Da The New York Times del 16/07/2003

L ‘arte della menzogna dei servizi segreti Usa

di Paul Krugman

OLTRE la metà delle forze di combattimento dell’esercito americano è impantanata in Iraq, che non aveva tangibili armi di distruzione di massa e non stava dando il suo appoggio ad al Qaeda. Abbiamo perduto tutta la nostra credibilità presso gli alleati che avrebbero potuto darci un aiuto considerevole; Tony Blair è ancora dalla nostra parte, ma ha perso la fiducia della sua opinione pubblica. Tutto ciò ci mette in una situazione molto vulnerabile, nel momento in cui stiamo per affrontare delle reali minacce. Ho forse dimenticato di aggiungere, infatti, che la Corea del Nord sta estraendo materiale fissile dalle sue barre di combustibile?

Ma come ci siamo ficcati in questo casino? Il caso dei fasulli acquisti di uranio non è un esempio isolato. Rientra piuttosto in uno schema di intelligence corrotte e politicizzate.

I funzionari dell’amministrazione Bush iniziarono a cercare di sfruttare l’11 settembre per legittimare un attacco all’Iraq prima ancora che la polvere delle Torri finisse di depositarsi, proprio così. Il generale Wesley Clark ha infatti affermato di aver ricevuto delle telefonate l’11 settembre da “persone vicine alla Casa Bianca” con le quali lo si sollecitava a collegare gli attacchi a Saddam Hussein. La sua dichiarazione pare quasi seguire pedissequamente un rapporto della CBS dello scorso settembre, intitolato “I piani di attacco all’Iraq iniziarono l’11 settembre”, che citava alcuni appunti presi da collaboratori di Donald Rumsfeld lo stesso giorno dell’attentato: "Andateci pesanti. Metteteci dentro di tutto. Sia quello che c’entra, che quello che non c’entra.”

Tuttavia, degli accertamenti onesti da parte dell’intelligence avrebbero dovuto sollevare domande sul perché stessimo per dare addosso ad un Paese che non ci ha attaccati. Avrebbero anche dovuto suggerire la concreta possibilità che un’invasione dell’Iraq avrebbe potuto svigorire, più che rafforzare, la sicurezza degli Stati Uniti.

Così i falchi decisi ad attaccare l’Iraq si misero in moto per corrompere l’intero processo di raccolta delle Intelligence. E così da un lato nessuno fu chiamato in causa a rispondere per aver mancato di anticipare o di evitare l’attacco dell’11 settembre; dall’altro, ci si aspettò che i vertici dell’intelligence supportassero il caso a favore della guerra all’Iraq.

Finalmente sta venendo a galla la storia di come sia stata gonfiata la vicenda delle presunte armi di distruzione di massa irachene. Non dobbiamo tuttavia dimenticare anche l’altra insistente accusa, quella secondo la quale Saddam era alleato con al Qaeda, accusa che ha consentito ai falchi di sostenere che la guerra all’Iraq avesse qualcosa a che fare con la guerra al terrorismo.

Come ha detto la settimana scorsa Greg Thielmann, ex funzionario. dell’intelligence al Dipartimento di Stato, gli analisti delle intelligence americane hanno sempre ribadito di essere concordi sul fatto che Saddam non avesse un “legame significativo” con al Qaeda. Eppure fonti dell’amministrazione persistono a ritenere che simile legame ci fosse, pur avendo essi insabbiato le prove che rivelavano dei legami – quelli sì concreti – tra al Qaeda e l’Arabia Saudita. Durante l’escalation che ha portato alla guerra, George Tenet, il direttore della Cia, è stato disposto a coprire i suoi capi – proprio come è avvenuto lo scorso weekend. In una lettera dell’ottobre 2002 diretta all’Intelligence Committee del Senato, egli fece quella che parve un’ammissione, dichiarando che esistevano dei significativi legami tra Saddam e Osama. Letta attentamente, la sua lettera sembra scritta in termini assai vaghi, e nonostante ciò servì agli scopi dell’amministrazione.

E che dire del rischio che l’invasione dell’Iraq potesse indebolire la sicurezza dell’America? Gli esperti militari avevano messo in guardia contro il fatto che un’occupazione post bellica prolungata potesse gravemente indebolire le forze americane e la cosa si sta rivelando quanto mai vera. Nonostante ciò i falchi si guardarono bene dall’ammettere che questo potesse verificarsi. Prima della guerra una fonte riferì a Newsweek che l’occupazione non sarebbe durata più di trenta- sessanta giorni.

Le cose stanno andando sempre peggio. Il giornale di Knight Ridder riporta che “una piccola cerchia di civili di alto livello del Dipartimento della Difesa” riteneva che il loro beniamino, Ahmad Chalabi, potesse essere facilmente installato al potere, senza problema alcuno. Sono stati bravi ad evitare che gli scettici si facessero sentire, ma non hanno avuto sottomano un piano di ripiego quando i loro sforzi per consacrare Chalabi, un uomo d’affari miliardario, sono degenerati in una farsa bell’e buona.

Ma allora, chi deve rendere conto di tutto ciò? Tenet ha tradito il suo incarico ricamando delle dichiarazioni miranti a riflettere gli interessi dei suoi padroni politici invece di ciò che aveva assodato il suo staff – ma la ragione perla quale sarà presto licenziato non è questa. Lunedì scorso “Usa Today” riportava la notizia secondo cui “nell’amministrazione Bush alcuni starebbero privatamente decidendo di nominare un direttore della Cia che sia incondizionatamente leale alla Casa Bianca quando le commissioni esigeranno i documenti e chiameranno a deporre i testimoni”. Non che ci si aspetti che le commissioni di indagine esercitino grandi pressioni: il senatore Pat Roberts, presidente del Senate Intelligence Committee, pare preoccuparsi più di proteggere il leader del suo partito che il suo Paese. “Ciò che mi preoccupa maggiormente – ha infatti dichiarato – è l’esistenza di quella che pare essere una campagna di soffiate della Cia alla stampa nel tentativo di screditare il presidente.”

In poche parole, la situazione è questa: coloro che hanno sfruttato a fini politici l’intelligence affinché andassimo in guerra a spese della sicurezza nazionale sperano di coprire le tracce che hanno lasciato corrompendo ulteriormente il sistema.

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