Da Corriere della Sera del 25/07/2003
Informazione
Anche i repubblicani contro Bush, bocciati i giganti dei media
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Dopo quello del Senato, il clamoroso «no» della Camera alla riforma delle telecomunicazioni adottata da una commissione governativa ha messo il presidente Bush nei guai. Senato e Camera, sebbene controllati dal Partito repubblicano di Bush, hanno respinto la riforma quasi all’unanimità, la Camera con ben 400 voti a 21. Il presidente ha minacciato il veto, ma per imporlo ha bisogno di un terzo dei voti. Inoltre, se mantenesse la minaccia alienerebbe alcune delle sue lobbies elettorali, dalla Christian right alla National rifle association , contrarie alla riforma, che lascerebbe l’informazione televisiva in mani uniformi e dedite al «business». Un suo acceso sostenitore, infine, l’opinionista del New York Times William Safire, ex consigliere del presidente Nixon, lo ha accusato di fare l’interesse dei «Quattro cavalieri dell’apocalisse» dei media, i giganti del settore: la Fox del magnate Rupert Murdoch, la General Electric, la Viacom e la Disney.
La Commissione che ha involontariamente inguaiato Bush è la Federal communication commission diretta da Michael Powell, il figlio del segretario di Stato Colin Powell, un uomo di destra. Il mese scorso, la commissione ha decretato che una società televisiva può raggiungere il 45 per cento delle famiglie americane e non il 35 per cento come sinora stabilito, una situazione di semi monopolio. Ha motivato la decisione con la deregulation , cioè la liberalizzazione del mercato. Ma i democratici vi hanno visto una manovra politica a favore di Bush, considerato da loro «cliente» delle quattro grandi, e la maggioranza dei repubblicani vi ha scorto un pericolo per l’autonomia delle emittenti delle loro lobbies . Ancora più forti sono state le proteste del pubblico, che teme di perdere le stazioni locali, e dei media, che temono che il processo di concentrazione al loro interno diventi incontrollabile.
Alla sconfitta al Congresso, Michael Powell, già scosso dalla sollevazione popolare, ha segnalato di essere pronto a dimettersi, cosa a cui Bush è contrario. La Casa Bianca ha perciò chiesto a Powell di aspettare. Punta tutto su una manovra procedurale. Il Senato e la Camera devono mettersi d’accordo sul testo della legge contro la riforma, e ciò comporterà qualche settimana di trattative. Nel frattempo, gli uomini del presidente sperano di convertire quasi tutti i parlamentari repubblicani alla loro causa. Secondo Safire è una speranza infondata.
Ma i «Quattro cavalieri» sono già all’opera. Stanno facendo circolare una petizione a favore di Bush, ammonendo che non si può indebolire il presidente durante la ricostruzione dell’Iraq, la guerra al terrorismo e in vista delle elezioni del 2004.
Se la controffensiva delle grandi tv fallirà, Bush, che non ha mai posto un veto, andrà contro la ovvia volontà del Paese? Safire si augura di no. Il presidente, ha scritto, è embedded nei colossi televisivi, incastonato come i giornalisti nelle truppe all’attacco di Bagdad. Ma non è privo d’intuizione politica, e potrebbe incassare per tornare alla carica più tardi.
La Commissione che ha involontariamente inguaiato Bush è la Federal communication commission diretta da Michael Powell, il figlio del segretario di Stato Colin Powell, un uomo di destra. Il mese scorso, la commissione ha decretato che una società televisiva può raggiungere il 45 per cento delle famiglie americane e non il 35 per cento come sinora stabilito, una situazione di semi monopolio. Ha motivato la decisione con la deregulation , cioè la liberalizzazione del mercato. Ma i democratici vi hanno visto una manovra politica a favore di Bush, considerato da loro «cliente» delle quattro grandi, e la maggioranza dei repubblicani vi ha scorto un pericolo per l’autonomia delle emittenti delle loro lobbies . Ancora più forti sono state le proteste del pubblico, che teme di perdere le stazioni locali, e dei media, che temono che il processo di concentrazione al loro interno diventi incontrollabile.
Alla sconfitta al Congresso, Michael Powell, già scosso dalla sollevazione popolare, ha segnalato di essere pronto a dimettersi, cosa a cui Bush è contrario. La Casa Bianca ha perciò chiesto a Powell di aspettare. Punta tutto su una manovra procedurale. Il Senato e la Camera devono mettersi d’accordo sul testo della legge contro la riforma, e ciò comporterà qualche settimana di trattative. Nel frattempo, gli uomini del presidente sperano di convertire quasi tutti i parlamentari repubblicani alla loro causa. Secondo Safire è una speranza infondata.
Ma i «Quattro cavalieri» sono già all’opera. Stanno facendo circolare una petizione a favore di Bush, ammonendo che non si può indebolire il presidente durante la ricostruzione dell’Iraq, la guerra al terrorismo e in vista delle elezioni del 2004.
Se la controffensiva delle grandi tv fallirà, Bush, che non ha mai posto un veto, andrà contro la ovvia volontà del Paese? Safire si augura di no. Il presidente, ha scritto, è embedded nei colossi televisivi, incastonato come i giornalisti nelle truppe all’attacco di Bagdad. Ma non è privo d’intuizione politica, e potrebbe incassare per tornare alla carica più tardi.
Sullo stesso argomento
Articoli in archivio
Come accadde in Vietnam, il governo Usa non riesce a pilotare giornali e tv verso il sostegno patriottico
Il nuovo nemico: il terrorismo mediatico
Bush in difficoltà: si parla troppo di violenza in Iraq e poco della ricostruzione
Il nuovo nemico: il terrorismo mediatico
Bush in difficoltà: si parla troppo di violenza in Iraq e poco della ricostruzione
di Anna Guaita su Il Messaggero del 25/09/2004
Fermata la legge che limita l'accesso dei bambini. I giudici: "Viola il diritto di espressione"
Usa, porno libero su Internet la Corte Suprema boccia i "filtri"
Usa, porno libero su Internet la Corte Suprema boccia i "filtri"
di Vittorio Zucconi su La Repubblica del 30/06/2004
di Gianni Riotta su Corriere della Sera del 27/05/2004
In biblioteca
di David Lyon
Cortina Raffaello, 2005
Cortina Raffaello, 2005