Da La Repubblica del 25/07/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/g/sezioni/esteri/iraqattac/zuccon/zuccon...

Il presidente americano difende la scelta di mostrare i cadaveri dei figli di Saddam. Ma negli Usa è polemica

Trofei di guerra per Bush

"Così convinciamo gli scettici"

di Vittorio Zucconi

CI SONO state ragioni molto gravi, e dunque c'è stata molta, sofferta riflessione, dietro la scelta di Donald Rumsfeld di violare il tabù universale della morte e di inondare il "villaggio globale" con immagini che provocano un sussulto di vergogna e di nausea. Non possiamo immaginare che proprio nell'America che santifica e predica la cultura dell'habeas corpus e di quelli che chiamiamo i "valori occidentali", l'autorità civile decida di fare spettacolo di cadaveri sfigurati, come il cacciatore che esibisce le carcasse delle belve abbattute sul tetto della macchina.

No, ci sono ragioni profonde e queste ragioni attengono ai due problemi fondamentali che affliggono dal primo giorno la guerra americana e oggi l'occupazione: sono la legittimità e la credibilità della guerra.

In questa guerra di tipo nuovo, scoppiata, per gli Stati Uniti, l'11 settembre del 2001, in questo "conflitto che non può avere trattati, armistizi, negoziati o confini", come ha detto ieri il vice presidente Cheney tornato subito ad approfittare dell'effetto Uday e Qusay, "ma può finire soltanto con la distruzione del nemico", l'orrendo spettacolo dei due cadaveri è una sorta di osceno documento di resa. È una firma di sangue. La sola legittimità possibile per una guerra non tradizionale, combattuta da tutte le parti in campo, terroristi, governi canaglia e governi democratici senza codici, convenzioni o dichiarazioni formali, è nel risultato. L'esecuzione dei due figli del raìs (il padre ha visto le stesse foto? Si rende conto di essere stato lui a condannarli a morte?) è un risultato certo. Osceno, rivoltante, empio, ma un risultato, che in questo conflitto di nuova barbarie misurata a colpi di vittime tue contro le mie, conta. Qualcosa andava pur mostrato, mentre ogni giorno muoiono soldati americani.

Dunque all'opinione pubblica americana, sconcertata dallo scandalo dell'intelligence fasulla, turbata dal conto dei propri morti e innervosita, soprattutto a destra, dall'improvviso sospetto che anche Bush il texano franco, sia un bugiardo quanto il suo esecrato predecessore, e su materie ben più gravi, queste foto sono una prima verità. "È un comportamento un-american, indegno della nostra tradizione", ha detto Ted Kennedy ieri sera, mentre Bush stesso e poi Cheney vantavano il successo all'Ok Corral di Mosul, ma il confine tra che cosa sia "americano" e "non americano" secondo la tradizione è stato confuso dall'11 settembre, forse irrimediabilmente.

Bush ha accettato la sfida e la combatte senza pudori. Nella sua visione di cristianesimo fondamentalista e muscolare, il Dio che gli parla è il Signore della Bibbia, non il Cristo del perdono, è il Dio dell'"occhio per occhio" e del castigo implacabile contro il faraone. Questo è l'ex governatore che ha, più di ogni altro nella storia americana e con più convinzione, applicato la pena capitale. "Uday e Qusay non potranno più fare male a nessuno", ha detto Bush usando esattamente la frase che usò dopo le esecuzioni dei condannati al patibolo nel Texas.

Ma se quelle carcasse appena un poco ripulite dalla mano guantata di plastica azzurra con il secchio di acqua e sapone che vediamo nelle foto, sono un primo risultato che legittima una guerra giustificabile soltanto a posteriori, l'altro motivo che ha spinto Rumsfeld e i comandanti delle truppe in Iraq all'esibizione dei corpi dopo 48 ore di discussione, è il gap, il vuoto di credibilità che gli occupanti americani hanno, di fronte agli iracheni "liberati" e ancora scettici. Dover mostrare quello che non si sarebbe mai dovuto mostrare, dover violare il tabù della morte anche a costo dell'accusa di fare propaganda sull'orrore, è la prova più eloquente di quanto scarsa sia la credibilità delle forze americane in Iraq e di quanto poco valga la loro parola. In una situazione di fiducia tra iracheni e americani, tra mondo arabo e occidente, sarebbe bastata una dichiarazione ufficiale, con data, luogo, circostanze delle morte e con i certificati autoptici dei medici legali per confermare il riconoscimento in attesa del test definitivo del Dna.

