Da Corriere della Sera del 24/07/2003

Le tre età della tv, una guida per capire "il digitale"

di Gianni Mura

Anche se dai programmi che ogni giorno vanno in onda non ce ne accorgiamo, anche se la pochezza dei palinsesti fa pensare a tutt’altro, viviamo nell’età dell’abbondanza, dal punto di vista televisivo almeno. Questa età è determinata soprattutto dalla diffusione del digitale e dalla progressiva convergenza dei media . Che il governo si preoccupi, come succede in altri Paesi, di accelerare e agevolare la conversione dell’intero sistema televisivo nel digitale è cosa buona. Che lo faccia nell’interesse di qualcuno, meno. Tuttavia, per capire meglio le cose, conviene separare i due ambiti, quello tecnologico e quello politico, perché spesso i tempi dell’uno non coincidono necessariamente con quelli dell’altro. Per dire, il mese scorso, negli Stati Uniti, la Federal Communications Commission (Fcc) ha annunciato la modifica alle norme per la regolazione del settore dei media . La nuova architettura normativa è improntata a una maggiore liberalizzazione del settore per favorire le acquisizioni e agevolare l’espansione dei network . Queste nuove norme di deregulation suggerite dall’autorità federale stanno però incontrando proprio in questi giorni forti ostacoli in Parlamento.

L’età dell’abbondanza, dicevamo. Secondo John Ellis, studioso inglese di medi a ( Seeing Things, Londra, 2000 ), la storia sociale della tv si divide in tre grandi epoche: l’età della scarsit à ( scarsity ), l’età della disponibilità ( availability ) e, appunto, l’età dell’abbondanza ( plently ).

La prima età coincide con l’avvento della tv nel contesto domestico e con il suo «decollo» come principale e più popolare mezzo di intrattenimento e di informazione. Lo spiega bene Ellis: «Lo sviluppo della tv è intimamente connesso con le trasformazioni nella società dei consumi. L’età della scarsità coincide con, e contribuisce a promuovere, lo sviluppo del consumo domestico da una prima fase di "fornitura universale" a una seconda fase di crescita della scelta del consumatore. All’inizio l’abitazione diventa il principale mercato per il consumo. Le case vengono fornite di sempre più numerosi apparecchi tecnologici, e l’uso, il possesso o la mancanza d’essi diventa un indicatore cruciale dello status sociale. La fornitura d’elettricità rappresenta il punto di svolta. Dopo l’elettricità sono venuti l’aspirapolvere, i frigoriferi, le radio, le lampade elettriche, le lavatrici e le asciugatrici». Insomma, in questa fase («Lascia o raddoppia?», «Carosello») la tv è il più formidabile strumento di modernizzazione delle società e delle culture. In Europa questo mezzo è in mano allo Stato e si configura come Servizio pubblico.

A partire dagli anni Settanta, e poi decisamente negli Ottanta, l’età della scarsità (caratterizzata da una limitata offerta televisiva destinata ad un pubblico di massa inteso come «generalista») si conclude pressoché in tutti i Paesi industrializzati, negli Stati Uniti come in Europa, sebbene con tempi diversi. L’avvento di una seconda età, che Ellis chiama della disponibilità, dipende da una varietà di fattori. Avvengono in questo periodo importanti trasformazioni culturali e sociali che potremmo riassumere un po’ sbrigativamente con l’idea del passaggio da «una società dei consumi a una società consumistica». Si parla anche di deregulation intesa come fenomeno che si lega all’innovazione tecnologica e che affranca il pubblico dalla scarsità della tradizionale tv irradiata via etere dai Servizi pubblici. In Italia, non a caso, la deregulation coincide con l’avvento delle tv commerciali e l’ingresso in scena di Silvio Berlusconi.

Dunque la tv nell’età della disponibilità vede emergere una tendenza di fondo: il progressivo allargamento dell’offerta televisiva, sia in termini di canali fruibili (in Italia siamo passati da due reti a un numero indefinito), sia in termini di tempi di trasmissione (approda anche da noi la tv di flusso, 24 ore su 24).

E siamo così arrivati ai giorni nostri. Scrive Ellis: «Entrando nel nuovo Millennio, la tv offre un curioso spettacolo di evoluzione diseguale. L’industria corre verso una nascente età dell’abbondanza, mentre la maggior parte degli spettatori sta ancora facendo i conti con l’età della disponibilità. La tv è piena di nuove tecnologie, nuove sfide e nuove incertezze. In gioco c’è l’allontanamento da un’economia dominata dal broadcasting terrestre inteso come gratuito per lo spettatore. Questa è ancora la forma principale di tv nell’età della disponibilità, che ha esteso l’offerta con la moltiplicazione dei canali e con l’estensione delle ore di trasmissione. In molti Paesi, un tale servizio continua a caratterizzare la cultura televisiva della maggioranza dei fruitori, sebbene, all’interno dell’istituzione, vi siano alcuni che predicono già la fine del broadcasting ». Per molti, insomma, la tv è ancora un mezzo di comunicazione «di massa», essenzialmente monodirezionale, il cui mercato principale è «generalista», seppur segmentato, a seconda delle esigenze degli investitori pubblicitari (Raiuno e Canale 5 per tutti, Italia 1 per i giovani, ecc.). Ciò che invece caratterizza l’età dell’abbondanza è l’idea della radicale personalizzazione del consumo. La sua immagine chiave è la progressiva sostituzione del palinsesto con il video on demand e l’allargamento dell’interattività. Entrambi questi aspetti si legano al fenomeno, tipico della seconda metà degli anni Novanta, della digitalizzazione.

Nella lingua corrente, il termine digitale significa «qualcosa che prevede l’uso di segnali discreti per rappresentare dati sotto forma di numeri o di lettere alfabetiche». Nell’ambito tecnologico la parola digitale (che porta in sé i significati di dito/misura/numero) è utilizzata per definire un codice in grado di trasformare in bit le informazioni testuali, sonore e visive.

Attraverso questo codice è possibile far parlare tutti i media con la stessa «lingua». Il digitale viene distribuito dal satellite, dalle fibre ottiche, dal «digitale terrestre» (il vecchio sistema analogico convertito) e consente già ora ai telespettatori servizi integrativi (sondaggi e votazioni in diretta, acquisti online, operazioni bancarie, ecc.).

L’avvento della digitalizzazione comporta alcuni problemi rilevanti, da non sottovalutare: a) al momento, la tv si rivolge a un pubblico anziano poco interessato a innovazioni tecnologiche obbligando la legge a fare una scommessa sul futuro e non sulla domanda attuale, ancora dominata dal meccanismo dell’Auditel; b) i costi di conversione e di gestione sono molto alti e rischiano di penalizzare non poco la Rai che non sa dove cercare le risorse (qualcuno ha suggerito le cartolarizzazioni, che sono un po’ come le cambiali); in un simile frangente, favorire una parte significa bloccare il mercato per un numero imprecisato di anni; l’onerosità degli investimenti, infatti, impedisce l’affacciarsi di altri competitor; c) la moltiplicazione dei canali non significa per forza moltiplicazione dell’offerta (in questi anni si sono fatti forti investimenti sulle tecnologie e quasi nessuno sui contenuti).

La Gasparri è «buona» perché guarda concretamente al futuro, è «cattiva» perché «non esiste democrazia senza pluralismo».

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