Da Corriere della Sera del 26/07/2003

Il modello francese

Raffarin il riformista di destra

di Massimo Nava

PARIGI - Un nuovo leader riformista s'aggira per l'Europa, a braccetto di Tony Blair e Gerhard Schröder, ispirato da un presidente con la rivoluzione nel cuore, Jacques Chirac. Viene dalla provincia francese che non ha mai contato nulla, non ha frequentato le grandi scuole d'amministrazione che hanno sfornato per decenni le classi dirigenti del Paese, ha lavorato nel marketing e la sua opera più conosciuta ha un titolo che è la chiave della sua folgorante carriera politica, «La pubblicità, anima della comunicazione». Per governare, Jean Pierre Raffarin non avrebbe bisogno né di pubblicità né di comunicazione. La maggioranza di destra è schiacciante, la sinistra agonizza in cerca d'identità. Ma per convincere i francesi che l'ora delle riforme strutturali e della fine dello Stato mamma non è più rinviabile, il primo ministro deve superare un ostacolo più forte della sua maggioranza politica: la mentalità conservatrice di un Paese aggrappato a un modello sociale che elargisce buoni servizi e vacanze record, privilegi di casta e solidarietà, in cambio di carichi fiscali esorbitanti e mal ripartiti fra classi e categorie.
Per vincere la sfida, Raffarin si è inventato il pensiero di destra che sembra di sinistra e l'abito di sinistra per fare cose di destra. S'ispira a Blair (ma solo in politica interna, per carità!), ammira il dialogo sociale di Schröder, lascia che il taglio dei suoi vestiti dia un'impressione popolare e impiegatizia, esalta la Francia dei diritti (è il primo leader a ricevere il movimento gay e a promettere una legge contro la discriminazione sessuale), vara leggi contro il fumo, l'indisciplina sulle strade, l'inquinamento.
Intanto, forse per la prima volta negli ultimi decenni, soddisfa senza complessi l'elettorato di destra. Con buon senso («il dialogo sociale è una priorità nazionale») e risolutezza («Non si governa nelle strade»).
Invadendo i terreni della sinistra e agitando l'alibi più ovvio dei governi europei, i parametri di Maastricht, che quasi tutti sforano, ma che ognuno evoca per fare le cose più spiacevoli.
Alle elezioni, i francesi hanno chiesto più sicurezza, maggior liberismo economico e meno tasse: i più importanti provvedimenti del governo sono stati in questa direzione, anche se gli imprenditori vorrebbero di più. Alcune riforme, dalle pensioni alla sanità, non hanno colore politico, sono imposte dal deficit pubblico e dal buon senso, come dimostrano, proprio in questi giorni, Parigi e Berlino.
Altre sono in cantiere nei prossimi mesi, con l'ambizione di modificare il genoma del modello francese, la République dei funzionari e delle imprese statali.
Con la riforma delle pensioni, approvata dopo un estenuante dibattito in Parlamento e tre mesi di battaglia sociale, si può davvero parlare di svolta storica per la Francia. Il provvedimento non stravolge i canoni della ripartizione, ma comincia a riparare la nuova ingiustizia, quella fra generazioni. Nessun governo ci era riuscito negli ultimi quindici anni e l'ultimo che ci aveva provato - quello di Alain Juppé - pagò la determinazione con la consegna del Paese alla sinistra.
Raffarin incassa il successo che lo mette, almeno per ora, al riparo dalle rivalità interne che non mancano in ogni famiglia politica. La Francia e il presidente Chirac continuano a preferire il liberismo mascherato e bonario di Raffarin alle durezza dello sceriffo Nicolas Sarkozy, il ministro degli interni, la cui ascesa è stata frenata dall'esito negativo del referendum in Corsica.
La sinistra accusa Raffarin di smantellare lo stato sociale, di essere una Thatcher con i pantaloni, ma nega a se stessa che, se tornasse a governare, avrebbe messo mano a provvedimenti molto simili.
L'alternativa è l'immobilismo, che non favorisce comunque i più deboli. Se la tensione sociale cresce, Raffarin avverte che «non ci sono vinti né vincitori». Poi ci pensa Jacques Chirac a rassicurare i francesi con i principi della Bastiglia e a scaldare i cuori con nostalgia e pratica degli «ismi»: pacifismo, antiamericanismo, terzomondismo, antimondialismo. E siccome nessuno storico ha ancora capito se de Gaulle fosse di destra o di sinistra, il dubbio rimane anche per eredi e imitatori.

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