Da La Repubblica del 14/07/2003
Parla Grant Lattin, difensore civile al processo
“Viene calpestato il diritto alla difesa del detenuto"
di Carlo Bonini
Guantanamo - L’avvocato Grant Lattin è un uomo coraggioso. O forse un pazzo. Siede da presidente nel “Military law committee” e nel board del ”National Institute for military justice” di Washington associazione che raccoglie il “sapere” della giurisprudenza militare americana. A 45 anni, conserva nell’armadio una uniforme da colonnello dei marines indossata dal ‘75 al ‘95 nelle corti marziali dell’esercito degli Stati Uniti. E si prepara ad un salto mortale. E’ uno dei dieci avvocati d’America ad aver chiesto al Pentagono di essere inserito nell’elenco degli avvocati “civili” ammessi al patrocinio dei disperati di Guantanamo cui dovesse toccare in sorte il processo. E ora, dal suo studio di Lake Ridge (Virginia), risponde telefonicamente alle domande di Repubblica. «Ho presentato il mio modulo al Dipartimento della difesa, ma ancora non so se metterò mai piede a Guantanamo. Difendere uno di quei detenuti significa valicare un confine preciso. Non so se sarò in grado…»
Quale confine?
«Il confine che definisce il mio giuramento professionale e i principi del giusto processo. Mi chiedo: a Guantanamo, potrò esercitare appieno il mio mandato difensivo?».
E che risposta si è dato?
«Se mi fossi dato una risposta sarei un uomo sereno. Ma non è così».
Perché?
«I decreti istitutivi dei tribunali speciali militari hanno fissato norme che comprimono il diritto alla difesa come mai era accaduto nella legislazione americana. Ne elenco alcune. Come avvocato difensore non avrò accesso alle prove sulla base delle quali il mio assistito è stato rinviato à giudizio. Il presidente del Tribunale speciale potrà escludermi, se lo riterrà necessario, dalle udienze a porte chiuse e potrà opporre alle mie domande il segreto militare. Non potrò presentare appello. I colloqui in carcere con il mio cliente, qualora venissero accordati, saranno registrati dai servizi di intelligence. Le basta?».
Lei parla di inedita compressione del diritto di difesa. E’possibile sostenere, come pure fa l’Amministrazione Bush, che ciò nonostante le procedure dei tribunali speciali rispettano i principi del giusto processo?
«Ho difeso nelle corti marziali di questo Paese per quattro lustri e posso dire che siamo di fronte alla più profonda frattura del diritto alla difesa mai concepita nella storia della prassi giuridica del Paese».
La Corte Suprema può porre rimedio a questa ferita?
«Francamente non vedo come. I decreti istitutivi dei tribunali speciali negano al difensore il diritto di appellarsi alla Corte Suprema e, del resto, Guantanamo è fuori dal la giurisdizione non solo della Corte Suprema, ma di tutte le Corti federali. Qualunque ricorso, anche solo procedurale, sarebbe respinto per carenza di giurisdizione. Dirò di più: sono pronto a scommettere che anche le eventuali
condanne a morte saranno eseguite sull’isola».
Perché ha deciso di infilarsi in questo vicolo cieco?
«Me lo chiedo anche io, soprattutto dopo aver scoperto che il Pentagono mi tasserà di 2.500 dollari per aver semplicemente presentato domanda. Però ne vale la pena: è meglio esserci in quei tribunali, se possibile. Comunque».
Quale confine?
«Il confine che definisce il mio giuramento professionale e i principi del giusto processo. Mi chiedo: a Guantanamo, potrò esercitare appieno il mio mandato difensivo?».
E che risposta si è dato?
«Se mi fossi dato una risposta sarei un uomo sereno. Ma non è così».
Perché?
«I decreti istitutivi dei tribunali speciali militari hanno fissato norme che comprimono il diritto alla difesa come mai era accaduto nella legislazione americana. Ne elenco alcune. Come avvocato difensore non avrò accesso alle prove sulla base delle quali il mio assistito è stato rinviato à giudizio. Il presidente del Tribunale speciale potrà escludermi, se lo riterrà necessario, dalle udienze a porte chiuse e potrà opporre alle mie domande il segreto militare. Non potrò presentare appello. I colloqui in carcere con il mio cliente, qualora venissero accordati, saranno registrati dai servizi di intelligence. Le basta?».
Lei parla di inedita compressione del diritto di difesa. E’possibile sostenere, come pure fa l’Amministrazione Bush, che ciò nonostante le procedure dei tribunali speciali rispettano i principi del giusto processo?
«Ho difeso nelle corti marziali di questo Paese per quattro lustri e posso dire che siamo di fronte alla più profonda frattura del diritto alla difesa mai concepita nella storia della prassi giuridica del Paese».
La Corte Suprema può porre rimedio a questa ferita?
«Francamente non vedo come. I decreti istitutivi dei tribunali speciali negano al difensore il diritto di appellarsi alla Corte Suprema e, del resto, Guantanamo è fuori dal la giurisdizione non solo della Corte Suprema, ma di tutte le Corti federali. Qualunque ricorso, anche solo procedurale, sarebbe respinto per carenza di giurisdizione. Dirò di più: sono pronto a scommettere che anche le eventuali
condanne a morte saranno eseguite sull’isola».
Perché ha deciso di infilarsi in questo vicolo cieco?
«Me lo chiedo anche io, soprattutto dopo aver scoperto che il Pentagono mi tasserà di 2.500 dollari per aver semplicemente presentato domanda. Però ne vale la pena: è meglio esserci in quei tribunali, se possibile. Comunque».
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