Da La Repubblica del 24/07/2003

Le grandi bufale all’origine degli interventi armati

Come si inventa una guerra

Documenti improbabili, clamorosi bluff, evidenti provocazioni da Pericle a Saddam

di Nello Ajello

Le armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein sono state un «casus belli» inventato a Washington e a Londra? Il sospetto scuote i governi, influenza le opinioni pubbliche, coinvolge una grande istituzione mediatica come la Bbc, produce un suicidio degno d’un thriller internazionale e rischia di privare l’intera vicenda di ogni credibilità storica. Proprio gli storici sembrano i meno colpiti dal trambusto. Sanno che fra Grandi Guerre e Grandi Bufale esiste un legame antico. Se venisse accertata come invenzione, quella dell’arsenale irachéno sarebbe soltanto l’ultimo degli stratagemmi immaginati da chi vuole scatenare un conflitto. Ne sono pieni gli annali.

Un esempio lo si trova nell’ultimo numero di Nuova storia contemporanea. La rivista pubblica un capitolo delle memorie inedite di Luca Pietromarchi, un noto diplomatico che nel dicembre del 1939 era stato nominato, per iniziativa di Mussolini, capo dell’ufficio della guerra economica. L’ufficio doveva trattare con la Francia e l’Inghilterra la questione dell’«embargo», cioè del blocco che le due potenze attuavano sui traffici marittimi in Italia. Il tutto teso ad evitare che il nostro Paese si valesse del suo stato di neutralità per accumulare scorte dei più diversi materiali, ed «armarsi» in previsione della sua discesa in guerra al fianco della Germania. Il blocco era severo, ma il diplomatico stava riuscendo ad alleviarne il rigore attraverso accorte intese con le controparti.

A un certo punto arriva da palazzo Venezia l’ordine di interrompere le trattativa con Londra e Parigi. Pietromarchi viene incaricato di preparare un dossier da utilizzare in un clamoroso dibattito in Parlamento sui «soprusi» di cui l’Italia è vittima. Nel rapporto, i danni inflitti all’Italia dall’embargo sono valutati in circa cinquanta milioni di lire. Ma al diplomatico viene ingiunto di elevare la cifra a un miliardo.

Le trattative con gli inglesi si trovano a un punto favorevole. Ma è ormai irrevocabile la decisione di Mussolini di esacerbare la vertenza in virtù di quei dati falsificati. Una seconda relazione preparata da Pietromarchi in base alle direttive ufficiali ottiene ampio rilievo nei giornali e alla radio. E’ 119 giugno 1940. Il pomeriggio dell’indomani il Duce dichiara guerra a Gran Bretagna e Francia. Il conflitto era ovviamente già deciso: la trovata demagogica pare ulteriormente legittimarlo.

Un mero pretesto per scatenare una guerra viene considerato da molti storici uno scontro fra italiani e truppe abissine che si verificò il 5 dicembre 1934 nella località di Ual-Ual nell’Ogaden somalo, ai confini tra Somalia ed Etiopia. Un presidio italiano, che stava a guardia di alcuni importanti pozzi fu attaccato (si sostenne) a tradimento. L’episodio, di cui sono assai vaghe le responsabilità, molto gonfiato, servì per drammatizzare il preteso contenzioso fra l’Italia e la nazione africana, conferendo una pur problematica aria di vittima al paese invasore. La conquista dell’Etiopia, avviata da Mussolini il 3 ottobre 1935, annoverò anche questo caso tra le sue fragili motivazioni.

A volte, il potenziale provocatorio di una Grande Bufala è soverchiante. Ci si inoltra, allora, sul terreno delle macchinazioni politico-diplomatiche. Sono questi connotati di un episodio che viene a ragione considerato una delle cause prossime della guerra franco-prussiana del 1870. Le circostanze, e i loro precedenti; presentano una complessità quasi da romanzo. Il 13luglio 1870, appunto, il consigliere di legazione prussiano H.Abeken, inviò al cancelliere Otto von Bismarck un telegramma che sarebbe passato alla storia come «il dispaccio di Ems», dal nome di una cittadina termale della Germania. In questo contesto di salutare vacanza si era svolto un colloquio fra il re di Prussia Guglielmo I e l’ambasciatore francese Benedetti. A nome dell’imperatore Napoleone III, il diplomatico chiedeva al sovrano garanzie circa una definitiva rinunzia della Prussia alla candidatura di un Hohenzollern al trono di Spagna. Nella drastica formulazione in cui era stata presentata, la richiesta venne respinta dal re, che tuttavia si disse disposto a intavolare ulteriori trattative con Parigi.

Qui l’intreccio sale di tono. Siamo al complotto. Nel rendere pubblico il «dispaccio di Ems», Bismarck lo modifica. Omette alcune frasi, ne introduce altre gravemente offensive per l’imperatore francese e il suo governo. Da questo testo modificato risulta che il re di Prussia abbia reagito alle avances francesi con molta irritazione e su un tono oltraggioso. Quasi a dire: «Ma chi credete di essere?». Ne seguì un aggravamento fatale della tensione, già molto acuta, fra le sue Potenze, con la Francia che temeva la crescita d’influenza di Berlino nel panorama europeo dopo la sconfitta inflitta nel 1866 dai prussiani all’Impero austriaco. La guerra, esplosa di lì a poco, si concluse con la disfatta francese e la caduta di Napoleone III. «E’ un caso», commenta lo storico Giuseppe Galasso, «nel quale una pretestuosa invenzione politica raggiunge un alto grado di finezza. Essa si basa su fatti e scritti concreti – il colloquio di Ems, il dispaccio che ne seguì – ma, mutando carte e circostanze, finisce per costituire un effettivo falso».

Falsi accertati, bufale foriere di guerre: la casistica è robusta. Ammaestrati dall’esperienza, perfino l’uomo della strada è indotto a sospettare macchinazioni dovunque. Sono passati sessantadue anni dall’entrata degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, e ancora divampa il dibattito sul tema: fino a che punto il presidente Roosevelt strumentalizzò l’attacco giapponese a Pearl Harbour per rendere inevitabile, agli occhi del suo popolo, l’intervento nel conflitto? In mancanza di documenti, l’adesione al «sì» o al «no» diventa qui, molto spesso, l’espressione di stati d’animo individuali. I fatti – come a volte capita – si confondono con gli umori.

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