Da La Stampa del 10/11/2003
Il contagio della violenza
di Igor Man
E’ un attentato «interno». E’ la conferma d’una svolta invero storica: dentro la galassia chiamata islàm sta prendendo corpo lo scontro, finora dialettico, se non scientifico, fra modernisti e ortodossi. Codesta definizione può apparire semplicistica (e magari lo è), tuttavia aiuta a cercar di capire cosa stia accadendo nella regione più a rischio del mondo, quella che impropriamente chiamiamo Medio Oriente. Una cassaforte di oro giallo e di oro nero suggellata dall’odio. L’odio, figlio della frustrazione e del disastro bellico, del cosiddetto mondo arabo per Israele; l’odio, figlio dell’umiliazione e dell’ingiustizia, dei palestinesi verso gli israeliani considerati alla stregua di braccio armato d’un neocolonialismo di matrice americana.
L’intifada, la (prima) sollevazione popolare («la rivolta delle pietre») dei palestinesi sotto occupazione, nel dicembre del 1987, per quei paradossi cari alla Storia porterà al riconoscimento di Israele da parte dell’Olp e sulla scia dello scambio di lettere fra Rabin (vincitore delle elezioni del ‘91 intitolate alla pace) e il funambolico Arafat, alla Conferenza di Madrid, voluta da Bush padre per dare un senso alla prima Guerra del Golfo, «una vittoria senza trionfo». Verranno, poi, gli Accordi di Oslo, «garantiti» da Clinton. Ma la morte di Rabin, per mano di un pio giovinetto israeliano, segna la fine della grande illusione. I suoi successori non riusciranno, vuoi per mancanza di carisma, vuoi perché traumatizzati dall’assassinio del Premier, a resuscitare lo «spirito di Oslo».
La vittoria della Destra, l’avvento di Sharon, la sua improvvida passeggiata a ridosso della Grande Moschea, scatenano la seconda intifada. Tragedia nella tragedia: i rivoltosi al posto delle pietre lanciano se stessi, inzavorrati di esplosivo, contro inermi israeliani, si uccidono per uccidere. Ancora ieri i suicidi-assassini erano giovani palestinesi miserabili sollecitati da «fanatici musulmani, cinici plagiatori di giovani labili psichicamente». Ma gli ultimi attentati han visto immolarsi persone mature. Di più: per mimetismo psicologico, per quel famoso «contagio» che nasce da una sete di emulazione senza aggettivi, il terrorismo suicida dilaga. Lo stupro delle Torri Gemelle fa il resto superando la fantascienza: avvelena l’antico rapporto di pragmatica amicizia fra Stati Uniti e Arabia Saudita. Osama bin Laden, lo Sceicco della Morte, è saudita ma ha un conto da regolare con quella casa reale che (non sappiamo esattamente perché) un bel giorno lo ha messo alla porta dopo averlo celebrato per le sue imprese antisovietiche in Afghanistan. Lo Sceicco, o un suo clone, novello untore, contagia un po’ tutto il mondo musulmano: dal Golfo alla lontana Indonesia passando per l’Africa turistica. Travolto da una vera e propria furia iconoclasta, l’islàm radicale precisa infine il suo obiettivo: quell’islàm moderato, di cui gli studenti «revisionisti» di Teheran sono l’esempio più drammatico, più visibile. Non contestano il Corano ma guardano alla rilettura del Libro, operata dal persiano Ali Shariati, per individuarne l’aderenza alla modernità. Lo stesso accade in Marocco, in Egitto, nell’Oman. Contestualmente, la roccaforte del tradizionalismo, l’Arabia Saudita, comincia ad aprire varchi ad una osservanza della Sharia che senza negare il Verbo si adegui al «modernismo della libertà» (di pensiero, d’espressione eccetera). Da qui l’ira funesta (e assassina) dell’islàm radicale che nega il «modernismo» liberale o hegeliano, marxista o strutturale, considerato l’antitesi blasfema del tradizionalismo conservatore. Il mondo democratico non può fare come i piedipiatti di Chicago che purché sparissero lasciarono «ai materassi» i gangsters, sino alla loro autoestinzione. Possiamo e dovremmo incoraggiare, con sommo rispetto, ogni rilettura del Corano tesa ad «attualizzarlo». Tanta impresa per realizzarsi ha bisogno del grimaldello (la politica) che apra la porta della Pace. Ma la Pace, a sua volta, passa attraverso la cruna assai stretta della guerra non dichiarata tra israeliani e palestinesi in Terra Santa.
