Da Il Mattino del 24/11/2003

La guerriglia

di Vittorio Dell'Uva

Nassiriya - La guerriglia irachena può contare anche sui «mercenari ad ore della morte». Ricevono mille dollari e l'armamento che occorre. Tornano nell'ombra, da cui erano usciti, a missione compiuta. Al contatto e al «contratto» provvede la rete non ancora disarticolata del partito Baath. Alla «cassa» provvedono gli ex ufficiali della Guardia repubblicana, cui Saddam ha affidato parte del tesoro in valuta pregiata prima che la «grande armata» di George W. Bush, invadesse l'Iraq. La ragnatela delle complicità non manca. Ex agenti del Mukhabarat proseguono nel lavoro che ha caratterizzato la loro carriera. Minacce di morte raggiungono i familiari di quanti alla lotta agli americani non intendono collaborare. «Questo spiega le tante tecniche utilizzate per gli agguati e la difficoltà di prevenirli», dice percorrendo lo stradone centrale della base «White horse» di Nassiriya il generale Carlo Cabigiosu, consigliere presso l'ambasciata italiana di Baghdad, appena raggiunto dalla notizia dei due soldati statunitensi sgozzati a Mossul.

Un accordo non scritto spalanca le porte dell'Iraq agli elementi estremisti dei Paesi vicini. «I kamikze non fanno parte di questa cultura e nemmeno si inventano dall'oggi al domani», ricorda il generale Giorgio Cornacchione, comandante di tutte le truppe italiane presenti in Iraq. Saddam dopo averli a lungo respinti, adesso si serve di loro. E la resistenza - emerge da fonti dell'intelligence britannica - li affida a «controllori» del passato regime dopo aver garantito loro una rete logistica. Anche nell'attentato del 12 novembre contro gli italiani lo schema sarebbe stato attuato.

Cinque minuti prima che l'autocisterna-bomba esplodesse è stato notato a pochi metri dalla casermetta dei carabinieri un alto esponente del partito Baath. Fotografie casualmente scattate da fotoreporter subito dopo il massacro ed in possesso della polizia irachena potrebbero condurre alla rete di fiancheggiatori che ha dato ospitalità al commando suicida arrivato da lontano. In una delle foto si nota un uomo che sorride, già identificato, che potrebbe essere legato al traffico di armi o all’azione suicida. Nella provincia, pur dominata dalla comunità sciita contro cui Saddam si accanì con violenza, non debbono mancare sacche rimaste fedeli al vecchio sistema. Uno dei più stretti collaboratori dello sterminatore di regime - Alì il chimico - aveva scelto come rifugio Nassiriya dove è stato, il mese scorso, arrestato.

Il comando italiano esclude al momento che le indagini sull'attentato siano già arrivate ad una svolta. «Non credo che si possa pensare di raggiungere in tempi brevi risultati definitivi nell'inchiesta. Non sarà facile trovare sul territorio le informazioni necessarie. Creare una rete di intelligence richiede un lungo lavoro», ricorda, prudente, il generale Cornacchione.

Fondamentale, in questa prospettiva tendente a scongiurare ulteriori pericoli, è il rapporto con la popolazione da cui può arrivare il più concreto dei contributi. Conquistare la fiducia dei capi-tribù, veri gestori del territorio, aiuta non poco. È una strada che il generale Bruno Stano, comandante del contingente, ha imboccato da tempo con grande determinazione. Ieri sera per l'«iftar», la cena che chiude ogni giornata del Ramadan, ha invitato a cena sotto una grande tenda allestita nella base di White horse circa quaranta tra gli sceicchi che contano e le nuove autorità cittadine, con cui peraltro tiene regolari contatti. L'atmosfera era quella tipicamente araba che gli ospiti - si sapeva - avrebbero gradito, con tappeti, cuscini e pietanze fatte preparare da Arkan, proprietario di «Al Adaja», uno dei migliori ristoranti di Nassiriya. E per tutti c'è stato un annuncio che qualche impatto può averlo: «I nostri soldati stanno raccogliendo danaro da destinare alle famiglie degli iracheni morti nell'attentato del dodici novembre».

Uno accanto all'altro sedevano sceicchi che della lotta a Saddam hanno fatto una ragione di vita. A nome di tutti ha parlato, dettando le regole, Fadel Abdul Afwahd, riconosciuto a Nassiriya come il «capo dei capi» dei clan. «Noi - ha detto - non abbiano bisogno di molto, ma dobbiano collaborare con gli italiani per vincere il terrorismo». Quanto ciascuno fosse sincero è impossibile dirlo. Non è mancato chi nel nome della nuova amicizia, ha chiesto una fornitura di duecento fucili. Il consenso va cercato, naturalmente, anche alla base. Da oggi i soldati italiani riprenderanno le attività umanitarie in favore della popolazione civile. Nel corso della settimana venti tonnellate di cibo verranno distribuite in altre città. Ogni consiglio comunale riceverà cherosene e una piccola scorta di dollari.

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