Da Famiglia cristiana del 06/07/2003

A un anno di distanza dal messaggio di Ciampi sull’informazione

Ma chi ascolta quella voce?

Si discute in questi giorni la legge che riordina il sistema radiotelevisivo. Che non affronta il nodo del conflitto di interessi. E ignora gli appelli del presidente Ciampi.

di Adriano Sansa

La televisione, che è il più diffuso mezzo di informazione, non parla molto dei problemi della disciplina televisiva. Infatti il destinatario principale delle regole anticoncentrazione è Silvio Berlusconi, che controlla anche la televisione pubblica. Quella che, riscuotendo il canone, dovrebbe servire l'interesse generale. Ma senza pubblicità la vita è grama, poiché il canone non basta; e nel mercato pubblicitario Berlusconi è fortissimo.
I promotori di Mediaset percorrono in questi giorni l'Italia e annunciano trionfalmente l'avvenuto sorpasso delta Rai da parte della loro azienda: soddisfazione che sarebbe legittima, se non fosse che il possessore di Mediaset è quel presidente del Consiglio che ingerisce pesantemente nella gestione della Rai. Se questa perde ascolti e pubblicità, Mediaset ci guadagna.
Berlusconi, che telefonava ogni giorno a Saccà, direttore generale della Rai – lo racconta Sartori sul Corriere della Sera, e si domanda di che cosa gli parlasse –, guadagna personalmente dal declino della Rai. È una incompatibilità evidente, e che andrebbe eliminata. Ma chi dovrebbe farlo è la maggioranza, guidata da Berlusconi. Il quale, insiste Sartori, nega l'assalto al grande quotidiano, una delle poche fonti di informazione che non gli appartengono.
Intanto «anche le panchine dei giardini di Milano sanno che le liste di proscrizione di Berlusconi non si fermano a viale Mazzini ma si estendono a via Solferino (sede del Corriere della Sera)».
Siamo noi le "panchine che sanno" ma subiscono. L'attività di Governo confina pericolosamente con gli affari, la libertà di informazione è vista con insofferenza crescente, come ha scritto Ferruccio De Bortoli congedandosi dalla direzione del quotidiano milanese. È questo un black out più pericoloso di quello dell'energia elettrica, perché riguarda il nostro cervello. Consideriamo la questione unitariamente: l'insofferenza dei giudici, le leggi del privilegio, la sottrazione ai processi fanno parte dello stesso attacco alla democrazia. Sartori e De Bortoli non sono "comunisti", ma solidi liberali. Il primo parla di una "linea del Piave" sulla quale resistere.

La voce del presidente Ciampi, purtroppo, è resa debole dalla noncuranza dei destinatari delle sue parole. Il messaggio del 23 luglio 2002 alle Camere diceva: la garanzia del pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione è strumento essenziale per una democrazia compiuta; il tema investe l'intero sistema delle comunicazioni; la Corte costituzionale ha ribadito l'imperativo del pluralismo delle fonti – così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista differenti –, dell'obiettività e dell'imparzialità, della completezza, della correttezza; la nuova realtà tecnologica, le norme comunitarie e le sentenze della Corte richiedono una legge di sistema che metta al centro il ruolo del servizio pubblico, abbia riguardo alle competenze delle Regioni, garantisca i diritti di opposizione e minoranze.
Ma Mediaset non vuole rinunciare entro l'anno a una rete, come deve. Nessun serio meccanismo anticoncentrazioni è previsto. Tutto resta, secondo la legge – in discussione in questi giorni in Parlamento, e che prende il nome dal ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri –, in sostanza come prima. Il limite del 20 per cento dei programmi televisivi per un medesimo concessionario è generico e privo di riferimenti sicuri, commisurato com'è a un oscuro «insieme delle risorse complessive del settore integrato delle telecomunicazioni».
Ci sono anche cinema e affissioni? Si potrà litigare all'infinito, tutto resterà come prima. Cioè contro la Costituzione, le leggi, le sentenze, le parole di Ciampi. Contro di noi. Per la ricchezza e il potere dì uno solo.

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