Da L'Espresso del 05/06/2003

Rachel come Jessica

La soldatessa era in Iraq a combattere per il suo Paese e la libertà. La pacifista nei Territori occupati come scudo umano. Entrambe americane, trattate diversamente

di Naomi Klein

Jessica e Rachel potevano essere scambiate per sorelle. Due bionde americane, due destini segnati per sempre in una zona di guerra del Medio Oriente. Il soldato semplice Jessica Lynch, era nato a Palestine, nella Virginia Occidentale, mentre l'attivista Rachel Corrie è morta nei territori palestinesi occupati da Israele.

Rachel aveva 23 anni, quattro in più di Jessica, e il suo corpo è stato schiacciato da un bulldozer israeliano a Gaza sette giorni prima che quest'ultima venisse fatta prigioniera in Iraq, Il 23 marzo scorso. Prima di arruolarsi, Jessica aveva organizzato uno scambio di lettere fra bambini in un asilo locale. Rachel aveva fatto la stessa cosa a Olympia, nel distretto di Washington, mettendo in corrispondenza i bambini della sua città natale con quelli di Raffa. Jessica è partita per l'Iraq come soldato fedele al suo Paese. Affrontando la guerra «senza paura e con determinazione», per dirla con le parole usate dal senatore della Virginia occidentale, Jay Rockefeller. Rachel, invece, è andata a Gaza per contestare le iniziative del suo governo. Come cittadina americana, credeva di doversi assumere la responsabilità di difendere i palestinesi contro le armi fabbricate negli Stati Uniti e acquistate da Israele grazie agli aiuti finanziari ricevuti da Washington. Nelle lettere spedite ai suoi familiari, ha descritto con molta precisione come le acque venivano deviate da Gaza verso gli insediamenti ebraici, spiegando che da quelle parti la morte era più normale della vita: «Ecco a cosa servono i soldi che mandiamo qui».

Al contrario di Jessica, non era arrivata a Gaza per combattere, ma per scongiurare la guerra. E insieme ai suoi compagni dell'International Solidarity Movement (Ism), era convinta che le incursioni militari israeliane fossero contenibili in presenza di osservatori internazionali. Per quanto l'uccisione di civili palestinesi potesse apparire un fatto normale, Israele non avrebbe gradito gli scandali né gli incidenti diplomatici che avrebbero potuto scoppiare nel caso in cui uno studente universitario americano avesse perso la vita. In un certo senso, Rachel stava cercando di sfruttare una delle tendenze più odiose manifestate dal suo paese: la convinzione che la vita di un cittadino americano valga più di quella di chiunque altro. E questo per cercare di evitare la demolizione di alcune case palestinesi. Persuasa che il suo giubbotto fluorescente color arancio potesse servire come armatura e il suo megafono da scudo contro le pallottole, dormiva accanto ai pozzi d'acqua e accompagnava i bambini a scuola.

Se gli attentatori suicidi trasformavano i loro corpi in strumenti di morte, Rachel aveva trasformato il suo in uno strumento di vita. Ovvero, in uno "scudo umano". Ma quando il conducente del bulldozer premette l'acceleratore, questa strategia si rivelò fallimentare. Si scopre che la vita di alcuni cittadini americani, anche se si tratta di donne bianche giovani e belle, vale più di quella di altri. E non c'è miglior dimostrazione di questo delle opposte reazioni al caso di Jessica e a quello di Rachel. Non appena il Pentagono annunciò che era stata tratta in salvo, la soldatessa divenne un eroe, con tanto di distintivi con la scritta "America loves jessica", etichette autoadesive, t-shirt, tazzine, canzonette e un film prodotto dalla rete televisiva Nbc. Stando alle dichiarazioni del portavoce della Casa Bianca, Ari Fleisher, Bush era «entusiasta di Jessica ». E il fatto di averla salvata stava a dimostrare che l'America, come ha dichiarato Rockefeller in un suo discorso al Senato, «si prende cura dei suoi cittadini». Ma è proprio così? La morte di Rachel, che ha richiamato l'attenzione della stampa per un paio di giorni cadendo subito nell'oblio, è stata quasi messa a tacere a livello ufficiale, nonostante alcuni testimoni oculari sostengano che sia stata provocata in modo intenzionale. Bush non ha fatto alcun commento sull'uccisione di una concittadina schiacciata da un bulldozer fabbricato negli Stati Uniti e acquistato con i soldi dei contribuenti americani. E una risoluzione del Congresso che chiedeva l'istituzione di una commissione d'inchiesta è stata insabbiata, lasciando alle forze armate israeliane (che hanno declinato qualsiasi loro responsabilità) il compito di svolgere le indagini.

