Da Corriere della Sera del 31/10/2003

Delitto Pecorelli: «Andreotti è innocente»

La Cassazione annulla la condanna: «Non ha commesso il fatto». I legali: questo processo non si doveva fare

di Flavio Haver

ROMA - Tre ore per spazzare via dieci anni di indagini. La Cassazione ha sancito l’assoluzione definitiva «per non aver commesso il fatto» di Giulio Andreotti e del boss mafioso Gaetano Badalamenti dall’accusa di aver ucciso il giornalista Mino Pecorelli, con una breve camera di consiglio. I supremi giudici hanno annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’assise d’appello di Perugia che il 17 novembre dello scorso anno aveva inflitto 24 anni di reclusione al senatore a vita e all’esponente di Cosa Nostra e, contemporaneamente, hanno rigettato il ricorso della Procura generale della città umbra contro le assoluzioni dell’ex ministro e attuale magistrato Claudio Vitalone, del cassiere di Cosa Nostra Pippo Calò, del killer delle cosche Michelangelo La Barbera e dell’ex esponente della banda della Magliana Massimo Carminati. L’esito è identico a quello del processo di primo grado, conclusosi dopo 162 udienze il 24 settembre del ’99.

IL DISPOSITIVO - La decisione del collegio presieduto da Nicola Marvulli ricalca in pieno le richieste del pg Gianfranco Ciani e mette una pietra tombale sull’inchiesta per il delitto del direttore della rivista «OP» (ucciso sotto la redazione il 20 marzo del ’79) aperta dalla Procura di Palermo dopo le «rivelazioni» da Tommaso Buscetta: il pentito il 6 aprile del ’93 aveva detto di aver saputo da Badalamenti che l’omicidio era stato commesso nell’«interesse» di Andreotti dalla mafia che, secondo i pm, aveva voluto fargli un favore perché il giornalista era pronto a pubblicare parti inedite del memoriale di Aldo Moro. Gli atti con le dichiarazioni erano stati trasmessi a Roma e, da qui, inviati per competenza a Perugia quando era emerso il coinvolgimento di Vitalone, accusato insieme con Andreotti di essere il mandante dell’omicidio. Nel lungo dispositivo, la Cassazione si sofferma sul tema del «mandato omicidiario» spiegando il motivo dell’assoluzione del senatore a vita: «La dichiarazione accusatoria del collaboratore di natura indiretta (il caso di Buscetta, ndr ), a differenza di quella diretta, deve essere sottoposta ad un più rigoroso ed approfondito controllo del contenuto narrativo e della sua efficacia dimostrativa». Per questo motivo - aggiungono - «l’indicazione di un possibile "interesse" del mandante all’uccisione della vittima non costituisce, di per sé sola, riscontro estrinseco, come ipotetico "movente", della chiamata in reità "de relato" di un collaboratore di giustizia».

LE REAZIONI - «Mino è un cadaverino qualsiasi...», si è lasciata sfuggire la sorella di Pecorelli, Rosita, dopo la sentenza. «Un altro delitto impunito», ha aggiunto il legale della famiglia, Aurelio Galasso. «Se si fosse valutata sin dall’inizio con serietà la chiamata di colpevolezza, il processo non sarebbe nemmeno iniziato: doveva fermarsi alla porta del Gup e questo vale anche per Palermo», ha detto Franco Coppi, difensore del senatore a vita insieme con Giulia Bongiorno («Si chiude un obbrobrio») e Gioacchino Sbacchi («Ho sempre creduto nel giudice a Berlino»). E se il Procuratore di Perugia Nicola Miriano manifesta un «doveroso rispetto» per la sentenza, gli avvocati di Vitalone sono durissimi: per Carlo Taormina «Andreotti e Vitalone sono due martiri delle toghe rosse agli ordini di Violante», secondo Alberto Biffani la sentenza «è il "de profundis" di una persecuzione giudiziaria».

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