Da La Repubblica del 21/07/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/g/sezioni/esteri/incontro/leader/leader.html

L'immagine texana da relax campestre non nasconde il delicato momento di Berlusconi e Bush

"Little B" nel ranch di "Big B" è l'incontro tra due debolezze

di Vittorio Zucconi

CRAWFORD (TEXAS) - Non potevano scegliere giorno peggiore per il viaggio premio di Silvio Berlusconi nel forno della prateria texana a mezza estate, e dunque non poteva esserci occasione migliore per parlare seriamente di politica e di guerra, con un George Bush finalmente costretto a sudare politicamente e ad ascoltare, non più solo a ordinare.

Nelle ore più cupe della guerriglia in Iraq, che ieri ha fatto il record di vite americane uccise dalla cosiddetta "fine delle guerra" con tre caduti nelle ultime 24 ore, i due leader della coalizione che tanto vollero questa guerra s'incontrano in un'atmosfera politicamente e climaticamente arroventata, qui davanti al fienile texano dei Bush trasformato in barbecue dai 40 gradi della prateria.

Un clima che offrirà loro un piccolo assaggio di quanto stanno vivendo i loro soldati mandati e trattenuti al fronte. Nella guest house, il rustico annesso al ranch dove ha dormito Berlusconi, c'è misericordiosamente l'aria condizionata dal 2001, quando Laura Bush, divenuta First Lady, fece ristrutturare il fienile, anche se il nostro premier avrebbe volentieri dormito al caldo pur di ricevere il premio fedeltà d'una visita al santuario privato dei Bush, tra i campi di mais e i cottowood, il pioppo del Far West americano.

Ma se in poche ore di colloqui, tra pesce e pollo alla griglia per cena (niente braciole, e dunque niente marinata tex-mex con aborriti aglio e cipolla) e lo scambio d'inevitabile paccottiglia western, cinturoni con fibbie d'argento gusto "Rio Bravo" e "cow boy boots" con il tacchetto gradevolmente alto, non si cambia il mondo, questo viaggetto premio potrebbe ancora divenire una cosa seria, un'occasione per alzare l'immagine politica, in Europa, del nostro presidente del Consiglio. Se, vincendo la tentazione di compiacere e d'acquisire altri punti fedeltà con il "fratello maggiore", saprà coglierla.

L'occasione, come spesso accade nel paradosso della diplomazia, nasce dal fatto che questo di Crawford, 731 abitanti e 11 souvenir shop - massima densità mondiale - nel mezzo del nulla texano, è un inatteso, e imprevisto incontro fra due debolezze. Nessuno avrebbe immaginato, quando alfine la Casa Bianca concesse a Berlusconi la sospirata prova d'amore con l'invito al ranch già peraltro visitato da cinesi, russi, giapponesi, inglesi, messicani, australiani e spagnoli, che in meno di due mesi, tra il vertice del G8 a Evian e la sauna texana d'oggi, (39,8 gradi e 78% d'umidità al momento dell'arrivo, ore 16) il mondo attorno a "Big B" e a "Little B", a Bush e a Berlusconi sarebbe cambiato tanto.

L'ormai riconosciuto pasticcio iracheno, lo scandalo delle mezze verità e delle patacche giornalistiche ora con il morto, spacciate come casus belli per la guerra preventiva, le difficoltà politiche interne di due capi di governo, li spinge a una ragionevolezza e a una serietà che questo incontro di relax campestre e d'immagini tipo musical "Oklahoma", non avrebbe voluto affrontare. Invece, ora che la mistica dell'Iraq liberato e felice s'è trasformata nel tiro al soldato quotidiano e nel panico del possibile New Vietnam, Bush ha bisogno dell'Onu.

Quindi, gli serve l'aiuto dell'Europa vecchia e nuova, per internazionalizzare l'occupazione, distribuire i costi umani, finanziari e quindi politici su alleati importanti e attutire così il rischio, impensabile fino a ieri e oggi almeno ipotizzabile, che l'Iraq diventi per lui quello che l'Indocina fu per un altro presidente texano con la passione dei ranch, Lyndon Johnson: la tomba delle speranze di rielezione.