L'International Solidarity Movement ha interpretato questo silenzio ufficiale come un segnale chiaramente pericoloso. Secondo Olivia Jackson, una giovane inglese 25enne che si trova ancora a Rafah, «dopo l'uccisione di Rachel le autorità militari israeliane hanno atteso una risposta dal governo americano che ha reagito in modo patetico. Così hanno capito che potevano farla franca senza pagarne le conseguenze».

Il primo della lista è stato Brian Avery, 24 anni, colpito al volto il 5 aprile. Poi Tom Hurndall, un militante inglese della stessa organizzazione internazionale che si è accasciato al suolo col cervello fracassato da una pallottola l'11 aprile. Infine, James Miller, un cameraman inglese che indossava un giubbotto con su scritto "Tv". In tutti questi casi, i testimoni oculari hanno dichiarato che a sparare erano stati i soldati israeliani. Ma c'è qualcos'altro che jessica e Rachel hanno in comune: le loro due vicende sono state distorte dai militari a loro uso e consumo. Secondo la versione ufficiale, Jessica sarebbe stata catturata in seguito a un sanguinoso scontro a fuoco, maltratta da medici iracheni sadici e salvata alla fine sotto un'altra pioggia di proiettili, dagli eroici corpi speciali della marina.

Nelle ultime settimane è emersa però un'altra versione. I dottori che l'hanno curata non hanno trovato traccia di ferite in battaglia. E hanno donato il loro sangue per salvarle la vita. Ma la cosa più imbarazzante di tutte è che, stando alle dichiarazioni rese da alcuni testimoni alla Bbc, quegli audaci marines già sapevano che non c'era nessun combattente iracheno nei paraggi quando avevano preso d'assalto l'ospedale. Se la storia di Jessica è stata distorta per far apparire la sua protagonista un'eroina, quella di Rachel è stata manipolata, dopo la sua morte, per metterla in cattiva luce insieme al suoi compagni dell'International solidarity movement (Ism). Da mesi, le autorità militari israeliane stavano cercando di sbarazzarsi dei "mestatori" di quest'organizzazione. E il pretesto glielo hanno fornito Mohammed Hanif e Omar Khan Sharif, i due kamikaze che avevano la cittadinanza inglese. Quando vennero a sapere che avevano partecipato a una commemorazione di Rachel a Rafah, colsero subito l'occasione per accusare l'Ism di terrorismo.

Ma i suoi membri hanno precisato che la cerimonia era aperta al pubblico e che ignoravano del tutto le intenzioni dei due futuri uomini bomba. L'organizzazione è dichiaratamente contraria a qualsiasi azione che colpisca la popolazione civile, non importa se ad opera dei bulldozer israeliani o degli attentatori palestinesi. Molti dei suoi attivisti sono convinti inoltre che il loro intervento possa ridurre il terrorismo dimostrando che vi sono altri modi di opporre resistenza contro l'occupazione, senza ricorrere a forme nichilistiche di vendetta come gli attentati suicidi. Ciò nonostante, negli ultimi due mesi gli uffici dell'lsm sono stati presi d'assalto, e alcuni militanti sono stati arrestati e deportati. ll giro di vite si sta ora estendendo a tutte le altre organizzazioni "internazionali". Col risultato che vi sono sempre meno persone, nei territori occupati, in grado di offrire testimonianze o recare soccorso alle vittime. Pochi giorni fa, il coordinatore del processo di pace delle Nazioni Unite ha riferito al Consiglio di Sicurezza che decine di funzionari incaricati di fornire aiuti non hanno potuto entrare e uscire da Gaza, e ha denunciato questo comportamento come una violazione dei diritti umani da parte di Israele. Il 5 giugno si celebrerà in tutto il mondo una giornata a sostegno dei diritti dei palestinesi, per chiedere innanzitutto all'Onu l'invio di osservatori internazionali nei territori occupati. Ma, intanto, molti hanno deciso di continuare l'opera di Rachel. Nonostante i rischi. Più di 40 studenti del suo college, l'Evergreen State di Olympia, hanno già firmato un impegno con l'Ims per recarsi a Gaza quest'estate. Cos'è dunque l'eroismo? Durante l'attacco all'Iraq, gli amici di Rachel hanno trasmesso una sua foto via e-mail alla rete televisiva Nbc chiedendo che venisse esposta nel suo Pantheon degli Eroi, senza ottenere alcuna risposta. Rachel viene comunque onorata in altri modi. La sua famiglia ha ricevuto 10 mila lettere di sostegno, mentre associazioni sparse ovunque in America hanno organizzato grandi cerimonie commemorative e a molte bambine dei territori occupati viene dato il suo nome. Nulla di paragonabile a uno spettacolo televisivo. Ma forse è meglio.

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