Da La Repubblica del 27/07/2003
“Così l’Arabia Saudita aiutò i kamikaze dell’11 settembre”
Le prove nel dossier “top secret” del Congresso
di Raffaella Menichini
NEW YORK — Ventotto pagine di righe cancellate, un segreto che potrebbe costare all’Amministrazione Bush e alle agenzie di intelligence americane un nuovo scandalo. Nel rapporto presentato giovedì al Congresso dalla commissione di inchiesta sull’11 settembre c’è un’accusa potenzialmente esplosiva: l’Arabia Saudita versò centinaia di milioni di dollari ad organizzazioni legate ad Al Qaeda prima degli attacchi contro New York e Washington. E ci sarebbe un agente saudita che per anni aiutò e protesse due dei dirottatori sauditi in California, prima di rifugiarsi a Riad. George Bush è di nuovo sotto accusa: i legami con la potente famiglia reale saudita, e soprattutto il suo petrolio, avrebbero costretto la Casa Bianca a coprire una parte di verità sulla più grande catastrofe americana della storia recente.
Le ventotto pagine sulla “connection saudita” sono State coperte da segreto dopo una lunga battaglia tra l’Amministrazione e i relatori di Camera e Senato che dall’anno scorso hanno lavorato sull’attività investigativa dì Cia, Fbi e National Security Agency prima e dopo gli attentati, la conclusione del rapporto è un gigantesco atto d’accusa contro l’intelligence americana, responsabile di aver sottovalutato i segnali di minaccia contro l’Occidente provenienti da Al Qaeda, e di non aver approfondito le piste investigative che avrebbero aiutato a prevenire la tragedia dell’11 settembre.
Ma molto più pesante sarebbe il potenziale danno politico contenuto nella parte secretata, cioè materialmente cancellata con colpi di pennarello sulle pagine del rapporto, di cui ora un gruppo di parlamentari, sia repubblicani che democratici, chiede la declassificazione. Chi ha letto quelle 28 pagine, rivelandone il contenuto ai giornalisti del New York Times e del Los Angeles Times, sostiene che esistono prove di un sostanzioso flusso di denaro dalle casse del governo saudita a Bin Laden sotto forma di finanziamenti ad organizzazioni di beneficenza islamiche, tramite l’attività clandestina di una rete di cittadini sauditi tra cui alcuni residenti negli Stati Uniti. Gli inquirenti del Congresso hanno scavato nella vita e nell’attività di un ex dipendente dell’aviazione civile saudita, Omar Al Bayoumi, che avrebbe procurato denaro e protezione a due degli attentatori del volo American Airlines dirottato l’11 settembre sul Pentagono. Nawaq Alhazmi e Khalid Almidhar erano suoi connazionali, come altri 13 dei 19 kamikaze dell’11 settembre. Per pagare i loro conti – dice il rapporto – Al Bayoumi «aveva accesso a un finanziamento apparentemente illimitato da parte dell’Arabia Saudita». L’attività dei due dirottatori a San Diego era stata “subodorata” dalla Cia e dall’Fbi, che li aveva tenuti per un po’ sotto controllo. Ma l’indagine non prese mai corpo, e le due agenzie non misero insieme i pezzi delle informazioni di cui pure disponevano. Se lo avessero fatto, dice il rapporto, avrebbero avuto per le mani «la più sostanziosa pista investigativa in grado di prevenire gli attentati dell’11 settembre».
Da allarme “tecnico” sui fallimenti dell’intelligence Usa, ora il rapporto rischia di diventare però un vero caso politico diplomatico, con conseguenze devastanti per la già fragile credibilità del presidente, e quindi per la sua popolarità. I sauditi alzano le barricate della diplomazia. «In un rapporto di 900 pagine – tuona l’ambasciatore, saudita a Washington, il principe Bandar Bin Sultan – 28 pagine cancellate vengono usate per calunniare il mio paese e il mio popolo. L’idea che il mio governo abbia finanziato, organizzato o persino saputo qualcosa dell’11 settembre è ingiuriosa e clamorosamente falsa». In suo soccorso arriva, parzialmente, l’ex coordinatore dell’antiterrorismo di Clinton e Bush, Richard Clark: «I sauditi potrebbero aver distribuito molti soldi a organizzazioni dubbie, senza determinare quale fosse la fonte delle richieste di aiuto, e molti di questi soldi potrebbero essere finiti ad Al Qaeda».
