Da Corriere della Sera del 04/12/2003

Dopo le pensioni il premier ha perso la spinta. Cresce il ministro-rivale Sarkozy

Riforme al palo, tramonta la stella di Raffarin

di Massimo Nava

PARIGI - Una riforma all'anno. Nel calendario e nelle promesse del governo francese il tempo di una legislatura avrebbe dovuto sposarsi con le ambizioni dettate dalla trionfale vittoria elettorale. In primavera, il premier Jean-Pierre Raffarin, il volto nuovo, bonario e pragmatico del centrodestra, aveva varato quella delle pensioni, sfidando i sindacati e il rischio di scontro sociale. E qui si è fermato, riscrivendo, più che il sistema-Paese, la sua agenda politica. Scuola, sanità, macchina dello Stato, imprese pubbliche sono diventati accenni di riforme, bozze dettate dalla prudenza, ambizioni frenate da formidabili ostacoli di varia natura. Il primo ostacolo, a lungo negato, ma prevedibile, è la stagnazione economica che giustifica il colpo di Parigi al patto di stabilità, la riluttanza nel tagliare gli ammortizzatori sociali, i pochi mezzi a disposizione per stimolare investimenti e ripresa.

Il secondo, previsto, ma sottovalutato, è il tradizionale pessimismo dei francesi che ingrigisce, come saldi di fine stagione, anche le luminarie natalizie. I sondaggi non spiegano tutto e spesso si sbagliano, ma si percepisce che «l’effetto Raffarin» ha il colore della delusione. Per quello che non è stato fatto, ma anche per quello che è stato deciso: aumenti di benzina e sigarette, tagli di sussidi, riduzione delle tasse e aumento delle imposte dirette.

Dipende dalle categorie interessate. Il riformismo dei francesi è come la scoria nucleare: mai nel mio giardino.

Il terzo ostacolo, previsto dalle ingrate regole della politica, ma non così in fretta, è nella stessa coalizione di governo, il centro destra, così maggioritario da non dover fare i conti con l’opposizione in crisi d’identità, ma indebolito dalle ambizioni conflittuali dei suoi leader.

Forse è proprio questo l’ostacolo principale per Raffarin, perché contribuisce a un’immagine di stanchezza che non gli appartiene e alimenta sui giornali voci di resa e sostituzione. Le prossime scadenze elettorali - regionali a marzo e europee a giugno - sono già sovresposte nell’arena politica e trasformate nel surreale preambolo di una scadenza ancora più lontana, le presidenziali del 2007.

Ogni decisione del governo, prima che della sua efficacia, diventa la misura di sondaggi, possibili reazioni, rischi d’impopolarità.

Già si parla di almeno tre ministri (educazione nazionale, sanità, ecologia) che potrebbero essere presto sostituiti. In caso di sconfitta o, in anticipo sulle elezioni, per evitarla. Così come si moltiplicano i candidati primi ministri: uomini che poi punteranno all’Eliseo o accetteranno il ruolo di parafulmine sociale per spianare la strada (ancora una volta, e sarebbe la terza) a Jacques Chirac.

Soprattutto si parla - essendo impossibile trovare un giornale, nazionale o locale, senza una sua intervista - di Nicolas Sarkozy, il ministro dell’Interno, in testa nei consensi dell’elettorato di destra, avendo arato con profitto il terreno della sicurezza.

Delle sue ambizioni non fa più mistero: strizza l’occhio alla comunità musulmana con passaporto francese, che vale un paio di milioni di voti, propone la «discriminazione positiva» per ridurre le disparità sociali, dice chiaro e tondo a Chirac che due mandati sono sufficienti e che sarebbe l’ora della pensione. Ma rischia di bruciarsi per aver cominciato la corsa con troppo anticipo ed essersi sovrapposto all’immagine dello stesso Raffarin. Per il piè veloce Sarkozy, come lo descrive la satira, si sta preparando il piatto dei veleni e del ridimensionamento: confezionato dai fedelissimi di Chirac - il presidente del partito, Juppé, e il presidente dell'Assemblea, Debré - e dalle donne dell’Eliseo che non sopportano l’improvvisato e autoproclamato delfino.

Con la battaglia per l’Eliseo, è così cominciata anche quella dei colpi bassi, della regia mediatica, del gossip per incrinare l’immagine dell'avversario: l’ultimo pettegolezzo riguarda l’udito del presidente e un apparecchio acustico fantasma.

Ambizioni personali e preoccupazioni elettorali, nel contesto di una società francese ammalata di assenteismo alle urne e rigetto della politica, frenano la buona volontà di Raffarin e l’iniziale progetto di un più radicale rinnovamento del Paese. Le riforme, dicono gli esperti della «monarchia» francese, o si fanno subito dopo la vittoria o non si fanno più.

Come un piccolo artigiano della provincia da cui proviene, Raffarin scalpella e aggiusta, calibrando l’agenda sul possibile, ovvero su ciò che costa poco e traumatizza meno, come le misure per favorire le piccole imprese, rendere più flessibile il mercato del lavoro, riformare il sistema di finanziamento del sindacato. Adesso, in agenda ci sono il «servizio minimo» in caso di sciopero nei servizi pubblici e il dimagrimento di ministeri troppo costosi. Per il servizio minimo, l’Italia - probabilmente, senza aver letto i giornali di questi giorni - viene citata come esempio di riformismo avanzato. Quanto allo snellimento della burocrazia, contro Raffarin si sono messi anche diplomatici e funzionari del Quai d’Orsay. Uno sciopero a suo modo storico, per difendere, anche senza soldi, la grandeur della Francia, il corpo diplomatico più numeroso del mondo. Dopo quello americano.

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