L’intifada, la (prima) sollevazione popolare («la rivolta delle pietre») dei palestinesi sotto occupazione, nel dicembre del 1987, per quei paradossi cari alla Storia porterà al riconoscimento di Israele da parte dell’Olp e sulla scia dello scambio di lettere fra Rabin (vincitore delle elezioni del ‘91 intitolate alla pace) e il funambolico Arafat, alla Conferenza di Madrid, voluta da Bush padre per dare un senso alla prima Guerra del Golfo, «una vittoria senza trionfo». Verranno, poi, gli Accordi di Oslo, «garantiti» da Clinton. Ma la morte di Rabin, per mano di un pio giovinetto israeliano, segna la fine della grande illusione. I suoi successori non riusciranno, vuoi per mancanza di carisma, vuoi perché traumatizzati dall’assassinio del Premier, a resuscitare lo «spirito di Oslo».
La vittoria della Destra, l’avvento di Sharon, la sua improvvida passeggiata a ridosso della Grande Moschea, scatenano la seconda intifada. Tragedia nella tragedia: i rivoltosi al posto delle pietre lanciano se stessi, inzavorrati di esplosivo, contro inermi israeliani, si uccidono per uccidere. Ancora ieri i suicidi-assassini erano giovani palestinesi miserabili sollecitati da «fanatici musulmani, cinici plagiatori di giovani labili psichicamente». Ma gli ultimi attentati han visto immolarsi persone mature. Di più: per mimetismo psicologico, per quel famoso «contagio» che nasce da una sete di emulazione senza aggettivi, il terrorismo suicida dilaga. Lo stupro delle Torri Gemelle fa il resto superando la fantascienza: avvelena l’antico rapporto di pragmatica amicizia fra Stati Uniti e Arabia Saudita. Osama bin Laden, lo Sceicco della Morte, è saudita ma ha un conto da regolare con quella casa reale che (non sappiamo esattamente perché) un bel giorno lo ha messo alla porta dopo averlo celebrato per le sue imprese antisovietiche in Afghanistan. Lo Sceicco, o un suo clone, novello untore, contagia un po’ tutto il mondo musulmano: dal Golfo alla lontana Indonesia passando per l’Africa turistica. Travolto da una vera e propria furia iconoclasta, l’islàm radicale precisa infine il suo obiettivo: quell’islàm moderato, di cui gli studenti «revisionisti» di Teheran sono l’esempio più drammatico, più visibile. Non contestano il Corano ma guardano alla rilettura del Libro, operata dal persiano Ali Shariati, per individuarne l’aderenza alla modernità. Lo stesso accade in Marocco, in Egitto, nell’Oman. Contestualmente, la roccaforte del tradizionalismo, l’Arabia Saudita, comincia ad aprire varchi ad una osservanza della Sharia che senza negare il Verbo si adegui al «modernismo della libertà» (di pensiero, d’espressione eccetera). Da qui l’ira funesta (e assassina) dell’islàm radicale che nega il «modernismo» liberale o hegeliano, marxista o strutturale, considerato l’antitesi blasfema del tradizionalismo conservatore. Il mondo democratico non può fare come i piedipiatti di Chicago che purché sparissero lasciarono «ai materassi» i gangsters, sino alla loro autoestinzione. Possiamo e dovremmo incoraggiare, con sommo rispetto, ogni rilettura del Corano tesa ad «attualizzarlo». Tanta impresa per realizzarsi ha bisogno del grimaldello (la politica) che apra la porta della Pace. Ma la Pace, a sua volta, passa attraverso la cruna assai stretta della guerra non dichiarata tra israeliani e palestinesi in Terra Santa.
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