Da Corriere della Sera del 29/09/2003
Colombo: dopo il no al nucleare non c’è stata una strategia
di Giovanni Caprara
«L'Italia non si è mai posta seriamente il problema dell'approvvigionamento energetico dal quale dipende lo sviluppo del Paese». Umberto Colombo, ex ministro delle Partecipazioni statali, ex ministro della Ricerca, ex presidente dell'Enea, uomo di grande esperienza del mondo scientifico pubblico e privato e dei rapporti tra scienza e società (agli inizi degli anni Settanta era con Aurelio Peccei tra i protagonisti del famoso Club di Roma dove di discutevano i limiti dello sviluppo) offre diagnosi impietose ma vere.
Come mai si è arrivati ai guai energetici di cui soffriamo oggi?
«Talvolta alcuni giudicavano il problema gonfiato ad arte o lo valutavano, comunque, non preoccupante. La realtà è che se a brevissimo termine possiamo sopravvivere, a medio o lungo termine la prospettiva è inquietante. La Penisola non è ricca di fonti proprie e quindi è condannata a importare dall'estero l'ottanta per cento dell'energia di cui ha bisogno».
Da decenni si discute di piani energetici che non riescono mai a prendere forma, a diventare un metro di riferimento per la politica.
Perché la scena continua a ripetersi?
«Abbiamo accumulato una sequela di piani falliti perché in Italia qualsiasi tentativo di pianificazione in generale non riesce a veder la luce. Continuiamo ad affidarci all'improvvisazione, all'inventiva occasionale che risponde magari alla domanda immediata. Ma così facendo non pensiamo, o meglio vogliamo ignorare i pericoli nascosti nella corta visione politica che produce solo danni all'amministrazione di un Paese».
C'è stata la grande opzione nucleare che ha diviso ma poi, una volta cancellata dal referendum, la situazione e la visione non sembra essere affatto cambiata...
«Il nucleare era una voce forte della pianificazione. Ma per concretizzarla occorreva una capacità che l'Italia non aveva. Era indispensabile darsi un'organizzazione solida, rigida. Purtroppo non siamo stati in grado di affrontarla. La scelta di non costruire le centrali nucleari ha consentito di risparmiare un po' di soldi e, a parole, si è preferito puntare su soluzioni diverse, alternative, che però non si sono mai materializzate».
Quindi da una parte l'economia di una nazione bisognosa di risorse energetiche e dall'altra un'assenza di risposta politica e di decisioni adeguate. C'è stato, comunque, qualche vincitore?
«E' accaduto che i tradizionali fornitori di energia hanno avuto maggior peso dei politici. Di fatto hanno gestito loro la politica energetica. Del resto la politica deve esprimere delle preferenze ma se non ci sono delle possibilità alternative verso cui orientarsi il politico è paralizzato».
La conseguenza inesorabile è stato un procedere senza obiettivi, senza una strategia. Vero o falso?
«Assolutamente vero. Si è continuato a fare i conti con i tempi brevi senza valutare l'evolversi delle situazioni e quindi delle necessità.
Invece, per rispondere ai bisogni futuri è necessario essere più immaginifici, ipotizzando e lavorando su quello che dovrebbe essere un modello generale di sviluppo. Ma se non riusciamo ad esprimere nemmeno un piano energetico...».
Come mai si è arrivati ai guai energetici di cui soffriamo oggi?
«Talvolta alcuni giudicavano il problema gonfiato ad arte o lo valutavano, comunque, non preoccupante. La realtà è che se a brevissimo termine possiamo sopravvivere, a medio o lungo termine la prospettiva è inquietante. La Penisola non è ricca di fonti proprie e quindi è condannata a importare dall'estero l'ottanta per cento dell'energia di cui ha bisogno».
Da decenni si discute di piani energetici che non riescono mai a prendere forma, a diventare un metro di riferimento per la politica.
Perché la scena continua a ripetersi?
«Abbiamo accumulato una sequela di piani falliti perché in Italia qualsiasi tentativo di pianificazione in generale non riesce a veder la luce. Continuiamo ad affidarci all'improvvisazione, all'inventiva occasionale che risponde magari alla domanda immediata. Ma così facendo non pensiamo, o meglio vogliamo ignorare i pericoli nascosti nella corta visione politica che produce solo danni all'amministrazione di un Paese».
C'è stata la grande opzione nucleare che ha diviso ma poi, una volta cancellata dal referendum, la situazione e la visione non sembra essere affatto cambiata...
«Il nucleare era una voce forte della pianificazione. Ma per concretizzarla occorreva una capacità che l'Italia non aveva. Era indispensabile darsi un'organizzazione solida, rigida. Purtroppo non siamo stati in grado di affrontarla. La scelta di non costruire le centrali nucleari ha consentito di risparmiare un po' di soldi e, a parole, si è preferito puntare su soluzioni diverse, alternative, che però non si sono mai materializzate».
Quindi da una parte l'economia di una nazione bisognosa di risorse energetiche e dall'altra un'assenza di risposta politica e di decisioni adeguate. C'è stato, comunque, qualche vincitore?
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