Da La Repubblica del 22/07/2003

Il cavaliere americano

di Vittorio Zucconi

CRAWFORD (Texas) – ERA troppo aspettarsi che Silvio Berlusconi sapesse trovare, proprio di fronte a George W. Bush, nella sua casa texana, in questo show di americanismo stordente che il Texas sa offrire, l’occasione per uno scatto critico, per parlare non soltanto a nome della nazione che egli governa, ma per conto dell’Europa tutta che ora rappresenta, con i dubbi e le ansie davanti alla politica americana. Ma la sola finestra aperta per il pubblico su questo soggiorno premio, la brevissima conferenza stampa finale, ci ha mostrato un Berlusconi che continua a voler apparire più come il portavoce della Casa Bianca in Europa piuttosto che il portavoce dell’Europa presso la Casa Bianca.

Tutto quello che il presidente del Consiglio d’Europa ha infatti saputo dire, mentre Bush rispondeva a tutte le domande è stato, quando lo stesso Bush lo ha sollecitato a interromperlo per dire qua!cosa: «No, no, condivido completamente quello che il presidente ha appena detto».

Se la scelta di non “mettere luce” tra se stesso e Bush, per usare un’espressione di quel gergo calcistico a lui caro, e di restare incollato sulle posizioni americane è perfettamente legittima per il leader di una nazione che lo ha scelto per esserne governata, un poco più di sforzo critico e di senso “europeo” della suo posizione istituzionale sarebbe forse stato, oltre che più dignitoso, anche più utile al riavvicinamento dello scisma d’occidente creato dall’Iraq. Ma non soltanto il nostro Premier ha evitato anche le sottili osservazioni che Tony Blair aveva fatto davanti al Congresso di Washington, invitando l’America a non rinunciare all’Europa e ad abbandonare la diplomazia del “comando” per tornare alla”partnership”.

Berlusconi non ha voluto neppure risparmiare una stoccata diretta chiaramente ai francesi, implicitamente accusati di avere provocato con il “loro egoismo” e “narcisismo” il dissenso nel mondo occidentale.

Le sue scelte possono essere dibattute e non condivise, con la stessa dignità accordata a chi invece le approva e le difende, ma non possono essere accusate di ambiguità. Basta leggere che cosa ha detto nel breve discorso a fine visita, prima di ammutolirsi e di ascoltare in reverente silenzio George W. rispondere anche alle domande dei giornalisti italiani. «Mi preparo a tornare in Europa e in Italia, riportando ai miei alleati (che alleati non sono, ma partner di un’Unione, incidentalmente) questo messaggio, che noi dobbiamo rivitalizzare la forza vitale della coesione e dell’unità, anziché coltivare la cultura della divisione». Unità e coesione, naturalmente, attorno alla politica americana.

Dunque non ha portato, lui a nome degli Europei, un “messaggio” a Bush, ma ne porta uno di Bush a noi, anche a rischio di apparire, nelle sue stesse parole, come il postino dell’impero. Anche se non ha trovato nulla da obbiettare quando Bush ha detto le cose più importanti del suo discorso, attaccando violentemente Iran, Siria e Corea del Nord «che ospitano e appoggiano terroristi» e dunque «ne pagheranno le conseguenze». Berlusconi in giacca e camicia aperta sul collo come il padrone di casa, sorrideva e taceva anche se il governo italiano aveva da tempo, proprio sotto la sua presidenza, cercato più volte e con forza, un riavvicinamento con l’Iran. E sarebbe stato importante ascoltare una sua precisazione, un suo approfondimento, quando Bush ha detto che «si è discusso come allargare la coalizione in Iraq». Più soldati italiani? Più interventi industriali ed economici o, magari con impianti per la fabbricazione di automobili, contesi tra italiani e francesi? Più aiuti? Berlusconi sorrideva e taceva.

Un “fan” del nostro presidente potrebbe concludere, dopo questa visita, che Berlusconi ha dato una prova d’encomiabile lealtà politica e personale, evitando di creare la benché minima difficoltà a un Bush che anche ieri, al momento della solita, prevista e “spontanea” passeggiatina tra balle di fieno e mucche nel ranch, ha dovuto ricevere la notizia di un altro morto in Iraq.

La questione è sapere se la completa adesione alle scelte di Bush, l’insistenza nel giocare la parte dell’americano in Europa anziché dell’europeo in America, dimostrata mai come ora, qui nel forno estivo del Texas, giovi alla ricomposizione dell’Occidente, al ritorno dell’Onu come autorità di legittimazione e alla statura politica del nostro presidente del Consiglio presso “i narcisi e gli egoisti” d’Europa, che non gradiranno.

Bush ha ammesso, nascondendolo dietro un no apparente, che gli Usa dovranno tornare al consiglio di Sicurezza per chiedere l’internazionalizzazione della crisi irachena, oltre la risoluzione 1483, troppo vaga. Al Consiglio, non vi sarà il fedele Berlusconi, ma il Narciso francese e con loro, con altri europei meno presi nell’incantesimo texano. Ma questi sono problemi che vanno oltre le intenzioni e la festa del viaggio premio del nostro capo del governo nel Texas, che infatti Bush ha trattato davvero con l’affettuosità di un fratello maggiore verso il suo junior. «E adesso basta – ha chiuso la conferenza stampa alla quale Berlusconi aveva fatto scena muta, Bush – adesso devo occuparmi di nutrire il primo ministro italiano, gli daremo da mangiare un po’ di pollo».

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