Da La Stampa del 03/10/2003

In difesa dei sardi

di Filippo Ceccarelli

Vai a sapere perché spediscono i pacchi-bomba, e ancora di più perché li spediscono proprio adesso. Però forse non basta conoscere la provenienza geografica del cartoccio esplosivo per costruirci sopra una roccaforte di sospetti, tantomeno di certezze.

Certo, si apre domani la conferenza intergovernativa europea, anche con manifestazioni no-global; mentre l’autunno offre diverse occasioni al conflitto sociale. E tuttavia, per sua natura e vocazione, il terrorismo risponde a logiche oscure che all’improvviso rifulgono di fin troppo abbagliante semplicità. Così, ieri, a poche ore dalla vampata al ministero del Welfare e nella stazione dei carabinieri di Cagliari, si è ritenuto di interpretare e comprendere l’accaduto sotto la specie dell’«anarco-insurrezionalismo», più specificamente «sardo». Come se questo fosse un fenomeno rinomato nella sua compiutezza, non solo eversiva, ma anche lessicale. E tanto più in quanto intrecciato a un ritorno, sempre in Sardegna, di un’area assimilabile alle Brigate rosse, oltre a un inedito separatismo.

Ora: può essere. O meglio: può anche essere. Chi abbia seguito la cronaca degli ultimi mesi ha notato nell’isola un certo stato di effervescenza. Proiettili spediti per posta, rivendicazioni di incendi, rapine anche di armi, attentati dimostrativi, bombe vere ad amministrazioni, scuole, banche, giornali, ripetitori.

Negli ultimi quarant’anni l’Italia ha conosciuto un terrorismo altoatesino, un terrorismo nero, un terrorismo rosso e un terrorismo di tipo mafioso. Ogni ciclo si è trascinato dietro una sua dose di misteri, di errori e a volte pure di complicità da parte di chi ha dovuto combatterlo, anche al prezzo di duri sacrifici. Ciò che qui si vorrebbe far notare, proprio in nome della storia, è che la potenza delle ipotesi ingenera talvolta dannose confusioni. Occorre insomma una pacata vigilanza, come si diceva un tempo, ma anche il massimo di cautela e un sovrappiù di saggezza.

In Sardegna esiste certamente un filone indipendentista, ma quasi sempre è apparso ragionevole, comunque tale da aver resistito alle suggestioni «castriste» di Feltrinelli. Il rischio, ora, è che un rimescolio di sigle, un guazzabuglio di passato e presente e una ridda di collegamenti, dai guerriglieri baschi a quelli corsi passando per un banditismo riveduto e corretto, finiscano per creare un clima in cui si possa ingiustamente colpevolizzare una terra, anche solo presentandola come laboratorio di tutte le possibili e immaginabili forme di eversione: Br, anarchia, separatismo, eco-terrorismo.

Con la Sardegna, oltretutto, la Repubblica non ha esattamente la coscienza a posto. L’ha ingannata promettendo lavoro e poi, dopo averla mortificata, ha preso a sfruttarne le straordinarie risorse naturali. Tre illustri politici sardi come Cossiga, Pisanu e Angius sanno cosa ha significato, questa estate, lasciar circolare l’ipotesi sciaguratissima che nell’isola si potessero smaltire le scorie nucleari del continente.

Potrebbe dunque anche esistere un terrorismo, in Sardegna. Ma è più difficile che sia un terrorismo sardo. La differenza non è da poco. E comunque non vale a riempire il vuoto di una stagione già troppo piena di minacce.

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