Da Corriere della Sera del 13/12/2003

No a velo, kippah e croce: la Francia si scopre unita

Dopo il rapporto della Commissione sulla laicità, Chirac ha una settimana per decidere se vietare per legge i simboli religiosi «ostentati»

di Massimo Nava

PARIGI - Qualche intellettuale denuncia il declino del Paese. La grandeur suscita spesso il sarcasmo di molti osservatori. Nell'opinione pubblica mondiale si fa strada l'immagine di una società percorsa da fremiti antisemiti. Una parte dell'Europa teme ambizioni egemoniche. E il giudizio dell'America è quello dell'alleato che tradisce. Ma la Francia ancora una volta stupisce per la capacità di ritrovarsi unita quando sono in gioco identità e valori costitutivi e di proporre un umanesimo universale che vada oltre i confini dell'Esagono.

E' questo il senso più autentico del lavoro compiuto dai saggi dalla Commissione Stasi (dal nome del professor Bernard Stasi che l'ha presieduta) sul valore attuale della «laicità», che è principio basilare della società civile transalpina. E' probabile che, come ha annunciato il presidente Jacques Chirac, a questo lavoro si ispirerà al più presto una legge e che questa legge vieti nelle scuole pubbliche, come è stato proposto, il velo islamico e altri simboli religiosi «ostentatori», come il crocifisso e la kippah.

Ma se il «foulard» (o le sue dimensioni) è la questione più lacerante ed evidente, tanto da innescare la riflessione collettiva di questi mesi, il rapporto delle commissione ha ambizioni più vaste, diventa lo specchio della Francia nel nuovo Millennio, teorizza un modello di società occidentale dove - anche per effetto dell'emigrazione - possano convivere le grandi religioni monoteiste ed essere rispettate le spiritualità individuali. Come dire che l'«altro» non può essere soltanto forza lavoro assimilata o esotismo dello stile, in discoteca o al ristorante.

«Conviene prendere in considerazione che il paesaggio spirituale è cambiato in un secolo», scrive la Commissione, ed è significativo che ciò avvenga in una democrazia che, a differenza di altre in Occidente, non menziona Dio nella costituzione o nei momenti istituzionali più importanti.

Con qualche rischio, soprattutto quello di trasferire il dibattito nei prossimi scontri elettorali, come nota Le Monde , con un editoriale del direttore Colombani, il quale si esprime soltanto nelle grandi occasioni.

Non è poco, in tempi di scontro di civiltà e di tensioni internazionali, fissare le regole della vita pubblica di uno Stato laico senza invadere la sfera del privato e indicare la strada della tolleranza e dell'integrazione possibile. Il rapporto della commissione precisa queste regole nella scuola, negli ospedali, nelle caserme, nelle mense, persino nei cimiteri e nel calendario delle festività nazionali.

La portata del messaggio - ben oltre il velo islamico - è evidente nel dibattito che si è già aperto il giorno dopo. Ci sono dubbi, dissensi, critiche, trasversali alle forze politiche e alle comunità interessate, ma è prevalente un generale consenso sulle indicazioni della Commissione.

Tanto più rafforzate dagli operatori della scuola, che si attendevano chiarezza dopo essere stati abbandonati alla discrezionalità. Tanto più approvate dai rappresentanti di tutte le organizzazioni del culto, le più interessate a sfuggire dalla deriva conflittuale o confessionale. Tanto più sostenute dal mondo politico che deve adattare le norme al cambiamento.

L'irritazione riguarda ambienti che avrebbero voluto un messaggio più consono alle proprie concezioni : partigiani del terzomondismo (verdi, estrema sinistra, radicali), crociati della nazione bianca e cattolica (il solito Jean-Marie Le Pen), «fondamentalisti», non solo islamici, che interpretano la laicità come religione o come esclusione. Anche l'opposizione socialista definisce «serio e ragionevole» il lavoro della commissione e rispondente alle aspettative del partito. Soltanto l'ex ministro della cultura, Jack Lang, avrebbe voluto un divieto dei simboli religiosi più marcato, cioè senza il compromesso proposto fra visibilità e ostentazione e fra misure del simbolo stesso, più facile da stabilire quando si parla di «grande crocifisso» (ma chi porta addosso un crocifisso grande?) rispetto a una medaglietta, meno se il velo diventa una bandana o un foulard.

I dubbi sorgono e sorgeranno sull'applicazione di un'eventuale legge, che farà il suo iter, con l'auspicio di un approccio comunque pragmatico. Le Monde , ad esempio, s'interroga sul diritto degli studenti di fare politica, visto che la commissione raccomanda anche la non ostentazione di simboli ideologici e di partito. Qualche intellettuale si chiede se il divieto del velo non invada la sfera personale del pudore femminile. Ma Dalil Boubakeur, rettore della Moschea di Parigi e presidente del Consiglio del culto musulmano si impegna ad un appello alle studentesse perché rinuncino al velo. «Chiediamo un periodo di prudenza, per qualche mese, perché tutti prendano coscienza che le cose sono cambiate». Tra parentesi, il velo della discordia riguarda 1256 casi censiti e 4 espulsioni su una comunità musulmana di oltre quattro milioni. Lo ricorda la stessa commissione quando propone buon senso in una questione «eccessivamente mediatizzata».

Fra la gente, c'è anche chi si frega le mani (gli studenti) e chi si preoccupa (per i costi) all'idea che la libertà religiosa si possa difendere anche con due giorni di festa in più (quella ebraica e quella musulmana). Ed è polemica, dato che il governo ha recentemente proposto di sopprimere la Pentecoste, non per rigore laico, ma per ragioni economiche: il sostegno alle esauste casse dell'assistenza malattia. Oggi prevalgono altre emergenze. Se è vero che cultura e tolleranza costano, ignoranza e violenza costano ancora di più.

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