Da Corriere della Sera del 29/09/2003

E il manager disse: da noi non potrà succedere mai

di Gian Antonio Stella

«L'effetto domino? In Italia è praticamente impossibile». Andrea Bollino, il presidente della società che gestisce la rete elettrica, si morderà per sempre la lingua ricordando la gagliarda stupidaggine che gli scappò dopo il blackout negli Stati Uniti e in Canada. A dargli tanta baldanza, spiegò, era il fatto che da noi «la gestione della rete è centralizzata» e la qualità degli impianti di distribuzione è «sicuramente superiore». Al Carosello sarebbe stato fulminato: cala cala Trinchetto! Il tragicomico autogoal dell'«esperto», che ieri ha passato la giornata a spiegare su tutte le tivù come l'impossibile abbia potuto diventare possibile, non sarà però l'unica sentenza a rimanere scolpita nel marmo commemorativo di questa giornata nera. L'infarto del nostro sistema energetico, infatti, è stato accompagnato da un tale crepitio di accuse reciproche tra il governo e le opposizioni che se i decibel producessero watt avremmo trovato l'energia alternativa.

L'unico a rimanere muto, colpito da blackout orale, è stato Silvio Berlusconi. Ma gli altri, colpiti da una scossa polemica, sono saltati su gli uni contro gli altri inondando le agenzie di dichiarazioni bellicosissime. Di qua Antonio Marzano attacca dicendo che è tutta colpa delle sinistre che si mettono di traverso al suo piano: «Se non costruiamo le centrali che io ho autorizzato per 12.000 megawatt (e contro queste autorizzazioni stanno arrivando ricorsi al Tar), se non facciamo passare il disegno di legge in Parlamento che io ho presentato e che ha avuto quasi 600 emendamenti alla Camera, se non capiamo tutti che è interesse generale di tutti fare le nuove centrali...». Di là Enrico Letta gli risponde che di quei 600 emendamenti «la metà è stata presentata da esponenti della stessa maggioranza» e che quel disegno di legge sull'energia elettrica «è fermo in Parlamento da ben 18 mesi per le liti interne alla maggioranza, per lo scontro continuo tra il ministro Marzano e il ministro Tremonti e per i continui braccio di ferro con la Lega sul ruolo degli enti locali».

Di qua Giuliano Urbani se la prende coi governi del passato colpevoli d'«aver rinviato per dieci anni scelte coraggiose su come produrre energia da soli». Di là Pieluigi Castagnetti ironizza: «Questo governo sarà pure sfortunato, ma è pure incapace di assicurare i più elementari servizi ai cittadini. Hanno già cominciato a dire che la colpa è dei governi precedenti, ma durante i governi precedenti queste cose non sono mai successe».

Di qua Roberto Castelli sospira che «l'Italia negli anni ’80 ha completamente abbandonato qualsiasi politica energetica» e che oggi «paghiamo le conseguenze» di errori fatti negli anni Ottanta «per bassi calcoli politici». Di là Franco Monaco ricorda che «maggioranza e governo hanno 150 deputati e senatori in più dell'opposizione ma avevano il loro da fare su altre priorità: rogatorie, Cirami, falso in bilancio, lodo Schifani, tutte leggi varate in poche ore. L'energia giustamente può attendere». Di qua Renato Schifani denuncia che «l'Ulivo, nei suoi sette anni di governo, ha impedito, in nome di un ambientalismo bigotto, qualunquista e antisociale, di realizzare nuove centrali». Di là Pierluigi Bersani rinfaccia alla destra di avere lasciato cadere nel nulla il piano di riordino suo in nome di un decisionismo sterile e impotente: «Gli eventi che stiamo vivendo succedono solo ora. Il governo ci spieghi perché».

Sinceramente: ce lo meritiamo questo scaricabarile? O non avrà piuttosto ragione Bruno Tabacci, presidente della commissione attività produttive, a ridere sarcastico di tutte queste «caste vergini» che sull'uno e sull'altro fronte alimentano «l'ipocrisia collettiva» che ha spinto l'Italia alla deriva energetica fino al punto di essere il Paese più esposto, col suo 17 per cento, alla dipendenza dagli altri? Sono proprio sicuri, a destra e a sinistra, di potere scagliare la prima pietra? La conoscono tutti la verità sui ritardi nelle infrastrutture del Paese.

E sanno che il passante largo di Mestre vedeva contro a Mirano tutti (tutti) i candidati alla carica di sindaco, da destra a sinistra. Sanno che i primi cittadini che si opposero alla Pedemontana ulivista furono premiati dal Polo con l'elezione al Parlamento. Sanno che il pedaggio pagato agli ambientalisti dai governi ulivisti ha intralciato una serie di opere come la variante di valico sull'Appennino tosco-emiliano col tifo di una parte del Polo sotto sotto soddisfatto per la prova di inefficienza. Sanno che l'ostruzionismo della sinistra denunciato dal Cavaliere a proposito dei «2.100 emendamenti contro la legge sulle opere pubbliche» era stato preceduto nell'altra legislatura da un opposto ostruzionismo della destra che, eletto come eroe il senatore leghista Luigi Peruzzotti, detto «Ostruzionix» (autore di 4.000 richieste di verifica del numero legale: 4 a seduta), presentò alla Camera 14.930 emendamenti l'anno: 287 la settimana, 85 a seduta, 40 al giorno. Sanno, in estrema sintesi, che ogni partito e ogni schieramento, in questi anni, ha deciso volta per volta, a livello nazionale e locale, a seconda dei rapporti con gli alleati più riottosi, delle convenienze momentanee, degli orientamenti degli elettori individuati dai sondaggi. Senza mai una visione dell'interesse collettivo che andasse oltre le (legittime) battaglie politiche.

Vogliamo tornare al nucleare? Prego: si apra un dibattito. Serrato. Aspro. Duro. Ma serio. Evitando, per favore, le ipocrisie intraviste in mille dichiarazioni di ieri. Contro il nucleare, allora, con l'eccezione del partito repubblicano e di quello liberale, c'erano tutti. Compresi quelli che oggi fanno la predica. Da Comunione e Liberazione al Partito Socialista, dalla Dc al Pci, dalla Lega (che attaccò sui muri del Nord un manifesto che diceva: «No al cancro nucleare!») al Msi. Basti ricordare come, all'occupazione della centrale di Latina, spiccasse nell'ottobre 1986 un giovanotto che sarebbe diventato l'uomo forte di An al governo, Gianni Alemanno. Per carità: cambiare opinione non è solo legittimo ma talvolta può essere perfino doveroso.

Prima di fare predicozzi, però, possiamo chiedere ai pentiti di pronunciare la frase magica «ho cambiato idea»?

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