Da Famiglia cristiana del 29/10/2003
Originale su http://www.sanpaolo.org/fc/0344fc/0344fc92.htm
Nigeria
Il velo usato come arma
Un gigante dai piedi d’argilla. È l’ottavo produttore mondiale di petrolio, ma importa il 70 per cento della benzina. E oggi ha un problema in più, la legge islamica adottata dagli Stati del Nord che,
di Luciano Scalettari

La macchina avanza metro dopo metro, imbottigliata nel serpentone di traffico della più popolosa città africana: 16 milioni di abitanti, dei quali una dozzina vive sotto la soglia di povertà. Il nostro interlocutore, un imprenditore italiano che da quasi 30 anni lavora in Nigeria, cerca di spiegare questa città e questo Paese inspiegabili.

Non siamo su una viuzza, stiamo percorrendo una superstrada a quattro corsie. Lagos è nata su tre isole, e poi si è estesa nell’entroterra. I pochi ponti che collegano le varie zone della città sono altrettanti colli d’imbuto. Da sopra il ponte lo sguardo abbraccia l’estendersi delle baraccopoli, a perdita d’occhio. Il traffico perennemente bloccato è la fortuna degli innumerevoli venditori ambulanti, ragazzi di strada, mendicanti. Decine di persone che vendono e chiedono, implorano e gridano. Offrono patate e cellulari, fazzoletti e cd-rom, acqua e caschi di banane. Ma soprattutto, ovunque, schede per la ricarica dei telefonini.
TELEFONINI NELLE BARACCOPOLI

«La Nigeria è il gigante d’Africa, ma fatica a reggersi in piedi», continua l’imprenditore. «È il motore che alimenta tutti i Paesi vicini, ma la maggioranza dei suoi abitanti non sa se mangerà il giorno dopo. Ha enormi potenzialità, ma combatte con una miseria ingestibile».
Il Paese dei paradossi. L’ultimo, modernissimo, centro commerciale aperto a Lagos non sfigurerebbe a Milano o a Roma. E appena dopo l’ingresso vi si trovano in mostra schermi televisivi al plasma di tre metri per due. Il più recente modello di cellulare annunciato in Italia, qui è già in vendita. Ma di là della strada, appena i clienti escono dallo shopping, devono farsi largo tra i venditori di strada e i mendicanti.
Secondo le statistiche dell’Onu, il reddito medio dei nigeriani è di 300 dollari l’anno. È la storia dei polli di Trilussa: il 95 per cento della ricchezza del Paese è nelle mani di 6.000 nigeriani. Uno solo, Alinco Dangote, si trova a 41 anni a essere produttore e importatore monopolista di tutto lo zucchero e il cemento del Paese. Ora sta rivolgendo i propri interessi alla pasta. E deve avere ottime entrature, perché nei mesi scorsi il Governo federale ha posto l’embargo proprio sulle importazioni di pasta.

Un chilometro dopo l’altro cambia il paesaggio naturale e anche quello umano. Dalla foresta tropicale alla savana, alle regioni semidesertiche settentrionali. Dal Sud cristiano e occidentalizzato al "profondo Nord", nel quale 80 ragazze su cento sono analfabete e 99 su cento portano il velo.

D’accordo. Ma, negli ultimi tre anni, gli scontri tra cristiani e musulmani hanno fatto oltre 10.000 vittime. «Nel 2000, la città di Kaduna è stata messa a ferro e fuoco per settimane nei raid compiuti nei quartieri islamici di là dal fiume e in quelli cristiani a sud», racconta suor Semira Carrozzo, missionaria delle Oblate, che gestisce una scuoletta modello dove accoglie un migliaio di bambini, alcuni dei quali musulmani.
UNA NAZIONE CREATA A TAVOLINO

Eppure la Nigeria non è nuova alla sharia. Nelle regioni musulmane quello era l’unico codice utilizzato dal Cinquecento fino all’arrivo degli inglesi, che l’abolirono sciogliendo le corti islamiche.

Non c’è mai stato il problema degli scontri a carattere religioso. La Nigeria degli anni ’70 è ricordata per la guerra dovuta al tentativo di secessione del Biafra (l’area petrolifera ricca), e la terribile carneficina che ne seguì (un milione di vittime, forse più). Dagli anni ’80, poi, l’equazione è stata Nigeria uguale petrolio. E infatti ne è stato trovato tanto, di oro nero. Le compagnie petrolifere hanno fatto del Paese il primo produttore africano e l’ottavo al mondo.

«Non sono d’accordo», dice monsignor John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja. «Detto così, sembra che tutti i nigeriani siano corrotti. È giusto dire che gli uomini che hanno gestito il potere nel Paese sono dei corrotti e hanno accumulato smisurate ricchezze personali». La Chiesa cattolica, in Nigeria, non è tenera col potere politico.
LA POSIZIONE DELLA CHIESA
Neanche con Obasanjo, primo presidente cristiano. «Ha fatto molte promesse», aggiunge Onaiyekan, «riguardo alla democrazia e alla trasparenza, ma finora ci sono pochi atti concreti. La gente comincia a essere disillusa».

Capi di Stato e ministri si sono accaparrati vere e proprie fortune, depositate all’estero. Si stima che il patrimonio personale del generale Babangida (al potere tra il 1985 e il 1993) sia di 6-7 miliardi di dollari; quello della famiglia di Sani Abacha (l’ultimo dittatore morto – forse avvelenato – nel 1999) tra i 3 e i 4 miliardi di dollari. Il risultato è che in Nigeria non si muove foglia che l’apparato militare non voglia, perché al potere delle armi si somma quello economico.

In conclusione, Obasanjo ha riportato il Paese alla democrazia e gli ha dato prestigio internazionale. Ma è stato eletto col placet dei militari e col voto del Nord. Tuttavia è un uomo del Sud, e al Sud ha diretto subito le sue attenzioni. Così, in pochi mesi le regioni islamiche della Nigeria si sono scoperte fondamentaliste, e in breve hanno instaurato la sharia. Una riprova di ciò risiede nel fatto che la legge islamica è stata voluta dai governatori, non dai capi religiosi.
UNA POVERTÀ SCANDALOSA

Il gigante africano, insomma, ha i piedi d’argilla: il suo petrolio è sempre più importante, la sua povertà più scandalosi. Corteggiato da un lato dai Paesi ricchi e dall’altro dai poteri forti dell’integralismo islamico, sembra sempre sul punto di cadere. E il terremoto scuoterebbe l’intera Africa occidentale.
I casi di Amina, Safiya e le altre che verranno sono importanti. Ma non solo perché si tratta di orribili violazioni dei diritti umani. Sono anche diventati strumento della lotta politica del Paese.
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