Da Corriere della Sera del 15/09/2003

Messaggio a Bruxelles

di Sergio Romano

La vittoria dei no nel referendum svedese è importante per tutti gli europei e avrà ricadute sul futuro dell' Unione. Ma per comprenderne il senso occorre ricordare la posta in gioco e gli argomenti della campagna elettorale. Non era in discussione l' integrazione europea. Non esiste nella politica svedese la tradizione federalista di alcuni Paesi del continente. Non esistono, se non in misura marginale, leader o intellettuali ispirati da Adenauer, De Gasperi, Schuman, Sforza, Spaak, Martino, Brentano, Spinelli, Hallstein, Colombo. Nel referendum di ieri i due schieramenti hanno difeso concezioni rispettabili, ma prive di respiro europeista. I nemici dell' euro temono che la moneta unica impedisca alla Svezia di amministrare l' economia nazionale secondo le sue convenienze. Non vogliono che la Banca centrale europea decida i loro tassi d' interesse e d' inflazione. Non tollerano che il loro Stato assistenziale dipenda dal beneplacito di Bruxelles. I fautori dell' euro, d' altro canto, sono motivati da considerazioni politiche e pragmatiche. Sanno che l' euro è ormai una realtà. Temono che la Svezia, restando ai margini di Eurolandia, perda qualsiasi influenza nell' Ue. Sanno che gli investimenti internazionali, non appena superata questa lunga stagnazione, andranno là dove la dimensione del mercato e la moneta unica offrono maggiori garanzie. La passione civile nella battaglia politica svedese si è manifestata soprattutto fra gli oppositori. Mentre i fautori dell' euro parlavano di influenza politica e di investimenti (argomenti cari alla classe dirigente e ai circoli economico-finanziari), gli euroscettici difendevano l' identità nazionale, vale a dire quella combinazione di neutralità, terzomondismo, civiltà assistenziale e autocontemplazione morale che ha formato per molti decenni l' originalità svedese. Ecco perché il risultato è meno grave per l' Europa di quanto non appaia a prima vista.

Il no della Svezia dimostra che la moneta unica non ha ancora vinto la battaglia della sua credibilità ed è certamente un brutto colpo per tutti coloro che si apprestano a fare, nei prossimi mesi, la stessa scelta. In Danimarca il partito del no conquisterà probabilmente maggiori consensi. In Gran Bretagna Tony Blair dovrà raddoppiare gli sforzi per recuperare il terreno perduto nelle scorse settimane. In Svizzera il governo di Berna dovrà misurarsi con una opinione pubblica sempre più scettica e diffidente. Ma il voto svedese presenta anche un vantaggio. Attenua il rischio di una Unione in cui debbano convivere due anime: quella supernazionale dei fondatori e quella confederale di molti dei Paesi entrati nel club dopo il successo dei Trattati di Roma e la fine della Guerra fredda. Se la Gran Bretagna vuole essere atlantica, se la Polonia preferisce Washington a Bruxelles e se la Spagna crede alla hispanidad non meno di quanto creda all' Europa (sono soltanto tre esempi, fra i molti possibili), è difficile immaginare che il mercato e la moneta bastino a creare una patria europea. Siamo addolorati dal risultato di Stoccolma, ma il no degli svedesi ci incoraggia a pensare sin d' ora al giorno in cui i Paesi più omogenei decideranno di correre più rapidamente degli altri. E' la soluzione della «cooperazione rafforzata» prevista dal trattato di Nizza e, speriamo, dalla Costituzione europea. Ed è una ragionevole risposta alla prospettiva di un' Europa che rischia di perdere, dopo l' allargamento, la sua natura originale.

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