Da Corriere della Sera del 10/11/2003

Dietro l’attentato

La «guerra civile» scatenata da Osama

di Magdi Allam

L'Arabia Saudita si conferma sempre più il Paese a più alto rischio terrorismo al mondo dopo Israele e l'Iraq. Con una differenza fondamentale. La posta in gioco è altissima: il controllo delle maggiori riserve di greggio del pianeta e della più sacra delle terre dell'Islam. E una caratteristica tutt'altro che irrilevante: stiamo assistendo a una guerra civile scatenata da un esercito di kamikaze agli ordini di Osama Bin Laden. Sauditi contro sauditi. Folli sanguinari che hanno fatto propria l'ideologia del takfir, la condanna di miscredenza nei confronti dell'intera società. Il risultato è un fratricidio nel nome di Allah.

Islamici contro musulmani. Anche l'ultimo attentato di Riad conferma che le prime vittime del terrorismo di matrice islamica sono gli stessi musulmani. E che l'obiettivo reale dei terroristi è uno solo: il potere. Ciò che maggiormente colpisce e sconvolge è la presenza di una sorta di «fabbrica dei kamikaze» in grado di sfornare a richiesta decine di aspiranti uomini-bomba. Giovani fanatici che hanno estirpato dal proprio io l'istinto naturale alla sopravvivenza, che anelano al «martirio» nella certezza che spalancherà loro le porte del Paradiso islamico. Figli ribelli di una borghesia in preda a una crisi di identità, che hanno rinnegato il sistema di valori dominante, pronti a sacrificare la propria vita per far trionfare il «vero Islam». La preoccupazione è ancor più giustificata se si tiene presente che l'affermazione del kamikaze non è affatto un fenomeno sporadico e isolato. All'opposto è l'ultimo stadio di un sistema integrato del radicalismo islamico. Quando i kamikaze palestinesi fecero la loro comparsa nel 1993, rappresentarono la punta dell'iceberg di una potente holding non solo religiosa e ideologica, ma anche economica, finanziaria, militare, sociale e culturale, gestita da Hamas. Ebbene il ripetersi degli attentati suicidi in Arabia Saudita coincide con la scoperta sul territorio di una solida struttura di Al Qaeda che dispone di cospicui flussi finanziari, possiede ingenti arsenali di armi, controlla moschee e scuole coraniche. Soprattutto che si affida alla connivenza di simpatizzanti infiltrati nei servizi segreti, negli apparati della sicurezza, nell'amministrazione dello Stato e del culto religioso. Così come è verosimile che può contare sulla simpatia di esponenti della famiglia reale saudita di tendenze integraliste e ostili alla modernità sostanzialmente laica incarnata dall'Occidente. Al riguardo vale la pena ricordare due eventi significativi. Il 31 agosto 2001, con una decisione clamorosa e inaspettata, re Fahd licenziò il principe Turki al Feisal, da 25 anni il capo incontrastato dei servizi segreti. L'accusa, mai ufficializzata, è di aver tramato sottobanco con Bin Laden. Secondo Yossef Bodansky, consulente del Congresso americano in materia di terrorismo, il principe Turki pagò ingenti somme di denaro a Bin Laden in cambio dell'assicurazione che non avrebbe commesso attentati sul territorio saudita. Colpisce il fatto che il suo licenziamento sia avvenuto a soli 11 giorni dagli attentati che hanno insanguinato l'America. L'altro fatto, non meno significativo, è il rispetto particolare con cui Bin Laden ha sempre trattato il principe ereditario Abdallah, di fatto il vero governante del Paese, data l'infermità di re Fahd. Nel 1990, all'indomani dell'invasione irachena del Kuwait, Abdallah e Bin Laden si schierarono contro l'arrivo di 500 mila soldati americani in Arabia Saudita, convinti di una possibile soluzione inter-araba. Dopo l'11 settembre, Abdallah, ribattezzato il «Principe rosso», si è prodigato per diffondere l'im magine di un leader moderato e leale all'Occidente. Ma il sospetto è forte che continui a essere lui il cavallo su cui sta scommettendo Bin Laden. Con l'offensiva del terrore, scatenata sul territorio saudita, Bin Laden mirerebbe di fatto a favorire un colpo di Stato militare, con o senza l'avallo della monarchia. In un discorso pronunciato il 23 agosto 1996, Bin Laden disse: «O fratelli delle Forze armate, della Guardia nazionale e della Sicurezza, possa Allah proteggervi nella vostra opera di salvaguardi a dell'islam e dei musulmani». Ebbene è Abdallah che comanda i 70 mila uomini della Guardia nazionale, la forza d'élite della monarchia. Sembra evidente che è iniziata la resa dei conti tra Bin Laden e la famiglia reale. L'esito di questa partita, che piaccia o meno, riguarda noi tutti. Perché è indubbio che l'onda lunga del terremoto che si sta abbattendo sull'Arabia Saudita finirà per destabilizzare il mondo intero.

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