Da Corriere della Sera del 08/08/2003

La lettera di Nino Rovelli al figlio «I viaggi a Roma hanno minato la mia salute morale e materiale»

Il testo, del ' 90, allegato alle prove

di Giovanni Bianconi

MILANO - Al di là dei commenti più o meno di rito sulle «congetture» e l' «uso politico della giustizia», sarà lo studio attento e minuzioso della sentenza a determinare le future strategie difensive degli imputati dichiarati colpevoli in primo grado. Perché dalle 536 pagine di motivazioni delle condanne inflitte dal Tribunale di Milano per la corruzione nelle cause Imi-Sir e Lodo Mondadori emergono diverse novità. «Prove documentali», le definiscono i giudici, che costituiscono una sorpresa per tutti; le presunte «bozze» delle sentenze incriminate trovate ad alcuni imputati, ma non solo. Secondo i magistrati, a dimostrare il grande imbroglio affaristico-giudiziario c' è pure una lettera del defunto Nino Rovelli, considerato il principale corruttore per la vicenda Imi-Sir, inviata un mese prima di morire al figlio Felice. Era il 27 novembre 1990, giorno successivo alla pubblicazione del provvedimento che fece vincere alla Sir la lunga e combattuta controversia con lo Stato, fissando un risarcimento di 528 miliardi di lire più gli interessi. «Caro Felice - scrisse Rovelli -, ti allego il Corriere, uno dei tanti che in questi giorni faranno un concerto attorno ai fatti! Te lo mando perché consideri "che il mio andare a Roma", come dici tu, ha portato i suoi frutti: e credi, per anni, con fatica, ma soprattutto con una grande umiltà e abnegazione, con un coraggio che mi è costato di più della fatica...». E poco più avanti: «Certo che ho dovuto fare tutto da solo, pensando che con l' aiuto di un figlio Master B.I. sicuramente avrei fatto meglio, e risparmiato, come tu suggerisci, la mia caduca salute, morale e materiale...». Seguono auguri e saluti affettuosi, firmato «Papà». Un documento esibito in aula dai difensori degli eredi Rovelli, i quali dopo la morte di Nino e successivamente all' incasso del maxi-risarcimento (prima metà del 1994, tre anni e mezzo dopo la lettera) incassarono il maxi-risarcimento e pagarono circa 60 miliardi agli avvocati Pacifico, Previti e Acampora. Il prezzo della corruzione, secondo il Tribunale di Milano, che considera «alcune espressioni strane e suggestive» contenute in quello scritto quasi una confessione. Il riferimento al suo «andare a Roma», commentano i giudici, «non può che alludere a rapporti non altrimenti menzionabili» intrattenuti, nella Capitale, con gli «avvocati occulti» utilizzati per «aggiustare» la causa. Altre frasi sospette: il «coraggio che mi è costato più della fatica» e l' accenno alla «caduca salute morale». Per il tribunale «non si vede quale coraggio richieda una causa civile, ma corrompere i giudici, contribuire a redigere una sentenza ancor prima che venga decisa, trattare con un magistrato l' entità del risarcimento che questo riconoscerà, tutto questo ne richiede certamente». Inoltre, «vi è l' allusione a pratiche immorali che la causa ha comportato; perché altrimenti parlare di salute "morale", che è parola ben diversa da "mentale" o "psichica"?». Pratiche che il figlio Felice «avrebbe sconsigliato, pur forse percependole solo per sommi capi e senza condividerle». Un mese dopo quella lettera, il 30 dicembre ' 90, Nino Rovelli morì e, nel ' 94, Felice e sua madre Primarosa intascarono, secondo la ricostruzione del tribunale, il «frutto» della corruzione pagando corrotti e corruttori intermedi. Scrivono ora i giudici che avrebbero agito iure ereditario «trovandosi inseriti in un "iter criminoso" già in stato di avanzata realizzazione». Di qui la concessione delle attenuanti, e le condanne più basse rispetto a corrotti intermediari: 4 anni e mezzo di pena alla signora Primarosa e 6 anni a Felice Rovelli.

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