Ma anche Berlusconi ha bisogno di un Bush forte e credibile, perché il successo continuo della destra americana fa da sponda e dà legittimazione al suo governo tanto criticato in Europa e un collasso di credibilità di questi repubblicani avrebbe conseguenze anche per lui e per i partiti che hanno sposato ciecamente la causa di Bush e delle sue politiche.

Qui negli Usa è sbalorditivo, e per la destra italiana angoscioso, vedere qualcuno riesumare l'arma di distruzione di massa costituzionale, la parola impeachment, l'incriminazione parlamentare del presidente, sia pure senza veri pericoli. Persino nel paesetto di Crawford, dove l'unico semaforo è un segnalatore luminoso per i binari della ferrovia di Santa Fè che Berlusconi sentirà muggire nella notte al passaggio delle motrici diesel, e l'unico distributore di benzina è, ironicamente, della francese Fina, massima cliente del petrolio di Saddam, su una villetta qualcuno ha steso una bandiera pacifista con la scritta "War is the Problem, not The Solution".

Per questo il nostro premier, che pure è qui per una visita "strettamente bilaterale", precisano a Palazzo Chigi, ha, nel suo ruolo di presidente pro tempore del Consiglio europeo, uno spazio di manovra inimmaginabile ancora poche settimane fa, per favorire quel riavvicinamento tra Europa e America che l'antiamericanismo europeo, l'antieuropeismo americano, aveva trasformato in una deriva continentale. La parola "multilateralismo", impronunciabile fino alla caduta di Bagdad, torna a esser pronunciata con nostalgia, almeno al Congresso.

L'Onu è visto come un porto al quale chiedere approdo e legittimità, non quel circolo d'oratori impotenti dileggiato da Rumsfled. La traccia è già stata data da Blair nel suo applauditissimo discorso al Congresso, nel quale, tra i previsti proclami d'eterna amicizia, ha detto a Washington che il tempo dell'unilateralismo imperioso è finito con il fiasco del dopoguerra iracheno e gli Usa non devono e non possono "give up on Europe", rinunciare all'Europa.

Berlusconi, con le sue impeccabili credenziali di fedele compagno di viaggio americano, addirittura "fraterno" come ha detto in un'intervista a Time usando un aggettivo d'infelici memorie per l'Est europeo, e con le altrettanto impeccabili credenziali europeiste dell'Italia che ha ereditato, sarebbe l'interlocutore perfetto per cominciare quella ricucitura euroatlantica senza vinti né vincitori della quale l'occidente democratico ha un disperato bisogno, non solo per venire a capo del problema Iraq senza recriminazioni reciproche, ma per mettere mano a una ripresa economica equilibrata e non concorrenziale.

Nel suo ranch "Cappella della Prateria", dove ieri notte ha dormito, sicuramente con orgoglio e stupore, un figlio della Brianza lombarda, Bush corre a rifugiarsi con sincero snobismo di redneck, d'uomo di campagna, lui che avrebbe potuto scegliersi seconde case sontuose in luoghi celebri e più miti, come la California cara a Nixon e Reagan, le scogliere del Maine di suo padre George H., il Massachussets della Hyannisport kennedyana.

Ma qui può essere sé stesso, spaccare legna e raccogliere fieno, guidare il pick up in solitudine con il cane sul sedile accanto (e 7 furgoni del servizio segreto dietro, ma non inquadrati dalle tv), essere "a good old boy", un vecchio ragazzo, e godersi lo stordimento rassicurante della vertigine orizzontale che la vista di questi cieli e campi senza fine provoca.

È dunque più ricettivo, più rilassato, più pronto ad ascoltare, se colui che gli parla ha il coraggio, e la capacità, di farlo. Possiamo solo augurarci che Berlusconi abbia saputo trovare lo scatto dello statista, dopo la notte nel fienile, anche se difficilmente lo sapremo perché, con prudente saggezza, gli incontri con la stampa sono stati limitati a quasi nulla, oggi, e niente conferenza stampa per i giornalisti italiani. Non è giorno, non è momento per improvvisazioni e barzellette, mentre si muore in Iraq e dall'America s'alza un grido d'aiuto che un amico vero, e non un vassallo, dovrebbe cogliere, con discrezione e con fermezza.

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