Da La Repubblica del 28/01/2003

Costa d'Avorio, paura nella terra del cacao

di Giampaolo Cadalanu

Ci sono volute la mediazione di Sant’Egidio e assieme anche la presenza di 2500 paracadutisti con le insegne della Legione straniera per battere l’odio etnico e l’avidità materiale, e arrivare a un accordo fra i combattenti della Costa d’Avorio. L’intesa, raggiunta all’interno del Centre National di rugby a Marcoussis, nella periferia di Parigi, porta la firma del presidente Murent Gbagbo. Ma i suoi sostenitori non sono soddisfatti e lo dimostrano assalendo gli stranieri e distruggendo le proprietà francesi.

Dalla principale città, Abidjan, arrivano notizie preoccupanti solo l’intervento dei parà ha fermato un assalto all’ambasciata di Parigi e a una base militare. Dopo tre giorni di disordini, il paese attende una presa di posizione chiara da Gbagbo, che a Parigi aveva appena nominato il ”settentrionale” Seydou Diarra primo ministro di un nuovo governo di riconciliazione. Arrivato d'urgenza dalla Francia, il presidente per ora si èlimitato a un generico appello alla calma, e nella città imperversano bande di giovani suoi sostenitori. Armati di machete; con le facce dipinte, bloccano strade e incendiano barricate di pneumatici, maledicendo la Francia che - recita il titolo-di Notre Voie, maggior quotidiano di Abidjan - «ha umiliato la Costa d'Avorio».

I partigiani di Gbagbo, militanti del Fronte popolare ivoriano ma anche giovani sbandati facilmente strumentalizzabili, non accettano soprattutto l’idea di dover spartire una fetta di potere con i ribelli. La folle ipotesi di una purezza etnica ivoriana, inventata dall’allora capo dello stato Henri Konan Bedié nel ‘95 per escludere il rivale Alassane Ouattara, si è radicata nella testa di migliaia di persone, facendo breccia fra i giovani e i disoccupati. Ma in questo momento proprio i ribelli, i montanari del Nord che la gente di Gbagbo disprezza come burkinabé, sono i più forti. Che siano aiutati o meno dal Burkina Faso, come il presidente sostiene, non importa: oggi solo l'interposizione della Legione straniera impedisce loro di conquistare la totalità delle zone del cacao, se non l'intero paese, per poi magari passare alla resa dei conti.

I francesi, contestati dai ribelli quando ne hanno fermato l’offensiva, adesso sono attaccati altrettanto duramente dai governativi. Se l’arrivo dei parà ha scontentato tutt’e due ma alla fine ha condotto ad un accordo, dicono osservatori neutrali, forse è il segno che la missione è stata davvero ben gestita.

L’accordo di Marcoussis, dice Mario Giro, delegato della Comunità di Sant’Egidio, «è importante, perché affronta tutti i problemi all’origine della crisi». “Ricucire“ fra il Sud e il Nord sarà difficile, anche perché negli anni scorsi gli eccessi non sono mancati. Chi non aveva un nome che mostrasse adeguata ivorité, o peggio che tradiva origine malianeo del Burkina, rischiava di vedersi stracciare i documenti dal primo poliziotto incontrato.

Nella crisi, l'unica consolazione viene dall'aver evitato il peggio: e il peggio sarebbe stata una polarizzazione legata anche alle differenze religiose fra il Nord a maggioranza islamica e il Sud ampiamente cristiano. L’intesa parigina dovrebbe permettere una certa distribuzione del potere, ma anche reimpostare il sistema della cittadinanza, spazzando via i residui di razzismo più o meno strumentale.

Dietro il mito dell'ivorità c'è naturalmente un interesse concreto: le redditizie piantagioni di cacao, fisicamente comprese nel Sud; ma in gran parte gestite da imprenditori di origini settentrionali. La Costa d’Avorio produce il 40 per cento del cacao mondiale; ma adesso, fra insicurezza delle comunicazioni e pericolo per i raccoglitori, ai porti arriva sempre meno, e le quotazioni della preziosa coltura salgono rapidamente.

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