Da Corriere della Sera del 29/09/2003
La tomba dei fondamentalismi
di Aldo Grasso
Siamo rimasti al buio, spaventati e impotenti, soli con le nostre ideologie sulle fonti energetiche. Prima o poi doveva succedere, e un buio così neanche osavamo immaginarlo: treni e metropolitane fermi, voli cancellati, ospedali in emergenza, il Paese paralizzato. Già perché ci siamo costruiti un mondo di favole che dipende però da un continuo, incessante rifornimento energetico e se la spina si stacca non riusciamo più a vivere a lume di candela. Fortuna che era notte fonda, fortuna che era sabato.
Un conto è se va via la luce per un temporale o per una scossa sismica, un conto è se va via così senza un vero perché. Colpa della Francia o della Svizzera, da cui dipendiamo per la fornitura elettrica? O colpa nostra?
Negli ultimi vent’anni il problema energetico è stato in primo luogo un problema ideologico; magari in buona fede, magari guidato dalle migliori intenzioni ma, ancora una volta, l’astratto è prevalso sul concreto. Noi vogliamo avere tutto: il Paese industrializzato, le fabbriche che rendono, gli ultimi ritrovati della tecnologia, il polo chimico, il cellulare di ultima generazione, ogni possibile comodità ma tutto questo senza pagare dazio. L’energia è vitale al nostro Paese ma non sopportiamo che esistano i luoghi che producono questa energia. Perché inquinano, perché sono sporchi, brutti e cattivi. Piuttosto preferiamo dipendere dai capricci dei Paesi mediorientali. Ricordate Cernobyl, ricordate Montalto di Castro? Era il 1987 e sull’onda emotiva del disastro sovietico in Italia si celebrò il referendum che bloccò la costruzione di centrali nucleari. Erano gli anni in cui i sindaci facevano a gara per mettere all’ingresso del paese il cartello «Comune denuclearizzato».
Il risultato fu la chiusura delle quattro centrali che avevamo: Latina, Garigliano, Trino Vercellese e Caorso, nel Piacentino. Quella di Montalto di Castro (per la cui cessazione lottarono in prima fila Ermete Realacci, Chicco Testa, Edo Ronchi e il principe terriero Nicola Caracciolo) venne convertita in centrale termoelettrica, a costi pazzeschi. E poi c’erano le magliette e le spillette del Sole che ride: « Nuclear power? No thanks!».
Era ed è difficile non condividere queste battaglie. Salvo che se si vuole un Paese «denuclearizzato», senza rischi, senza gli odiosi tralicci dell’alta tensione bisogna figurarsi un Paese diverso, magari il giardino d’Europa, con programmi scolastici però che ci insegnino a riusare le candele, a spegnere la luce quando non serve, a fare a meno di lavastoviglie e lavatrici.
Niente di personale, ma se penso alla profonda contraddizione in cui siamo vissuti in tutti questi anni penso a Chicco Testa presidente dell’Enel, all’ecologista comunista che guida il monopolio energetico. Abbiamo detto no al nucleare (comprandolo però dalla Francia, come se le Alpi fossero una barriera invalicabile in caso di incidente) ma per demagogia e ipocrisia siamo schiavi del petrolio, di un’economia basata sull’energia «sporca», senza dar corso a un piano di sviluppo delle fonti alternative perché troppo costose. Abbiamo poca energia, dipendiamo dal petrolio e respiriamo aria fetida. Vogliamo essere più coerenti?
Un conto è se va via la luce per un temporale o per una scossa sismica, un conto è se va via così senza un vero perché. Colpa della Francia o della Svizzera, da cui dipendiamo per la fornitura elettrica? O colpa nostra?
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Era ed è difficile non condividere queste battaglie. Salvo che se si vuole un Paese «denuclearizzato», senza rischi, senza gli odiosi tralicci dell’alta tensione bisogna figurarsi un Paese diverso, magari il giardino d’Europa, con programmi scolastici però che ci insegnino a riusare le candele, a spegnere la luce quando non serve, a fare a meno di lavastoviglie e lavatrici.
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