Invece, la Casa Bianca ha dovuto scoprire le carte, esibire i cadaveri, rischiare disgusto e condanna, per convincere seguaci e vittime del vecchio regime che almeno due, delle tre teste del serpente, erano state tagliate e non potranno più tornare. In molti, nei talk show che da 24 ore mescolano e rimescolano le foto approfittando per cambiare il discorso politico nazionale dal pasticcio delle bugie alla verità di quei morti, hanno ricordato il Mussolini e la Petacci di Piazzale Loreto, il cadavere di Ernesto Guevara, la esecuzione sommaria di Ceaucescu, per spiegare come il macabro sia talvolta un passaggio necessario. Hanno ricordato come il mistero sulla fine di Adolf Hitler abbia per decenni turbato l'immaginazione dei tedeschi e degli europei.

A volte, per ripugnante che sia, la storia umana impone un gesto di closure, un finale, come i familiari che trovano sofferente consolazione nella visione della salma del loro caro.

Il problema, purtroppo, è che neppure la visione di Uday e Qusay massacrati, "chiude" davvero nulla. Anzi. Resta viva la resistenza irachena, che non poteva essere certamente pilotata da questi due fuggitivi, barricati da settimane nella casa del loro parente che poi li ha traditi e dalla quale non osavano uscire. Spunta un embrione di polemica sulla stessa azione militare che li ha uccisi, o spinti al suicidio, e il New York Times osserva, legittimamente, che un assedio, una resa a mani alzate e poi un pubblico processo, avrebbe favorito, più di queste foto, il superamento del passato, come fecero i processi di Norimberga e di Tokyo per tedeschi e giapponesi.

A meno che, ed è l'ombra che di nuovo si allunga sulla credibilità americana, non si volesse proprio metterli a tacere per sempre, lasciando che fossero le loro maschere mortuarie a parlare, anziché le loro bocche. È certamente vero che "il regime è finito", come ha detto ieri Bush. Ma resta al largo Saddam Hussein, la testa principale, colui che l'America deve prendere e che sarebbe meglio prendere vivo. Per sentire dalla sua voce come un tiranno creato, puntellato e appoggiato dall'Europa e dagli Stati Uniti fino al 1990 sia divenuto quel mostro che partorì i due macellai esposti ieri all'indegnità dell'obitorio televisivo mondiale.

Sullo stesso argomento

Articoli in archivio

Powell: «E' ancora presto per passare il potere alla popolazione in Iraq»
«Noi non siamo degli occupanti, siamo venuti nel Golfo da liberatori». Il segretario di Stato a Bagdad
di Lorenzo Cremonesi su Corriere della Sera del 15/09/2003
 
Cos'� ArchivioStampa?
Una finestra sul mondo della cultura, della politica, dell'economia e della scienza. Ogni giorno, una selezione di articoli comparsi sulla stampa italiana e internazionale. [Leggi]
Rassegna personale
Attualmente non hai selezionato directory degli articoli da incrociare.
Sponsor
Contenuti
Notizie dal mondo
Notizie dal mondo
Community
• Forum
Elenco degli utenti

Sono nuovo... registratemi!
Ho dimenticato la password
• Sono già registrato:
User ID

Password
Network
Newsletter

iscriviti cancella
Suggerisci questo sito

Attenzione
I documenti raccolti in questo sito non rappresentano il parere degli autori che si sono limitatati a raccoglierli come strumento di studio e analisi.
Comune di Roma

Questo progetto imprenditoriale ha ottenuto il sostegno del Comune di Roma nell'ambito delle azioni di sviluppo e recupero delle periferie

by Mondo a Colori Media Network s.r.l. 2006-2024
Valid XHTML 1.0, CSS 2.0