Spiegazione debole, ribattono i democratici, che colgono l’ennesimo punto debole su cui trafiggere Bush: «Per qualche ragione si tenta di nascondere prove che coinvolgerebbero il governo saudita in una tragedia costata la vita a tremila americani, e che ha messo, a rischio centinaia di migliaia di nostri soldati portandoci a fare due guerre», accusa il senatore democratico Charles Schumer. La «qualche ragione» è chiara e ripetuta da due giorni in tutti i dibattiti pubblici: Bush è troppo dipendente dal petrolio saudita per poter «trattare quel paese come tutti gli altri che sostengono il terrorismo», ha detto ieri la pur ultra-repubblicana rete televisiva Fox. Ora i democratici vogliono da Bush almeno una richiesta di estradizione per Bayoumi, come prova della «buona fede» del regno di Riad. E il repubblicano Richard Shelby, ex capo della Commissione sui servizi del Senato, si allinea con l’opposizione nella battaglia per desecretare il rapporto: «Quelle informazioni potrebbero essere imbarazzanti, ma non ci sono basi per mantenerle segrete».
Le ventotto pagine sulla “connection saudita” sono State coperte da segreto dopo una lunga battaglia tra l’Amministrazione e i relatori di Camera e Senato che dall’anno scorso hanno lavorato sull’attività investigativa dì Cia, Fbi e National Security Agency prima e dopo gli attentati, la conclusione del rapporto è un gigantesco atto d’accusa contro l’intelligence americana, responsabile di aver sottovalutato i segnali di minaccia contro l’Occidente provenienti da Al Qaeda, e di non aver approfondito le piste investigative che avrebbero aiutato a prevenire la tragedia dell’11 settembre.
Ma molto più pesante sarebbe il potenziale danno politico contenuto nella parte secretata, cioè materialmente cancellata con colpi di pennarello sulle pagine del rapporto, di cui ora un gruppo di parlamentari, sia repubblicani che democratici, chiede la declassificazione. Chi ha letto quelle 28 pagine, rivelandone il contenuto ai giornalisti del New York Times e del Los Angeles Times, sostiene che esistono prove di un sostanzioso flusso di denaro dalle casse del governo saudita a Bin Laden sotto forma di finanziamenti ad organizzazioni di beneficenza islamiche, tramite l’attività clandestina di una rete di cittadini sauditi tra cui alcuni residenti negli Stati Uniti. Gli inquirenti del Congresso hanno scavato nella vita e nell’attività di un ex dipendente dell’aviazione civile saudita, Omar Al Bayoumi, che avrebbe procurato denaro e protezione a due degli attentatori del volo American Airlines dirottato l’11 settembre sul Pentagono. Nawaq Alhazmi e Khalid Almidhar erano suoi connazionali, come altri 13 dei 19 kamikaze dell’11 settembre. Per pagare i loro conti – dice il rapporto – Al Bayoumi «aveva accesso a un finanziamento apparentemente illimitato da parte dell’Arabia Saudita». L’attività dei due dirottatori a San Diego era stata “subodorata” dalla Cia e dall’Fbi, che li aveva tenuti per un po’ sotto controllo. Ma l’indagine non prese mai corpo, e le due agenzie non misero insieme i pezzi delle informazioni di cui pure disponevano. Se lo avessero fatto, dice il rapporto, avrebbero avuto per le mani «la più sostanziosa pista investigativa in grado di prevenire gli attentati dell’11 settembre».
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