Da La Stampa del 22/10/2003
La tragedia dei somali e le colpe dell'Occidente
Noi egoisti
di Michele Ainis
Il giorno dopo, e il giorno dopo ancora l'ennesima tragedia consumata nel buio del canale di Sicilia, sarà il caso d'accompagnare la pietà con una riflessione a mente fredda. E la riflessione chiama in causa le politiche economiche che il Nord del mondo pratica verso i popoli del Sud; ma chiama in causa inoltre il nostro modello di sviluppo, i nostri stili di vita pubblici e privati.
Sì, c'è una precisa responsabilità dell'Occidente, e quindi di noi tutti, nella condizione di quel miliardo e 200 milioni di persone che hanno in tasca meno d'un dollaro al giorno per sfamarsi, e che al contempo la miseria spinge verso le nostre coste, qui nella vecchia Europa già sin troppo affollata. Perché ad esempio in Africa i governi impegnano ogni anno 23 dollari e mezzo ad abitante per l'istruzione pubblica, e 22 per ripagare il debito estero. Perché quest'ultimo si gonfia all'infinito d'interessi: dal 1982 al 1990 i paesi in via di sviluppo hanno versato infatti ai propri creditori 418 miliardi di dollari in più di quanti ne avevano ottenuti, e dunque è come se i poveri avessero finanziato i ricchi con l'equivalente di 6 piani Marshall. Perché infine l'America e l'Europa spendono un miliardo di dollari al giorno per tenere a distanza le merci che produce il Terzo mondo. Col risultato che nel 2001 gli Usa hanno incassato più dazi doganali sulle importazioni dal Bangladesh (reddito pro capite 370 dollari) che dalla Francia (reddito pro capite 24.170 dollari). E con l'ulteriore risultato d'allargare a dismisura il divario di ricchezze tra il Nord e il Sud del nostro pianeta. Questa forbice era di 3 a 1 nel 1820; è diventata 30/1 nel 1960; è raddoppiata nei trent'anni successivi, toccando quota 60/1 nel 1990; si è divaricata ulteriormente fino a 74/1 nel 1997. Significa che in Svizzera il reddito pro capite è 380 volte più alto dell'Etiopia. Che ogni 3,6 secondi c'è un uomo che muore di fame, mentre le persone denutrite sono 840 milioni in tutto il mondo. Che la durata media della vita è di 84 anni per una donna giapponese, di 36 appena in Sierra Leone.
Ma l'egoismo è un lusso che non ci possiamo più permettere. Nel mondo globalizzato in cui viviamo la disuguaglianza genera conflitti, e sta infine trasformando le nostre metropoli in altrettanti fortilizi sott'assedio. D'altronde la libertà, come la pace, è indivisibile: o è di tutti o di nessuno. I cittadini dell'antica Grecia erano certo uomini liberi, ma vivevano fianco a fianco con gli schiavi; la società greca non era dunque libera. Ecco perché è venuta l'ora di restituire fiato e corpo alle politiche di sostegno verso i paesi poveri, anche in tempi di vacche magre per le economie dell'Occidente, e anche a costo di rinunziare almeno in parte agli agi cui ci siamo abituati. È in gioco la sorte dei diseredati, ma ne va di mezzo anche la nostra libertà. Non c'è libertà senza giustizia, diceva Cicerone.
Sì, c'è una precisa responsabilità dell'Occidente, e quindi di noi tutti, nella condizione di quel miliardo e 200 milioni di persone che hanno in tasca meno d'un dollaro al giorno per sfamarsi, e che al contempo la miseria spinge verso le nostre coste, qui nella vecchia Europa già sin troppo affollata. Perché ad esempio in Africa i governi impegnano ogni anno 23 dollari e mezzo ad abitante per l'istruzione pubblica, e 22 per ripagare il debito estero. Perché quest'ultimo si gonfia all'infinito d'interessi: dal 1982 al 1990 i paesi in via di sviluppo hanno versato infatti ai propri creditori 418 miliardi di dollari in più di quanti ne avevano ottenuti, e dunque è come se i poveri avessero finanziato i ricchi con l'equivalente di 6 piani Marshall. Perché infine l'America e l'Europa spendono un miliardo di dollari al giorno per tenere a distanza le merci che produce il Terzo mondo. Col risultato che nel 2001 gli Usa hanno incassato più dazi doganali sulle importazioni dal Bangladesh (reddito pro capite 370 dollari) che dalla Francia (reddito pro capite 24.170 dollari). E con l'ulteriore risultato d'allargare a dismisura il divario di ricchezze tra il Nord e il Sud del nostro pianeta. Questa forbice era di 3 a 1 nel 1820; è diventata 30/1 nel 1960; è raddoppiata nei trent'anni successivi, toccando quota 60/1 nel 1990; si è divaricata ulteriormente fino a 74/1 nel 1997. Significa che in Svizzera il reddito pro capite è 380 volte più alto dell'Etiopia. Che ogni 3,6 secondi c'è un uomo che muore di fame, mentre le persone denutrite sono 840 milioni in tutto il mondo. Che la durata media della vita è di 84 anni per una donna giapponese, di 36 appena in Sierra Leone.
Ma l'egoismo è un lusso che non ci possiamo più permettere. Nel mondo globalizzato in cui viviamo la disuguaglianza genera conflitti, e sta infine trasformando le nostre metropoli in altrettanti fortilizi sott'assedio. D'altronde la libertà, come la pace, è indivisibile: o è di tutti o di nessuno. I cittadini dell'antica Grecia erano certo uomini liberi, ma vivevano fianco a fianco con gli schiavi; la società greca non era dunque libera. Ecco perché è venuta l'ora di restituire fiato e corpo alle politiche di sostegno verso i paesi poveri, anche in tempi di vacche magre per le economie dell'Occidente, e anche a costo di rinunziare almeno in parte agli agi cui ci siamo abituati. È in gioco la sorte dei diseredati, ma ne va di mezzo anche la nostra libertà. Non c'è libertà senza giustizia, diceva Cicerone.
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