Da Corriere della Sera del 31/07/2003

Cinque punti per la presidenza italiana

L’agenda europea un mese dopo

di Sergio Romano

Può darsi che Berlusconi parlando con Bush e Putin abbia toccato questioni di cui si è preferito non parlare. Ma non sembra che i due incontri abbiano avuto un respiro e contenuti particolarmente europei. Come presidente di turno dell’Unione, il premier italiano avrebbe potuto consultare i partner prima dei viaggi e riferire le sue impressioni al ritorno. Avrebbe potuto dire a Bush, per esempio, che l’Europa, come membro del Quartetto e corresponsabile della Road map , ha diritto a un ruolo, nella vicenda palestinese, che l’America non sembra riconoscerle. Avrebbe potuto avanzare e verificare qualche proposta per un gestione meno unilateralmente americana della crisi irachena. E avrebbe potuto rinunciare, parlando con Putin, agli entusiasmi retorici sull’Europa allargata a cui non credono né i colleghi europei né il leader russo. Insomma nulla gli impediva di dare ai suoi colloqui bilaterali una prospettiva europea. Se lo ha fatto e ha preferito riservare le notizie a una fase successiva, tanto meglio. Se non lo ha fatto, dovremo concluderne che il semestre europeo dell’Italia, dopo il battibecco di Strasburgo e un mese di rodaggio, non è ancora cominciato. Eppure le questioni in agenda sono molte. Cominciamo dal trattato costituzionale che verrà discusso nella conferenza intergovernativa di Roma. Berlusconi sembra interessato soprattutto a una grande festa, sotto la luce dei riflettori, nello stile dello spettacolo che diresse a Pratica di Mare un anno fa. E’ un desiderio legittimo. Ma se vuole una festa trionfale, il premier dovrà lavorare sodo. Occorre individuare i punti che qualche Paese cercherà di modificare, tenere in serbo qualche correzione marginale e difendere il progetto della Convenzione. Non è la migliore delle costituzioni possibili, ma corre il rischio, se Berlusconi non starà attento, di peggiorare.

La seconda questione è il rilancio dell’economia europea. Esiste una proposta Tremonti per un piano di infrastrutture a cui l’Italia potrebbe utilmente legare il suo nome. Ed esistono le riforme sociali (pensioni, sanità, mercato del lavoro) che alcuni Paesi hanno fatto o stanno facendo. L’idea di un nuovo «Trattato di Maastricht» non è realistica: pochi governi accetterebbero di delegare sovranità su una materia che ha evidenti risvolti elettorali. Ma un documento europeo, meno vincolante di un trattato, può essere utile.

La terza questione è quella dei rapporti commerciali dell’Ue con i Paesi emergenti e in particolare con la Cina. Nell’intervista al Corriere il ministro Tremonti si è esposto all’accusa di protezionismo ed è parso dimenticare che la crescita del mercato cinese merita qualche sacrificio. Forse basterà insistere perché la Cina rispetti le regole della Wto (Organizzazione mondiale del commercio), affronti il problema dell’industria di Stato, risani il sistema bancario, rivaluti il renminbi e tratti la contraffazione con maggiore rigore.

La quarta è lo «spazio giuridico europeo». Spero che il premier non si lasci distrarre dalle preoccupazioni personali e si renda conto che questa Unione ha ormai bisogno dei suoi codici, dei suoi inquirenti e dei suoi giudici. Fare una battaglia di retroguardia, come accadde per il mandato di cattura europeo, non si addice al ruolo di un presidente.

La quinta, come in ogni agenda, è quella che va sotto il nome di «Varie». Non passa semestre senza che il presidente di turno non debba far fronte a problemi nuovi o a sviluppi imprevisti di vecchie crisi. Sono i passaggi più difficili. Ma sono quelli in cui un leader e il suo Paese possono maggiormente conquistare la stima dei partner.

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