Da Corriere della Sera del 19/12/2003

Per Salem Chalabi, consigliere del nuovo governo di Bagdad, il processo sarà «equo e basato su leggi irachene»

«Due anni per portare il raìs alla sbarra»

«Criminale di guerra o comune? Non è chiaro. Ma in entrambi i casi c’è la sentenza di morte»

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - Impiccare Saddam? Lo prevede il codice penale iracheno per crimini gravi commessi da civili. O fucilarlo? Accadrebbe se fosse considerato un militare prigioniero di guerra. «Ma i tempi di preparazione del processo saranno molto lunghi, magari più di due anni», spiega Salem Chalabi, l'avvocato esperto di legislazione finanziaria internazionale consigliere legale del Consiglio provvisorio iracheno. E' lui che il 10 dicembre ha rivelato di avere un ruolo centrale nella preparazione dello statuto per il nuovo Tribunale Speciale: una sorta di Norimberga irachena. Nato a Bagdad nel 1963, vissuto in Libano, laureato in legge tra Londra e New York, ex funzionario di un grande studio legale inglese, Salem è nipote di Ahmed Chalabi, leader del partito Iraqi National Congress. Oggi è tra i personaggi di punta del nuovo governo promosso dagli americani.

Il presidente Bush parla apertamente di pena di morte per Saddam. Lei cosa pensa?
«L'importante per ora è riuscire a condurre un processo giusto, legittimo, corretto. L'imputato verrà considerato innocente fino a quando sarà provato il contrario. Non vogliamo un processo politico né uno spettacolo per i media. E saranno processati almeno altri 100 dirigenti del vecchio regime che si sono macchiati di crimini contro l'umanità».

Lei è d'accordo sulla la pena di morte?
«In generale sono contrario. Ma questo è un caso molto particolare, rischiamo di perdere la legittimità del processo e dell'intera fase di ricostruzione del Paese. Immaginiamo si possa provare senza alcun dubbio che Saddam è personalmente responsabile della morte di 180 mila curdi. Come potremmo spiegare ai loro familiari che Saddam è stato condannato a soli 30 anni di carcere?».

Cosa dice la legge irachena?
«I nostri codici contemplano la pena di morte per i civili in due casi: assassinio e violenza carnale. Ma il governatore americano Paul Bremer l'ha sospesa su pressione britannica sin dall'estate. Una sospensione temporanea, visto che il tribunale speciale tenderà ad applicare in toto i testi originali delle nostre leggi. Dunque al momento delle sentenze la pena capitale sarà pienamente in vigore. Se Saddam dovesse venire condannato a morte si tratterà solo di stabilire se ciò avverrà per impiccagione, come previsto per i civili, o se finirà di fronte al plotone di esecuzione militare».

Saddam è un criminale di guerra o comune?
«Gli americani non lo hanno ancora definito. Tecnicamente lui non è mai stato un militare, anche se si era autonominato generale. Ma secondo le convenzioni di Ginevra potrebbe venire considerato un soldato sino alla fine delle ostilità. Siamo fermi alla dichiarazione di Bush del primo maggio, quando disse che i maggiori combattimenti erano cessati, ma non tutti».

La famiglia di Saddam vi accusa di essere un tribunale illegittimo e chiede avvocati e osservatori stranieri, li accetterete?
«Non vedo problemi. La legge irachena prevede la possibilità di avvocati stranieri, purché lavorino con colleghi iracheni. Non escludo neppure la possibilità di giudici e magistrati stranieri, come consiglieri del tribunale iracheno».

Come sarà strutturato il tribunale?
«Ci vorrà almeno un anno per individuare la cinquantina di giudici delle dieci Camere previste per il nostro Tribunale, per svolgere più processi contemporaneamente. A loro si affiancheranno nove giudici della Corte d'appello. Da gennaio una ventina di magistrati lavoreranno con gli otto uffici regionali, oltre a quello di Bagdad, per documentare le denunce della popolazione contro gli uomini dell'ex dittatura. Dobbiamo però individuare i giudici giusti. Sui circa 700 attivi oggi, oltre 160 sono già stati dimessi con accuse di corruzione o connivenza con l'ex regime. Pensiamo di reclutare alcuni di quelli in pensione e fare corsi professionali per avvocati».

Applicherete i codici della dittatura Baath?
«I codici degli Anni Sessanta non sono male, vennero presi in larga parte da quelli britannici. Ma poi furono largamente emendati dal Baath. Per esempio, la legge originale prevedeva cinque anni di carcere per chi offendeva il nome di Dio. A ciò venne aggiunta la pena di morte a chiunque offendesse quello di Saddam. Dobbiamo correggere queste aberrazioni».

Saddam verrà processato per primo?
«Spero proprio di no, rischieremmo di ingarbugliarci in un lungo dibattimento dove lui farà di tutto per insistere su questioni di principio. Se gli si dovesse chiedere conto dei massacri sciiti nel 1991, per esempio, potrebbe rispondere insistendo nella sua lotta per la causa palestinese. Non ne verremmo mai fuori. Ma se prima di lui potessimo processare e condannare i generali direttamente responsabili di quei massacri, non sarebbe poi difficile dimostrare che Saddam nel suo ruolo di presidente e capo supremo dell'esercito è stato il vero mandante».

Il suo tribunale ha qualche esempio nel passato?
«Certo, ho studiato le procedure del processo di Norimberga, di quelli contro i massacri in Ruanda, Sierra Leone, Timor Est, ex-Jugoslavia. Con una differenza: non penso che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu possa avere voce in capitolo per il nostro caso. Già nel 1993 avevo chiesto all'Onu di avviare una commissione di inchiesta contro i crimini di Saddam. Non hanno mai risposto».

Saddam resterà sempre in Iraq?
«Sì, anche la Cia lo interroga nel nostro Paese. Io però non l'ho ancora visto».

Dove terrete il processo, a Bagdad?
«Non so ancora, forse in una località segreta. Dovremo garantire la sicurezza di giudici, testimoni e imputati».

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