documenti di provenienza nigerina o irachena sono destituite di ogni fondamento: i servizi italiani non hanno mai fornito alcun documento". Sono parole che non spiegano e, oggi, richiedono una pubblica spiegazione, un'assunzione politica di responsabilità, quale che sia il grado di coinvolgimento che il nostro Paese ha avuto in questa storia.

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