Da Corriere della Sera del 09/07/2003

Due presidenti, un continente

Sfida Bush-Chirac: è partita la campagna d’Africa

di Massimo Nava

PARIGI - A chi crederanno gli africani? All'improvvisata generosità dello zio Sam o all'amicizia interessata dell'ex padrone francese? La sfida per l'egemonia in Africa, fra Stati Uniti e Francia, non è nuova ed è forse ingigantita da storiche ambizioni e diffidenze, più che da enormi interessi in gioco: un Continente alla deriva, teatro di conflitti ed epidemie, è soprattutto un costo, economico e militare. (Nella foto Reuters, i presidenti americano Bush e senegalese Wade a Gorée, l’«isola degli schiavi»). Oggi gli Usa sembrano disposti a sopportare quel costo, anche se gli aiuti sono ancora promesse di carta. E la Francia ha deciso uno sforzo maggiore, che però riempie i tagli degli ultimi anni. In cambio di che cosa? La gravità delle emergenze e il ruolo svolto da alcuni leader africani lasciano pensare che Parigi e Washington, dopo la crisi irachena, possano trovare in Africa spazi di collaborazione. Ad esempio nelle missioni militari, nella lotta all'Aids e al terrorismo. D'altra parte, l'importanza dell'Africa come somma di Paesi più che come continente di popoli diventa invece terreno di nuove frizioni. Basta osservare come molti leader vengano corteggiati o siano oggetto di pressioni per soddisfare strategie di Parigi e Washington più che bisogni dei loro Paesi.

Dall'Onu ai summit mondiali, dalla Corte di giustizia alle istituzioni internazionali, il voto e il peso di una cinquantina di Stati diventano importanti per questioni - Iraq, sviluppo sostenibile, Ogm, giustizia internazionale - sulle quali Francia e Usa sono divergenti o conflittuali.

Anche per questo l'Africa è oggi oggetto d'interessata generosità. Il presidente Chirac ne ha fatto il fulcro della politica estera, convinto che le ambizioni francesi sulla scena mondiale dipendano da una massa critica di Paesi legati alla Francia, per l'impronta culturale e linguistica che Parigi ha lasciato.

Dopo il trauma del genocidio in Ruanda (con il governo francese indiziato di aver fatto poco per prevenirlo), le accuse di disinvolto sostegno alle peggiori dittature (da Bokassa a Mobutu) e il disimpegno negli anni di Jospin, la Francia è tornata in campo. Con la volontà di affermare principi di legalità e democrazia, salvo invitare a Parigi il boss dello Zimbabwe, Mugabe, pur di salvare il vertice francoafricano in cui Chirac enunciava la nuova dottrina.

Parigi è andata incontro anche a delusioni. In Costa d'Avorio, ha scelto di mettere attorno ad un tavolo governo e ribelli. Risultato: un accordo fragile e i vecchi amici che hanno gridato «W Bush» nelle strade. Sui temi della legalità internazionale e della democrazia, il ministro degli Esteri de Villepin, durante la crisi irachena, ha conteso agli americani lo spazio d'influenza correndo nelle capitali di Camerun, Angola e Guinea, membri del Consiglio di sicurezza.

Non sembra casuale che la visita di Bush sia cominciata in Senegal, il Paese per cultura più legato alla Francia (si pensi al poeta presidente Leopold Senghor, ai funerali del quale Chirac commise l'errore di non presenziare) ma oggi più sensibile alla politica americana. Il presidente Wade ha sostenuto Washington nella crisi irachena e ha firmato l'accordo di non estradizione di cittadini americani alla Corte penale internazionale, una firma che condiziona in altri Paesi dell'Africa la disponibilità della cooperazione Usa.

Il Senegal, area strategica sulla costa atlantica, è fra i Paesi che la Casa Bianca avrebbe indicato per una presenza militare in funzione antiterrorismo. Sull'altra sponda, l'arrivo degli americani a Gibuti, anche in vista di un possibile intervento in Somalia, non può che ingelosire la presenza storica dei legionari francesi.

I due più importanti attori nella regione dei Grandi Laghi, l'uomo forte del Ruanda, Paul Kagame e il presidente ugandese Museveni, anglofoni, hanno approfittato della fine di tradizionali alleati dei francesi per esercitare influenza sui vicini e sul ricchissimo Congo.

Altro terreno di possibile frizione, le risorse petrolifere di Guinea Equatoriale, Nigeria, Camerun e Angola, nell'ottica americana di ridurre la dipendenza dai Paesi del Golfo. Quando si tratta di affari, l'intesa è però più facile: gli americani sono presenti nel capitale del colosso francese Total Fina Elf.

Alla fine, il Paese fra i meno sensibili alle lusinghe americane è l'unica potenza regionale, con un programma di energia nucleare: il Sud Africa che, proprio sulle questioni dello sviluppo e dei brevetti sui farmaci anti-Aids, ha condotto battaglie di principio con la Casa Bianca e ha mostrato forte simpatia per Parigi. Dominique de Villepin, che è anche romanziere, scrive che «la poesia ricrea il mondo». Colin Powell ha detto che l'Aids è più distruttiva di ogni arma di distruzione di massa. Chissà se gli africani, da oggi, potranno credere alle speranze e alle medicine.

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