Da Corriere della Sera del 15/12/2003

Dopo il trionfo

di Sergio Romano

Saddam nelle mani degli Stati Uniti è un trionfo politico e psicologico. L'operazione rinfranca le truppe e le compensa delle molte frustrazioni subìte. Le forze Usa hanno dato una straordinaria prova di perizia. Se il leader iracheno fosse morto dopo un'ultima raffica o avesse schiacciato fra i denti una capsula di cianuro, la sua fine avrebbe trasmesso al Paese il ricordo di un combattente indomito e il suo cadavere sarebbe divenuto, come quello del Che, l'icona della resistenza. Ma il video dell'uomo barbuto e sporco che si sottomette docilmente alla visita di un dottore ha distrutto il mito del ritorno. La minoranza «baathista» ha perduto la speranza della restaurazione. La maggioranza attendista è libera di uscire dall’ombra. Può darsi che la sua gioia nasconda in molti casi rassegnazione, stanchezza e desiderio di normalità. Ma è un capitale che gli Usa possono usare per tentare, con migliori prospettive, la ricostruzione del Paese. Sarà più facile ora, anche nelle zone più ribelli, convincere commercianti, artigiani, imprenditori e pubblici funzionari a collaborare con la nuova amministrazione. Per Bush e Blair è il primo successo dopo la fine dell'invasione. Passano in secondo piano, per il momento, gli attentati, gli elicotteri abbattuti, il sabotaggio degli oleodotti, i missili contro gli alberghi e il quartier generale della coalizione a Bagdad, i ripetuti assalti ai commissariati della polizia irachena (l'ultimo a Khaldyah, quando Saddam era già prigioniero, ha provocato una strage). Passa in secondo piano persino il mancato ritrovamento di quelle armi di sterminio che erano, nei proclami dei due leader, la principale giustificazione della guerra. Per Bush, mentre i suoi avversari si preparano alle presidenziali, la cattura è una carta in più, forse decisiva. Per Blair potrebbe essere la fine di un incubo. Il primo ha conservato, anche nei momenti difficili, un'alta percentuale di consensi, ma il secondo si è dovuto difendere contro un’opinione pubblica sempre più critica e ostile. D'ora in poi, per qualche tempo, tutto verrà dimenticato e i riflettori saranno puntati solo su Saddam.

Resta da vedere se la sua cattura sia anche una risolutiva vittoria militare. Su questo punto non esistono certezze. Quando ha indagato sulla resistenza irachena, l'Intelligence Usa si è imbattuta in una costellazione di forze eterogenee: spezzoni del partito Baath, brandelli della Guardia repubblicana, feddayin di Saddam, nazionalisti arabi, fondamentalisti islamici. Nessuno può dire se questo cartello della guerriglia e del terrore abbia un leader, una catena di comando, un disegno strategico. Se il leader è Saddam, il movimento può considerarsi decapitato. Ma la cattura di un uomo braccato, apparentemente solo, nascosto in una specie di tombino suscita dubbi. Per sapere se la costellazione ha un capo o è composta da gruppi autonomi, disposti a continuare il combattimento, occorrerà qualche settimana.

Comincia intanto il lungo interrogatorio del prigioniero Saddam. Mi auguro, come Pannella, che gli americani lo considerino un belligerante, non un terrorista, e rinuncino all'idea, se mai l'hanno avuta, di custodirlo a Guantanamo. E spero che il suo processo si faccia di fronte a un tribunale iracheno. Una sentenza pronunciata in patria sarà sempre più giusta, per i suoi connazionali, di una sentenza straniera.

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